con: Anthony Franciosa, Daria Nicolodi, Giuliano Gemma, John Saxon, Mirella D'Angelo, Veronica Lario, Christian Borromeo, John Steiner, Ania Pieroni, Eva Robins, Carola Stagnaro.
Thriller/Gore
Italia 1982
---CONTIENE SPOILER---
Le incursioni nel fantastico di "Suspiria" (1977) e "Inferno" (1980) permisero ad Argento non solo di sperimentare registri e stili differenti nel suo cinema, ma anche di ripensare l'impianto classico del thriller. Tanto che quando ritorna al suo filone favorito, quello del "giallo", decide di farlo in modo inedito, spazzandone via alcune delle convenzioni e luoghi comuni, ripensandone la struttura sin nelle sue fondamenta ed infarcendolo con dosi talvolta più esasperate di violenza.
"Tenebre" si configura così come la variazione sul tema: laddove "Profondo Rosso" (1975) portava gli stilemi all'apice definitivo, quest'ultima opera li ripensa, mischiando le carte in tavola per creare qualcosa di nuovo, ma pur sempre perfettamente assimilabile ai classici.
"Tenebre" si configura così come la variazione sul tema: laddove "Profondo Rosso" (1975) portava gli stilemi all'apice definitivo, quest'ultima opera li ripensa, mischiando le carte in tavola per creare qualcosa di nuovo, ma pur sempre perfettamente assimilabile ai classici.
D'altro canto l'anno in cui "Tenebre" arriva al cinema è propizio; il 1982 rappresenta il punto di massima fama per l'horror italiano, dopo che il filone dei thriller a tinte forti si era esaurito a metà degli anni '70.
Un apice che prelude, purtroppo, alla discesa: l'avvento dello strapotere televisivo porta alla chiusura di molte piccole case di produzione, al dirottamento di fondi e capitali pubblici e non verso il piccolo schermo. Il cinema di genere comincerà a mutare presto faccia: niente più alti valori produttivi o violenza ed erotismo senza freni, niente più formato cinematografico o pellicole 35mm, soppiantate dai 4:3 e dal 16mm, che meglio si prestano alla conversione in segnale elettromagnetico. La morte di quella immensa fucina di talenti, idee ed emozioni è di lì ad un passo. "Tenebre" finisce così per rappresentare uno degli ultimi esemplari genuini di splatter made in Italy, nonché l'ultimo film perfettamente riuscito e davvero memorabile di Argento.
Appena giunto da New York, lo scrittore di gialli Peter Neal (Anthony Franciosa), il cui ultimo romanzo "Tenebre" sta riscuotendo un successo "innegabile", si ritrova invischiato in una stramba storia di omicidi: un folle serial killer mette in scena le morti da lui descritte, ricattandolo. Coadiuvato dalla sua amica ed amante Anne (Daria Nicolodi), dal giovane Gianni (Chistian Borromeo) e con l'aiuto dell'ispettore Germani (Giuliano Gemma), Neal cerca di venirne a capo.
La struttura di base, sia sul piano narrativo che su quello estetico-stilistico, è a grandi linee la medesima che Argento presentava in "L'Uccello dalle Piume di Cristallo" (1970) e perfezionava in "Profondo Rosso": straniero trapiantato in Italia viene invischiato in una serie di violenti delitti commessi da un killer psicotico, bardato in un paio di guanti neri. La serie di morti sembra infinita, finchè un doppio finale non porta alla risoluzione. Le morti sono grafiche, condite con sottotesti sessuali più o meno espliciti. L'omicida soffre di un trauma che rivive costantemente, viene introdotto con dei flashback, delle soggettive, dei dettagli di ciò che consuma e del suo occhio.
Nulla di nuovo, sembrerebbe. Se non fosse che Argento decide di svecchiare in parte la formula introducendo delle succulente varianti.
