di David Lynch.
con: Naomi Watts, Laura Harring, Justin Theroux, Robert Forster, Brent Briscoe, Michael J.Anderson, Dan Hedaya, Angelo Badalamenti, Melissa George, Ann Miller, Patrick Fischler, Michael Cooke, Bonnie Aarons, Billy Ray Cyrus, Monty Montgomery.
Francia, Usa 2001
---CONTIENE SPOILER----
La parentesi di "Una Storia Vera" (1999) fu propizia per Lynch sotto molteplici punti di vista; non solo gli valse diversi riconoscimenti e gli permise di sperimentare una storia ed un registro diverso rispetto ai suoi canoni, ma altresì di preparare al meglio quello che sarebbe stato il suo ritorno definitivo nei luoghi della mente. Laddove la storia di Alvin Straight era una veglia, uno sguardo vivo e mai filtrato dal subconscio, "Mulholland Drive" è l'immersione definitiva di Lynch nello strato più profondo della psiche di un suo personaggio.
E' facile avvertire in questa sua ennesima fatica una continuazione ideale dei temi di "Strade Perdute" (1996): tornano la scissione temporale, il tema hitchockiano del doppio e persino la bipartizione narrativa. Stile e tematiche in realtà già presenti da tempo nel suo cinema, al punto che sarebbe più corretto vedere "Mulholland Drive" (ed il successivo "INLAND EMPIRE") più che altro come il punto di arrivo della poetica di Lynch, una naturale evoluzione che parte da territori già battuti per raggiungere una prima forma di astrazione, disancorandosi (sopratutto nella prima parte) da ogni compromesso narrativo possibile.
E' interessante tenere conto anche delle particolari condizioni che hanno portato alla creazione dell'opera e del suo recepimento da parte del pubblico.
Era il 1999 quando la ABC propose a Lynch la creazione di un altro serial sulla scorta del mai dimenticato "Twin Peaks". Con un budget di 8 milioni di dollari, avrebbe dovuto confezionare un pilot la cui storia ruotasse attorno ad un mistero e ad una ragazza, avendo come in passato la massima libertà possibile. Finite le riprese, i produttori visionarono il risultato e ne rimasero sconcertati: lo stile ermetico ed onirico, la storia complessa e cupa, persino l'età anagrafica delle due attrici protagoniste (!) rendevano "Mulholland Drive" un prodotto semplicemente invendibile; pur se nove anni prima aveva accolto a braccia aperte l'ondata di aria fresca che il mistero sulla morte di Laura Palmer aveva creato, ora sembrava che quello stesso pubblico casalingo fosse mal disposto verso programmi televisivi troppo complessi ed ambiziosi (e fortunatamente l'imminente successo de "I Soprano" avrebbe sconfessato tale fobia).
Accantonata l'idea di una serie televisiva, "Mulholland Drive" resta sepolto in un dimenticatoio ed in forma incompleta, finché la francese Studio Canal non offre a Lynch altri 7 milioni per trasformare quel conturbate pilot in un lungometraggio per il cinema. Richiamati cast e troupe, girato altro materiale (che paradossalmente finisce per sposarsi alla perfezione con quello originale), "Mulholland Drive" viene presentato per i festival in giro per il mondo riscuotendo innumerevoli consensi, ottiene il premio per la miglior regia a Cannes (ex equo con un altro capolavoro, "L'Uomo che non c'era" dei fratelli Coen) e persino una nomination all'Oscar per la regia (in barba al presunto snobbismo di tanto pubblico americano). Distribuito in sala, forte dell'ottima accoglienza di critica, si rivela persino un buon successo al botteghino e diviene in brevissimo tempo una pellicola di culto anche presso il pubblico generalista, rimasto affascinato proprio dalla sua cripticità.
E al di là del suo stile astrattivo ed onirico e dell'ottimo recepimento, bisogna ora chiedersi, per comprenderlo in modo quanto più completo possibile, cos'è davvero "Mulholland Drive"?
