venerdì 4 ottobre 2024

Basket Case

di Frank Henenlotter.

con: Kevin VanHentenryck, Terri Susan Smith,Beverly Bonner, Robert Vogel, Diana Browne, Lloyd Pace, Joe Clarke, Bill Freeman.

Usa 1982 




















Alcuni film cult appartengono ad una vera e propria zona grigia nella quale è impossibile discernere a quale registro possono essere davvero associati, conseguenza dell'estrema creatività e del talento di chi li ha diretti. Basket Case è uno di questi. 
Un film solitamente associato al cinema trash che di trash vero e proprio non ha davvero nulla. Altre volte viene associato al genere horror e, benché presenti sequenze di omicidio splatter, parlare di film dell'orrore nel senso proprio del termine appare forzato. Basket Case è qualcosa di originale e bizzarro, un'opera prima che sfugge a definizioni e categorizzazioni e che rappresenta una perfetta introduzione al cinema del suo altrettanto bizzarro autore: Frank Henenlotter.





















Un cineasta che in una quarantina d'anni ha diretto giusto un pugno di film, ma la cui filmografia esigua non è un limite né per il segno che è riuscito a lasciare nel cuore dei fan, tantomeno per lui come autore, che ha più volte affermato come il cinema rappresenti non un business nel quale ha voluto cimentarsi, quanto una forma di genuina espressione artistica.
Un pugno di film caratterizzati da budget talvolta inesistenti e la più totale libertà creativa (ridimensionata praticamente solo nel caso di Basket Case 3, il suo exploit peggio riuscito), i quali ancora oggi sono apprezzabilissimi per la loro carica dissacrante, ma anche talvolta profondamente umana.
Basket Case, che nel 1982 ne rivelò il talento, fonde queste due tendenze in modo praticamente perfetto, anche se talvolta discordante. Un lungometraggio che arriva dopo una serie di corti ai limiti dell'amatoriale e che si caratterizza anch'esso come una produzione ai limiti dell'amatoriale: con il miserabile capitale di circa 35 mila dollari dell'epoca, Henenlotter gira molte scene in stile guerriglia per le strade di Manhattan e con una troupe di pochissimi amici, i quali ricoprono ruoli multipli firmandosi con vari pseudonimi per far finta di essere una vera crew cinematografica; tra questi, l'unico ad avere una formazione effettiva è Jim Muro, che qualche anno dopo esordirà alla regia con il cult Street Trash dimostrando anche lui un'indole creativa incredibile, la quale lo porterà a diventare collaboratore abituale di registi del calibro di Martin Scorsese, Oliver Stone, James Cameron e Michael Mann.
Qui, d'altro canto, è la passione a supplire a tutti i limiti del caso. Con la conseguenza che Basket Case si configura come un'opera tanto ruvida quanto convincente.













Una trama, quella del film, che mischia dramma, revenge-movie e body horror. Il protagonista è Duane, giovane di provincia che si aggira per le strade di New York con una strana cesta di vimini. Quello che custodisce all'interno è semplicemente folle: suo fratello Belial.
I due erano infatti gemelli siamesi, ma Belial è nato deforme, causando la morte della madre. Il padre, reso pazzo dalla perdita e dalla repulsione per il figlio, ha così deciso di farli dividere per concedere almeno a Duane una vita normale. Belial, d'altro canto, finisce gettato nei rifiuti, dai quali viene salvato solo dall'amore del fratello, con il quale condivide un legame psichico, oltre che della zia, l'unica altra persona al mondo che gli dimostra amore incondizionato. Alla morte della quale, i due decidono di imbarcarsi in una vendetta verso i tre medici che hanno eseguito l'operazione di divisione.






















Una vendetta che non ha catarsi perché non ha in realtà motivo di esistere. Non c'è vera colpa nei chirurghi, i quali hanno semplicemente fatto il loro lavoro. La colpa, semmai, è quella del genitore che ha deciso di abbandonare un figlio solo a causa del suo aspetto mostruoso. La vendetta è così null'altro che un grido di dolore causato dall'abbandono ingiustificato. Tanto che spesso, il pupazzo usato per dar vita al personaggio (la cui cura è stupefacente visto il budget a disposizione) ha uno sguardo umano, quello di un bambino triste, non quello di un assassino demoniaco.
Una morale sull'accettazione dell'altro che è la pietra angolare di tutto il film, ma che non rappresenta l'unico centro tematico. Tuttavia, la morte del padre dei due ragazzi, la prima vittima in ordine cronologico, è l'unica uccisione che porta ad una forma di sollievo nei due protagonisti, che garantisce loro qualche anno di pace; l'unico omicidio che come spettatori riusciamo a percepire come meritevole. Perché per il resto, la missione di vendetta dei fratelli assume più che altro le forme di una sinistra ricerca di affermazione.
Basket Case in fondo non è altro che la storia di un diverso che cerca di riscattarsi dal dolore per l'isolamento dovuto alla sua forma che si intreccia con quella di un altro "diverso" la cui vita è resa impossibile dal rapporto di co-dipendenza che ha con il fratello.

