Eliminati i contrasti monocromatici di "Profondo Rosso", così come i colori vividi di "Suspiria" e "Inferno", Argento si diverte a trasformare le tenebre del titolo in una overdose di bianco e colori chiari. La luce neutra la fa da padrone anche nelle sequenze in notturna, rischiarando le truci morti dei personaggi. Abbondanza di colore che viene esasperata con i costumi dei personaggi ed il trucco pesante del personaggio di Anne sino a rasentare la bruciatura dell'immagine, ma senza mai scadere nell'obrobrio, per creare un effetto originale.
La macchina da presa, come al solito, si muove elegantemente sui set e tra i dettagli, fino al barocchismo: quell'insolito, insistito ed impossibile movimento che segue l'esterno della casa delle due lesbiche è puro virtuosismo, stile sulla sostanza allo stato puro, eppure magnifica gioia per gli occhi.
Ma la vera novità è nella caratterizzazione del protagonista, in parte, e sopratutto nel twist finale.
Neal non è uno sprovveduto come Marcus Daly, ma uno scrittore affascinato dal lato oscuro dell'animo umano, che descrive l'atto dell'omicidio come suprema forma di liberazione dello spirito (la citazione iniziale, letta dallo stesso regista al pubblico).
Il killer, d'altro canto, anticipa le figure dell'assassino di "Fear City" (1984) e "Se7en" (1995): un folle che decide di imitare le pagine dei romanzi per liberare il mondo dai diversi, in questo caso gli omosessuali.
Il sottotesto omosessuale/omofobico presente in parte nella trilogia animale ed in "Profondo Rosso", qui trova un maggiore risalto: due delle vittime sono lesbiche, mentre il trauma alla base della demenza è scatenato da una figura femminile interpretata da Eva Robin's, che in quegli anni faceva scalpore a causa del suo status di transessuale. Argento non critica l'omosessualità, naturalmente, ma si limita a ritrarre un mondo incapace di accettarla se non come una devianza da eliminare.
Neal non segue gli omicidi, né insegue il killer in modo convenzionale o ossessivo come avveniva nelle pellicole precedenti. Il ruolo di testimone oculare ed inconscio viene così traslato sul giovane Gianni.
Fino, naturalmente, al colpo di scena finale, dove il ruolo dell'assassino e quello della vittima vengono sovvertiti: Neal uccide, a venti minuti circa dall'epilogo, il suo persecutore e ne prende il posto. I flashback si scopriranno risalire alla sua adolescenza, non a quella del primo assassino (interpretato dal caratterista John Steiner). Transfert che rivolta come un calzino la struttura narrativa introducendo una novità forte ed azzeccata. Argento ne approfitta anche sul piano visivo, creando un inquadratura poi saccheggiata innumerevoli volte nello slasher americano: il poliziotto interpretato da Giuliano Gemma si abbassa per rivelare la presenza dell'assassino alle sue spalle, nel "secondo finale".
In questo connubio di tradizione ed innovazione, "Tenebre" trova la sua forza: un thriller dalle tinte splatter avvincente e originale. Non un capolavoro: Argento aveva toccato quest'apice nel suo giallo con il cult del '75. Ma, allo stesso modo, una pellicola memorabile.
EXTRA
Tra i produttori della pellicola figura anche un rampante ed agguerrito tycoon dell'editoria audiovisiva che proprio in quegli anni andava cementificando il suo impero mediatico: Silvio Berlusconi.
Proprio durante una delle visite sul set romano, Berlusconi conosce la sua futura (ad oggi ex) moglie Veronica Lario, che nel film interpreta Jane. Tra i due è amore a prima vista, tanto che nei futuri passaggi televisivi di "Tenebre" sulle reti Fininvest e Mediaset, la sua crudele e cruenta sequenza di morte sarà tagliata per non offendere il grande padrone.
La scena è fortunatamente reperibile in ogni edizione Home Video del film. Su Youtube è stata inoltre caricata con un divertente titolo:
Concordo sul giudizio finale... forse è l'ultimo grande film di Dario Argento
RispondiEliminaPurtroppo si. Il successivo "Phenomena" non è un brutto film, ma non è neanche troppo riuscito.
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