"Mullholland Drive" è un mystery: al centro di tutto, per le prime 2 ore della sua durata, c'è il mistero di una donna che si identifica come "Rita" (Laura Harring) in onore alla "Glida" di Charles Vidor, reduce da un drammatico incidente stradale, che paradossalmente la salva dall'azione di un killer armato di pistola silenziata, per poi sviluppare un'acuta amnesia.
"Mulholland Drive" è la storia di una ragazza ed il suo sogno: la giovane e naif Betty (Naomi Watts), che arriva a Los Angeles per tentare la carriera di attrice e conosce (per puro caso?) "Rita" e decide di aiutarla.
"Mulholland Drive" è uno spaccato acido ed irriverente del sistema produttivo hollywoodiano, con un regista forse genio forse ciarlatano, il giovane Adam (Justin Theroux), costretto ad assumere un'attrice spalleggiata dalla mafia e ad agire sotto la supervisione di un gruppo di loschi figuri.
"Mulholland Drive" è la visione onirca di queste storie che si sommano, si scontrano, si frammentano e si riuniscono in unica, densissima, narrazione, che Lynch si diverte a disseminare di indizi e simboli, vere e proprie "chiavi" per disvelarne il significato.
La Mulholland Drive del titolo, la famosa strada che costeggia le colline che circondano Los Angeles per mostrare un panorama mozzafiato, diviene al contempo luogo fisico e luogo della mente.
Il primo è il setting: quella Hollywood, qui divisa tra la strada del titolo e la wilderiana Sunset Bulevard, ora fabbirca di sogni, ora generatore di incubi. La città di "Mulholand Drive" è diversa dalla Lumberton di "Velluto Blu" e da Twin Peaks; laddove in queste due il bene e il male restavano, in un modo o nell'altro, divisi in due mondi separati, nella Hollywood lynchiana i due concetti si mischiano per formare un tutt'uno, un sogno pronto a divenire incubo, un incubo che a tratti può riservare livore.
La Mulholland Drive fisica è, come il Lost Highway Motel, il luogo nel quale il mistero ha inizio, in quell'incipit che è in realtà un finale, nonché in quel punto di svolta che lo riprende per dare una cornice essenziale a tutti i frammenti mostrati sino a quel momento.
Il mistero è duplice: l'identità di "Rita", ma anche il mistero sulle azioni dei personaggi. Entrambi sono svelati, come da tradizione, utilizzato un metodo a-logico: i simbolismi, le correlazioni tra i personaggi, singole parole o immagini volte a ricostruire gli eventi. Eventi che sono mischiati in un unico flusso di coscienza.
Essenziale è dunque la primissima sequenza: un ballo d'epoca, uno swing alternato al volto sorridente di Betty che si conclude con la soggettiva di qualcuno che si appoggia su di un letto. Ciò che vedremo non è reale, ma un sogno, ossia una rielaborazione a-logica, a-simmetrica e fortemente simbolica di quanto è successo, succede o sta per accadere.
Il piano temporale si sfasa nuovamente: ciò che accade a "Rita" è in realtà accaduto/accadrà a Betty. Ciò che accade a Betty è in realtà accaduto a "Rita". Le due sono, in pratica, "doppiamente doppi": i doppi di sé stessi, incarnazione di un lato della personalità del loro io cosciente e, contemporaneamente, incarnazione di parte della personalità dell'altra. Da qui l'uso, nella messa in scena, della parrucca, che le avvicina anche su di un piano estetico.