Laddove la storia di Belial è quella, né più né meno, di quel tipo di personaggio che nel decennio successivo verrà conosciuto come "freak burtoniono", quella di Duane rappresenta il dramma di un fratello che sa di non poter aver una vita normale a causa del "peso" che incombe su di lui. Un uomo che sa di non poter avere una relazione affettiva se non con il fratello e proprio a causa del fratello, dal quale si distingue e il quale non riesce a comprendere nonostante il legame psichico. Belial non è un lato oscuro della psiche di Duane, non è un suo doppio cattivo, ma un personaggio vero e proprio, anch'egli in cerca di un affetto che sa di non poter avere. Il loro rapporto, indissolubile e indissolubilmente distruttivo, così come la tematica del body horror, configurano Basket Case come un vero e proprio antesignano del cronenberghiano Inseparabili.
Un affetto che ai due fratelli viene costantemente negato; le uniche persone nelle quali trovano conforto sono i due surrogati materni, ossia la zia e la prostituta Casey (interpretata da Beverly Bonner, che poi apparirà in praticamente tutti gli altri film di Henenlotter). Quando si tratta di avere un rapporto più complesso, un rapporto amoroso, questo viene annullato a causa della menomazione fisica di Belial, il quale lo porta a surrogare il sesso (ma anche l'affetto) con la violenza, come nelle scene di aggressione che chiudono la storia. Basket Case è così, in buona sostanza, nient'altro che un dramma sull'ansia da separazione e sulla solitudine filtrato attraverso il registro orrorifico e il suo valore sta proprio nel risultare credibile in quanto tale.
























Credibilità che vacilla solo quando Henenlotter decide di calcare la mano sul grottesco; le scene di omicidio sono spesso virate al farsesco, con la morte della dottoressa Kutter in particolare che diventa un vero e proprio inno alla violenza cartoonesca; la quale, nel contesto della storia e del tono usato per il resto della narrazione, finisce per stonare. Per paradosso puro, Henenlotter riesce invece a non far scadere nel ridicolo involontario una scena che invece aveva tutti i numeri per esserla, ossia quella in cui Duane ha un dialogo con il fratello nascostosi nel tazza del gabinetto.
Il vero valore della messa in scena resta tuttavia nella sua estrema crudezza; tutti gli interni sono location reali e Hennenlotter è davvero riuscito a catturare l'anima sudicia della Grande Mela dei primi anni '80, con quel look da sleazesploitation che oggi assume persino un valore da documento storico. Tutto nella città di Basket Case è sporco, tutto è decadente e sudicio, quindi privo di speranza. Tutti i personaggi sono disperati, spiantati privi di prospettive persi in un girone dantesco dove ogni forma di salvezza è puramente temporanea, pronta ad essere strappata via con la forza. Un mondo disperato dove la disperazione porta le persone a commettere atrocità e dove i pochi che hanno ancora una fibra morale si dimenano in cerca di qualcosa a cui appigliarsi.



















Lo status di cult di Basket Case è così ben comprensibile, come sovente accade. Come poi lo sia diventato, è una storia bizzarra quasi quanto il film stesso.
Finite le riprese, Henenlotter trova una prima distribuzione con  , la quale decide di rimontare il film e trasformarlo in una commedia grottesca. Il flop è servito e sembrava che la carriera di Henenlotter dovesse finire nello scarico prima ancora di iniziare. 
A salvare tutto fu il critico e conduttore televisivo Joe Bob Briggs, il quale aveva visionato la versione integrale del film ad una proiezione in un piccolo festival di cinema di genere e ne era rimasto piacevolmente colpito. Grazie a lui, i diritti di distribuzione furono recuperati e il film poté uscire in tutto il mondo nella versione director's cut. Henenlotter, che mai si sarebbe aspettato così tanto interesse per un film girato praticamente per sfizio personale, anni dopo si sarebbe detto schifato del successo che riscosse ai botteghini. Fortunatamente per lui, quello fu l'inizio di una carriera stramba e simpatica.

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