Animazione/Fantastico/Azione/Gore
Giappone 1986
Con un nuovo adattamento anime in arrivo, il personaggio di Ken il guerriero sembra prossimo a conoscere una seconda giovinezza a livello multimediale. Qui in Italia, d'altro canto, il mito di Hokuto no Ken non è mai davvero tramontato da quel 1987 in cui l'anime originale, datato 1984, si affacciò timidamente sulle reti locali. Quarant'anni dopo la prima trasmissione originaria in Giappone, l'Italia festeggia il compleanno del maestro della sacra scuola di Hokuto andando a restaurare e ridoppiare il primo lungometraggio dedicatogli, datato 1986 e diretto da quel Toyoo Ashida già responsabile della regia principale della serie. E non c'è davvero modo migliore per godersi questo magnifico guilty pleasure.
Perché il primo film di Hokuto no Ken può solo essere considerato un guilty pleasure, stretto com'è tra una narrazione claudicante e un'animazione a dir poco sbalorditiva, perfetto esponente di quella generazione di anime il cui budget stratosferico sopperiva sovente ad una sceneggiatura mediocre, talvolta scritta in fretta e furia per avviare la produzione animata.
La volontà di condensare circa metà della storia della prima parte del manga, che va dall'inizio della saga di Shin alla morte di Rey la Stella del Dovere di Nanto, e il conseguente primo scontro tra Ken e Raoh, è un'operazione ardita: troppi personaggi, troppi scontri, troppi eventi da condensare in meno di due ore, troppo poco tempo persino per un semplice battle shonen, tanto che la stessa porzione di storia aveva richiesto circa 49 episodi nella trasposizione televisiva. L'operazione di sintesi finisce così per funzionare sotto certi aspetti, ma ovviamente per non funzionare sotto molti altri.
Paga sicuramente il fatto di aver fuso il primo story-arc, con lo scontro con Shin, assieme a quella che sarebbe diventata solo a posteriori la storia portante del manga, ossia la crociata di conquista di Raoh e le lotte di Ken contro di lui e Jagi. La narrazione è così più compatta rispetto a quanto visto nel manga e nell'adattamento televisivo, opera di uno sceneggiatore che sapeva dove la storia sarebbe andata a parare, cosa che ovviamente Buronson non poteva sapere quando ha iniziato a scrivere le avventure di Ken nel 1983.
Dove la sceneggiatura arranca è principalmente (ma non solo) nella progressione degli eventi, che si susseguono in modo praticamente meccanico. Non è dato sapere come Kenshiro capisca immediatamente che il fantomatico "uomo dalle sette cicatrici" che guida le orde di predoni sia in realtà Jagi, né come lui e Rey capiscano subito dove cercarlo, tantomeno come la piccola Lynn possa riconoscere Yuria senza averla mai vista; alcuni personaggi, paradossalmente, entrano in scena per poi sparire nel nulla, come Airy, la sorella di Rey il cui salvataggio ne motiva l'esistenza, o la stessa Yuria, che alla fine dell'ultimo atto svanisce nel nulla costringendo Ken a riprendere il suo vagabondaggio. A mancare del tutto all'appello è poi il personaggio di Toki, la cui presenza avrebbe dato un respiro più ampio alla storia.
Quanto poi alla caratterizzazione di Raoh, questa è quella che soffre di più dall'opera di sintesi effettuata. Venuto meno il suo rapporto con il fratello Toki, che ne metteva in luce il lato più umano, il Re del Pugno è così un semplice demone dall'ambizione infinita, il quale non ha più nessun briciolo di umanità; il suo scontro con Ken diventa semplicemente quello del male assoluto contro il bene assoluto, oltre che una labilissima metafora sull'annichilimento nucleare; certo, quel finale in cui la dolcezza di Lynn riesce a placarlo fa presagire come possa esserci qualcosa di più sotto il suo cipiglio ferreo, ma il fatto che non sia mai stato prodotto un vero seguito ufficiale a questa prima incarnazione cinematografica lascia tutto in sospeso e quella risoluzione appare così motivata solo dalla convenienza dovuta al trovare un modo di interrompere lo scontro fratricida. Il paradosso è che tutti questi difetti si sarebbero potuti evitare semplicemente allungando di poco la durata di tutto il lungometraggio.
Tuttavia, se c'è un altro merito che va riconosciuto a questo adattamento, risiede nella sua capacità di trasformare il tutto in una metafora ecologista tutto sommato simpatica, dove la lotta per resuscitare una natura distrutta dall'orrore della guerra è certamente più riuscita della metafora nucleare.
D'altro canto, sul piano stilistico-estetico il primo film di Hokuto no Ken è ancora oggi semplicemente ottimo. La parte del leone la fanno le animazioni fluide e curate, che restituiscono alla perfezione i movimenti dei personaggi e la velocità degli scontri, così come l'estrema ferocia del kenpo di Hokuto e Nanto: non più limitati dalle pastoie della censura televisiva, gli animatori si sono sbizzarriti a caricare di tutto lo splatter possibile le scene di lotta, con corpi che esplodono in geyser di sangue, budella che saltano in aria, teste che si gonfiano come palloni e persino un teschio che schizza fuori dalla faccia, tanto che a risaltare qui non è tanto l'influenza che Mad Max 2 ha avuto su Buronson e Hara, quanto quella primigenea del Violence Jack di Go Nagai; un'inventiva gore che fa il paio con una dovizia di particolari che leggenda vuole sia stata ottenuta grazie al fatto che i disegnatori abbiano usato come riferimento dei manuali di anatomia umana, quando si dice amare il proprio lavoro...
La regia di Toyoo Ashida a tratti stupisce anch'essa per l'inventiva, soprattutto per l'uso del montaggio, nel quale usa inserti quasi subliminali per enfatizzare meglio le scene. La linearità e la piattezza viste nel precedente adattamento di Vampire Hunter D per fortuna sono lontane e qui non lesina soluzioni spettacolari per le sequenze di lotta, anche se l'aver risolto lo scontro tra Rey e Raoh come un videoclip è sicuramente una trovata che oggi mostra prepotentemente il peso degli anni (ma a quanto pare nello script originale, in parte anche animato, la progressione del combattimento fosse data da un dialogo su come Roah sapesse usare la propria aura combattiva come arma, poi semplificato forse per motivi di tempistiche produttive).
Vincente è anche la trovata di alternare le immagini del mondo pre-olocausto al setting post-apocalittico: le scene nelle quali l'orrore della guerra si manifesta sono orrorifiche e spiazzanti, degne visioni di un'animazione nipponica post- Gen di Hiroshima, che poco prima aveva usato soluzioni simili per ritrarre il vero bombardamento nucleare.
Semplicemente magnifico è poi il modo in cui il character designer Masami Suda qui riesce a restituire lo splendido tratto di Tetsuo Hara: il dettaglio dei personaggi e la loro espressività solo sbalorditivi e ancora oggi ineguagliati.
Dinanzi a cotanta magnificenza estetica, è proprio il caso di dire che il progresso tecnologico non è riuscito a sostituire la genuina bellezza che l'animazione classica riusciva a creare quando supportata da un budget adeguato. E questo lungometraggio, pur nella sua natura puramente celebrativa del manga originale, ancora oggi lo dimostra perfettamente.
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