con: Adam Driver, Giancarlo Esposito, Shia LaBeuf, Nathalie Emmanuel, Aubrey Plaza, Jon Voight, Laurence Fishburne, Dustin Hoffman, Talia Shire, Jason Schwartzman, Kathryn Hunter, Balthazar Getty, Grace VanderWall, Jamers Remar, D.B. Sweeney, Chloe Fineman.
Usa 2024
---CONTIENE SPOILER---
In un'intervista rilasciata durante la mitologica lavorazione di Apocalypse Now, Francis Ford Coppola ha sancito come creare un film pretenzioso sia peggio di creare un film brutto, perché si finirebbe per tediare lo spettatore oltre che per inorridirlo.
Oltre vent'anni dopo, nei primi anni 2000, Coppola annuncia Megalopolis, quello che nelle sue intenzioni sarebbe stato il suo film più grande e ambizioso e che all'epoca avrebbe dovuto seguire due tracce narrative, una ad ambientazione contemporanea e una ambientata nell'antica Roma, al fine di comprendere come l'essere umano si sia evoluto in duemila anni di Storia.
A maggio 2024, dopo circa un quarto di secolo, Megalopolis è pronto e viene presentato a Cannes, dove divide il pubblico e la critica: c'è chi grida al capolavoro, c'è chi lo definisce come uno dei film più brutti mai fatti.
Nei mesi successivi Megalopolis viene presentato in varie anteprime ed esce a settembre in Usa. Ovunque le critiche sono sferzanti e accusano tra l'altro l'autore di aver creato un'opera pacchiana e, guarda il caso, pretenziosa, in uno scenario che per forza di cose ricorda quello che accompagnò, decenni prima, la prima uscita in sala de I Cancelli del Cielo di Michael Cimino.
Il parallelismo con il capolavoro maledetto che chiuse l'epoca d'oro del cinema hollywoodiano non si ferma però alla sola accoglienza: durante la lavorazione, voci e scandali si sono susseguiti senza sosta; si va da un budget gonfiatosi a causa dell'ambizione dell'autore, il quale ha voluto utilizzare una nuova e inedita tecnologia per le riprese con lo stagecraft, ad accuse di molestie dovute al fatto che abbia abbracciato e dato baci sulle guance a delle comparse in una scena ambientata durante una festa stile Roma pagana (siamo pur sempre nell'epoca degli snowflake e della cancel culture).
Megalopolis è in tutto e per tutto un film che ha spiazzato, sia prima che dopo la sua uscita. L'astio nei suoi confronti è quindi comprensibile. Il fatto che venga additato come un film brutto o anche solo malriuscito decisamente no.
La visione di Coppola è qui quanto mai strabordante e sfrenata, a partire dalla trama: a New Rome, metropoli del futuro, vera e propria versione fuori dal tempo di New York, l'ambizioso architetto Ceasar Catilina (Driver) è in rotta di collisione con il sindaco Cicerone (Esposito) per la gestione della città, in particolare in merito al suo progetto di costruzione di un piano urbanistico; le cose si complicano quando Julia (Nathalie Emmanuel), figlia di Cicerone, inizia una relazione con Catalina, il quale possiede anche l'abilità di manipolare il tempo.
In Megalopolis c'è tutto quello che Coppola ha narrato e descritto nel corso della sua carriera, oltre che tutta la sua ambizione.
Si parte dal personaggio di Catilina, un architetto con una visione bigger than life; non un personaggio stile lo Howard Roark di Ayn Rand, essendo più vicini, nelle su stesse parole, alla filosofia di Emerson. Più che un professionista individualista, quindi, è un artista dall'indole sensibile che, in quanto tale, può modificare il tempo, fermarlo o addirittura percepire il futuro.
Tramite lui, Coppola riflette sull'estetica e l'importanza dell'arte: Catilina è un visionario che potrebbe riplasmare un mondo morente ad una nuova era, una nuova visione per la nuova generazione. Ma Coppola non lo descrive come un semplice genio tormentato, bensì anche e forse soprattutto come un uomo perso nei suoi vizi e sovente avulso da ogni realtà, chiuso nella propria visione e nel lutto per la defunta moglie. Facile vedere in lui un suo doppio, da cui l'estrema onestà con il quale descrive sé stesso e la sua impossibilità di creare qualcosa senza il supporto degli affetti. Dopotutto, l'arte, che nel film prende la forma dell'arcano materiale megalon, altro non è se non tessuto vivente che viene letteralmente estratto dalla linfa vitale.
