sabato 14 marzo 2015

Cannibal Holocaust

 di Ruggero Deodato.

con: Robert Kerman, Carl Yorke, Luca Barbareschi, Francesca Ciardi, Perry Pirkanen, Salvatore Basile.

Italia (1980)



















Si può tranquillamente affermare che il found footage abbia di fatto ucciso il cinema horror; quello del video ritrovato apparentemente per caso è un escamotage abusato sin oltre il limite della saturazione, che, a dispetto della volontà del filmmaker che lo adopera, oramai non porta più a calarsi in modo più diretto nella storia narrata, teoricamente "più reale" dell'ordinaria fiction, bensì ad infrangere la sospensione dell'incredulità dinanzi a scelte registiche o narrative a dir poco risibili.
Non di rado ci si ritrova ad esclamare dinanzi alle immagini di [REC] (2007) o, peggio, di "Cloverfield" (2008), frasi tipo: "Ma perché diavolo la telecamera non esaurisce la batteria?" o "Ma questa videocamera è a prova di mostro?", prova di come le buone intenzioni di chi mette in scena una storia con uno stile simile si rivelino, al netto dell'incompetenza di scrittura, come una semplice furbata per capitalizzare sulla presunta ignoranza del pubblico. E di fatto, tolto l'exploit di Romero ed il suo "Diary of the Dead" (2007), vero e proprio atto d'accusa contro l'abuso del registro "falso documentario", l'unica altra pellicola degna di nota appartenente al filone è stata quella che vi ha dato origine. La quale, come gli spettatori più smaliziati sanno, non è "The Blair Witch Project" (1999) e nemmeno il meno conosciuto ma più ardito "The Last Broadcast" (1998), ma un film italiano del 1980, famoso per essere il film più censurato di sempre: "Cannibal Holocaust".


Quattro giovani filmmaker capeggiati dal caparbio ed esuberante Alan Yates (Cark Yorke) partono alla volta della foresta amazzonica per filmare le ultime tribù cannibali, nella speranza di poterne immortalare i rituali più bizzarri. Dopo che del gruppo si sono perse le tracce, la produzione decide di inviare in loro soccorso il professor Monroe (Robert Kerman), esperto antropologo, il quale riuscirà a recuperare solo il materiale girato; il quale dimostra come le intenzioni dei ragazzi fossero tutto fuorché scientifiche.


Non si può comprendere il lavoro di Deaodato senza contestualizzarlo nel panorama filmico e civile nel quale è stato prodotto. Il regista di origine potentina era all'epoca reduce dai successi di "Uomini si Nasce, Poliziotti si Muore" (1975) e sopratutto "Ultimo Mondo Cannibale" (1977), primo capitolo di un'ideale trilogia sugli antropofagi. Successi che andavano di pari passo con le polemiche, che vedevano tacciare il regista di fascismo e feticismo della violenza, data la forte componente grafica della sua messa in scena.
Pressato dai produttori per un seguito di "Ultimo Mondo Cannibale", Deodato decide di creare qualcosa di diverso da una semplice continuazione del film, una nuova declinazione del medesimo canovaccio. Declinazione ispirata da due fenomeni distinti; il primo, ammesso esplicitamente, è la violenza alla fine degli anni '70 che insanguinava le strade della Penisola; la violenza del terrorismo estremista riportata senza filtri né censure dai telegiornali: mentre al cinema la censura fa strage di pellicole, la televisione inonda ad ogni ora le case italiane con morti e feriti veri mostrati in modo crudo; come reazione alla "gratuità", Deodato decide di girare il film come un resoconto giornalistico e, in secondo luogo, di spingersi oltre sino a mostrare i giornalisti come carnefici.
E qui che si svela quella che molto probabilmente è la seconda ispirazione di Deodato: il declino dei Mondo Movie di Jacopetti e Prosperi. Risale al 1975, con "Candido", la fine dei documentari di exploitation del duo italiano, dove la macchina da presa non solo riprendeva in diretta gli orrori del mondo moderno, ma talvolta arrivava a modificare fatti e situazioni per renderli più cinegenici, andando a distruggere la veridicità del documentario per creare un misto di fiction e realtà di dubbissimo gusto.