"Rita"è la femme fatale, chiamata in onore di una delle più grandi del cinema, il cui viso è quello perfetto e conturbante di una bellissima Laura Harring. "Rita"è la parte fragile di questa donna fatale, che dall'altro lato del suo io cosciente (la scatola blu, che forse rappresenta proprio il passaggio da uno stadio all'altro della psiche) è invece la fredda Camilla Rhodes, proprio lei, inizialmente celata sotto le spoglie di Melissa George. Laddove "Rita" è una donna spezzata, dimentica di sè stessa, Camilla è invece creatura dalla personalità forte, che si esprime mediante l'amore per più partner contemporaneamente e il cui successo è spalleggiato dai loschi figuri, quei mafiosi corpulenti e sottilmente inquietanti che per tutta le prima parte hanno perseguitato Adam.
Betty ne è ,in entrambe le sue incarnazioni, l'opposto, perfettamente speculare. Viene introdotta in modo solare, incarnata dal sorriso delizioso e solare di una irresistibile Naomi Watts. Si muove come una giovane attrice in un film dell'età d'oro di Hollywood: femminile, ma mai davvero erotica, spigliata eppure incredibilmente ingenua, incarna un lato più attivo eppure più infantile della psiche. Al punto di ritrovarsi, in una delle sequenze cardine, proprio sul set di un film anni '50. Il suo doppio immediato è quella Diane Selwyn che la Watts interpreta con altrettanta efficacia: una donna consumata dall'amore, fisico e mentale, per Camilla, nuovamente suo opposto; una donna disperata, fragile sino al punto di rottura. Una donna che non vive in un sogno fatato come quello di Betty, ma nei frammenti di quel sogno di gloria ora infranto, in un mondo grigio, dove all'amore si sostituisce una masturbazione inflitta come un castigo.
L'unione tra queste due, quattro e al contempo unica personalità è in realtà totale e perenne (come suggerito dalla borsa piena di soldi che "Rita" possiede nella prima parte), ma si realizza davvero su schermo solo due volte. La prima è nella giustamente famosa sequenza saffica, tra le più genuinamente eccitanti mai filmati: la comunione amorosa dei due doppi è il preludio alla riunione, pur parziale, della personalità, alla ricomposizione del quadro narrativo ed identitario e allo svelamento del mistero.
La seconda è l'ingresso al club "Silencio", una delle due dark room del film, luogo della mente, nella quale l'identità dei due personaggi si ricompone.
Il Silencio è un club dove ogni suono, musica e parola è pre-registrata: ogni cosa ha già avuto il suo corso, ciò a cui si assiste è un mero eco degli eventi, ossia una immagine ritardata, una visione filtrata; come nei sogni, al punto da divenire un sogno nel sogno. L'esibizione di Rebekah Del Rio è narrazione, rievocazione di un fatto avvenuto, una catarsi totale che genera la chiave per quella scatola (contenente il mistero, ideale punto di transizione tra stadi mentali) che una volta aperta disvelerà una nuova eco, questa volta chiarificatrice, degli eventi.
E' da questo momento in poi che i personaggi riprenderanno i loro ruoli primigenei. In una sovversione totale degli schemi narrativi, l'ultimo atto (chiamato così solo per fini esplicativi) è al contempo prologo: fine ed inizio coincidono, rincorrendosi in un infinito loop come nelle precedenti "Strade Perdute".
E' da ora che scopriamo la vera identità dei due personaggi. Ogni tessera del puzzle si riunisce per formare un quadro parziale degli eventi, una cornice che permette di riunire quegli indizi che, pur meno immediati, si incastrano lo stesso tra loro.
La visione enigmatica ed inquietante del bar Winkie's si svela metafora del peccato, ancora sogno nel sogno dove Diane/"Rita" rielabora gli eventi che hanno portato all'incidente (e tenendo conto che avvengono su schermo per il tramite del personaggio di Patrick Fischler, si ha un vero e proprio triplo sogno): la misteriosa figura incarna (forse) la sua paura inconscia per l'arruolamento del killer. Mentre, successivamente, le due figure degli anziani che fuoriescono dalla scatola blu (ancora, tramite mentale, luogo nella mente nel luogo della mente) il suo senso di colpa, laddove nella prima parte, con quei sorrisi sadici e sbruffoneschi, incarnavano la paura del fallimento del sogno di attrice di Betty/Diane.