Lo scontro è ideale ed è quello tra un idea futurista nel senso migliore del termine e il conservatorismo "classico"; Cicerone, nomen omen, è refrattario ai venti riformatori che soffiano da un cesare e scettico verso l'effettiva fattibilità del progetto del rivale. La vera forza disgregatrice non è però data dal sindaco e patriarca, quanto dal personaggio di Clodio Pulcro, incarnato da un perfetto Shia LaBeuf, personificazione degli umani vizi, tra cui la cupidigia, la lussuria e l'invidia, e mosso un odio immotivato verso il successo del cugino Catilina. Tanto che il finale è chiarificatore: Clodio Pulcro altri non è che il doppio di Trump, un populista che aizza il malcontento delle classi più deboli contro i potenti al solo fine di trarre affermazione personale, il quale finisce appeso a testa in giù in un tripudio di cappelli rossi gettatigli contro, nel caso in cui ci fossero dubbi su chi rappresenti.
La strada per il futuro, come suggerisce il magnifico finale, il viatico per la vera utopia è dato dall'incontro e dalla collaborazione di forze che sono opposte solo in apparenza, non una semplice mediazione, né un mero compromesso, quanto la realizzazione di come le due visioni siano più simili di quanto si voglia ammettere, con uno sforzo mirato a superare i particolarismi e le antipatie personali al fine di coltivare il bene collettivo.
Coppola descrive questo scontro nel modo a lui più familiare possibile, letteralmente, ossia come una tragedia classica che coinvolge i membri di due famiglie. Gli echi de Il Padrino sono forti, ovviamente, poiché la base drammaturgica è la medesima; l'influenza della tragedia classica è qui per forza di cose più marcata, tanto che arriva a citare apertamente Shakespeare, oltre che un'infinità di classici latini.
New Rome è così null'altro che un doppio di un'America che ha raggiunto uno stato di decadenza al pari di Roma. Il parallelo è scontato, ma permette a Coppola di intessere un racconto che raggiunge l'universalità. Oltre che a tirare su un'estetica barocca oltre i limiti del kitsch.
Da questo punto di vista, Megalopolis è un film tronfio e ampolloso e, nel suo raccontare di un'epoca decadente e tronfia fuori dal tempo e dallo spazio, trova la perfetta ragione di essere barocco e eccessivo, in una compattezza stilistico-narrativa da fare invidia a molte altre opere decisamente più acclamate negli ultimi anni.
L'estetica è poi solo apparentemente post-moderna nel suo fondere neoclassicismo e art déco, visto che riprende e amplifica l'estetica architettonica newyorkese classica, con i suoi esterni reminscenti di epoca classica e gli interni di una modernità retro che non smette ancora di affascinare, il tutto immerso in una luce dorata che ne amplifica la carica sgargiante.
Tronfiaggine estetica che si appaia a quella narrativa: i dialoghi sono enfatici e il ritmo è volutamente altalenante, alternando accelerazioni a rallentamenti improvvisi e solo apparentemente immotivati; anche qui la coerenza è evidente e fa comprendere davvero come Coppola abbia una visione chiara e precisa del tutto.
E' forse proprio tale aspetto a spiazzare lo spettatore moderno, ossia la forma, sia stilistica che narrativa, totalmente avulsa da ogni convenzione, in una ricerca costante di uno sperimentalismo che da decenni non trova eguali nel cinema tutto, almeno quello mainstream. A Coppola, dopotutto, le convenzioni non interessavano a trent'anni, figuriamoci a ottanta e a fine carriera.
E' di conseguenza fin troppo facile capire perché Megalipolis sia così odiato o al massimo guardato con perplessità: nessuno oramai è abituato a pellicole così libere e così ambiziose nel loro totale sprezzo di ogni convenzione.
Il messaggio politico, sempreverde e universale, non è poi troppo marcato, quindi può risultare debole agli occhi di chi è abituato a racconti dove i personaggi snocciolano dialoghi ridondanti sulle problematiche della società civile; quanto al concetto di arte e di utopia, in molti non sanno neanche cosa sia. Ed è vero, alla fine Coppola non dice nulla di inedito o ardito; ma lo fa in modo sincero e privo di compromessi. Come l'arte, quella vera, dovrebbe sempre essere.
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