Deodato descrive i quattro filmmaker come un gruppo di sadici perennemente alla ricerca del "mostro" da immortalare; la ricerca della tribù cannibale non è documentazione del vero, ma ossessiva voglia di filmare l'inusuale, lo scioccante, che si traduce in violenza perpetrata in prima persona quando lo shock non può essere ripreso spontaneamente.
Man mano che la visione del finto documentario "L''Inferno Verde" procede, l'atteggiamento dei quattro si fa sempre più provocatorio e violento: dall'uccisione della tartaruga (scena che costò una condanna in sede legale a Deaodato ed il bando del film in 23 paesi nel mondo) si passa ad uno stupro a danno di una nativa con successivo impalamento della stessa, fatto poi passare per un uso tribale di fatto inesistente.
L'atteggiamento violento e dissacratorio non può non ricordare quello di Jacopetti e Prosperi, la cui attitudine di "pornografi del vero" li portò sinanche a far rinviare una fucilazione per aspettare la giusta luce; episodio che fa da collante con Deodato quando lo stesso lo rievoca nei filmati d'archivio, mostrando tra i precedenti lavori di Yates una cruda esecuzione.
Tuttavia, a differenza di Jacopetti e Prosperi, Deodato mostra la violenza in modo ancora più viscerale e spiazzante; quella di Yates e compari è una cattiveria pura, genuina, che inonda ogni singolo atto di sottomissione di un razzismo vouyeuristico unico; l'identificazione tra la follia del filmmaker e la volontà dello spettatore di guardare avviene subito e proprio ciò porta allo shock, ad un distanziamento ideale e necessario tra l'occhio del finto regista e quello del ricevente. Shock che si fa insostenibile anche a causa della maestria di Deodato nel conferire un'aurea di veridicità al girato: gli stessi attori sono operatori di macchina che riprendono le scene, andando a togliere un primo filtro nella messa in scena; lo stile documentaristico, per quanto "finto" poichè pur sempre basato su immagini ad hoc, rende tutto reale e tangibile al punto di questionare la stessa veridicità delle immagini, che a tratti sembrano reali anche quando la violenza ritratta viene perpetrata sugli esseri umani. Non è dato sapere quanto di questo esperimento di "cinema veritè" sia effettivamente voluto e quanto dovuto a fattori contingenti, quali lo scarsissimo budget a disposizione e la difficoltà di girare in una vera giungla fluviale; fatto sta che il lavoro di Deodato funziona.


La violenza da metà film in poi diviene vero e proprio veicolo per ritrarre la crudeltà dell'uomo civilizzato a danno di una popolazione pacifica; fin dall'inizio, la contrapposizione tra le meraviglie della civiltà e la barbarie della giungla viene sbattuta in faccia allo spettatore dalla voce narrante; ma una volta giunti al centro dell' "Inferno Verde" ci si accorge di come siano Yates e soci i veri barbari, i veri cannibali selvaggi, che si abbandonano alla violenza gratuita pur di avere delle immagini forti e che idealmente regrediscono allo stato brado una volta abbracciata la furia distruttiva (la scena di sesso dinanzi alla tribù).
Il massacro finale dei bianchi ad opera dei locali diviene così catarsi suprema e definitiva: lo schiavo si libera e ripaga l'invasore con la sua stessa moneta, l'oggetto della violenza si fa carnefice giustiziando coloro che lo hanno distrutto in nome del proprio ludibrio.
E se Deodato si fosse limitato a ritrarre la violenza e la barbarie solo mediante i canonici effetti prostetici e la comune messa in scena filmica, "Cannibal Holocaust" sarebbe stato il più grande esempio di meta-cinema mai creato; peccato che per fare scandalo l'autore decida di ritrarre anche una violenza vera, andando a contraddire tutto lo splendido discorso che stava intavolando.


Perchè se la violenza a danno degli esseri umani, per quanto efferata e talvolta gratuita, è sempre e comunque giustificata dai temi trattati, del tutto inutile è la violenza vera perpetrata a danno degli animali; tutte le uccisioni faunistiche nel film sono reali e mostrate "in diretta", con tanto di grida ad accompagnare gli sventramenti; una violenza, questa, totalmente inutile poichè non aggiunge nulla alla caratterizzazione dei personaggi o alle loro azioni e che Deodato decide di inserire solo per divertire il pubblico; non è un mistero, infatti, come già "Ultimo Mondo Cannibale" riscosse un grosso successo nei mercati asiatici grazie alla scena dell'uccisione di un alligatore; per il suo "seguito" il regista osa ancora di più e sventra una tartaruga gigante mostrandone la totale eviscerazione. Violenza vera e orgogliosamente sbattuta in faccia allo spettatore che abbassa il film al livello di squallore che esso stesso critica.


Al netto del cattivo gusto gratuito, "Cannibal Holocaust" resta comunque una pellicola interessante; non solo è il primo esponente della categoria del "found footage" ed uno dei più lucidi, ma anche un pamphlet sul vouyeursimo non riuscito perché contradditorio, ma decisamente efficace.

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