La storia di Adam, collaterale a quella delle due donne, permette a Lynch di torgliersi qualche sassolino nella scarpa. Pur non caratterizzandolo come una vittima del sistema, il grande artista lo usa per spalare fango sui miti produttivi di Hollywood e dintorni: i produttori non sono che dei mentecatti, dei mostri in doppio petto chiusi in una dark room dalla quale tutto osservano, muovendo le fila dei loro sottoposti come delle vere e proprie divinità dell'abisso che agiscono per conto di magfiosi rivoltanti e violenti. Non per nulla, nei panni del produttori troviamo Michael J.Anderson, l' "Uomo da un altro luogo" di "Twin Peaks, uno spirito maligno votato alla cannibalizzazione del prossimo.
"Mulholland Drive" è, in sostanza, un rompicapo: una duplice/triplice storia ripartita in una serie di visioni; un'alterazione della canonica forma filmica ripensata in modo totalemete a-logico, dove però ogni singolo elemento trova una sua perfetta collocazione. Una storia di base in fondo semplice, raccontata in un modo che definire anticonvenzionale sarebbe riduttivo.
La sua forza è in fondo tutta qui: ripensare da capo il mezzo filmico senza perdere mai di vista la narrazione, senza mai scadere nel barocchismo fine a sé stesso. Riuscire ad incuriosire in modo intelligente lo spettatore, chiamandolo a ricomporre l'enigma in modo ancora più attivo che nei normali gialli.
Opera che solo un genio può portare a così perfetto compimento.
EXTRA
Nel 2002 "Mulholland Drive" fu pubblicato per la prima per il mercato Home Video. Ma l'edizione DVD presentava alcune particolarità, tutt'oggi curiose, volute dallo stesso Lynch.
Non erano presenti contenuti extra: nessun approfondimento doveva essere dato all'opera, lo spettatore doveva coglierne il significato da solo. Ad ogni modo, nell'edizione italiana ed in alcune edizione eurepee furono aggiunte delle interviste al cast ed il filmato della premiazione a Cannes come accompagnamento.
Non era presente l'opzione per la selezione delle singole scene. In questo Lynch fu categorico: il film andava visto sempre e comunque dalla prima all'ultima scena.
Nella sequenza d'amore tra le due protagoniste, lo stesso Lynch decise di oscurare i genitali di Laura Harring per evitare che gli snapshot dell'inquadratura finissero sui siti specializzati in nudi di celebrità.
In compenso, gli spettatori americani poterono godere di un inserto alquanto singolare: in un testo a video, Lynch spiegava come facendo attenzione a determinati indizi, il mistero alla base della storia poteva essere decifrato con più facilità. Tra questi, il più emblematico è l'apparizione di una lampada rossa nelle scene più importanti.
Un mistero, una città falsa, un mondo intriso nel male, un omicidio, una bellissima ragazza al centro di tutto."Mulholland Drive" spartisce molti elementi di base con "Twin Peaks" e forse non solo quelli: nel Silencio, tra gli spettatori, è possibile notare una faccia familiare:
Un viso che somiglia incredibilmente a quello di Laura Palmer.
E' davvero lei?
Sheryl Lee non è accreditata nei titoli, eppure sembra essere davvero lei in questa fugace, quasi fantasmatica, apparizione.
Lynch, in merito, non sembra aver mai confermato, né smentito nulla. E' possibile dunque che la storia di Diane e Camilla esista nello stesso mondo di quella di Laura e del Fred di "Strade Perdute".
Non posso dire di averlo capito, ma... che filmone!
RispondiEliminaOnestamente ti consiglio di riguardarlo: ad una seconda visione è molto più chiaro, a differenza di molti altri film di Lynch.
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