venerdì 27 marzo 2015

Thriller- A Cruel Picture

Thriller- En Grym Film

di Bo Arne Vibenius.

con: Cristina Lindberg, Heinz Hopf, Despina Tomazani, Per-Axel Arosenius, Solveig Andersson.

Svezia (1973)
















Cinema d'autore ed exploitation sono due realtà antitetiche? Assolutamente no; per rendersene conto non c'è bisogno di scomodare subito il cinema di Quentin Tarantino, ma basta riflettere su di una realtà molto più urgente e chiarificatrice: alcuni dei più grandi autori della Settima Arte hanno cominciato la loro carriera nell'exploitation o, ancora meglio, si sono sempre e comunque confrontati con il cinema di genere.
Il primo esempio, e più lampate, viene da due dei più grandi artisti del XX secolo: Akira Kurosawa e Sergio Leone, i quali hanno diretto pellicole volte all'intrattenimento, ma sempre e comunque con un piglio autoriale, che ha elevato il semplice "genere di apparteneza" (western o gidai-geki che fosse) allo stato dell'Arte.
Il secondo esempio è anche più calzante: Abel Ferrara, l'autore newyorkese per antonomasia, il quale comincia la sua carriera negli anni '70 dirigendo addirittura un porno, "9 Lives of a Wet Pussy" (1976).
Il confine tra genere e volontà artistica è quindi labile o addirittura inesistente; ma se Leone, Kurosawa e Ferrara sono sempre riusciti nell'impresa di coniugare aspirazioni contrastanti creando sempre pellicole riuscite o quantomeno divertenti, il caso più genuinamente strambo di exploitation d'autore è "Thriller- A Cruel Picture", rape & revenge diretto nel 1973 dal regista svedese Bo Arne Vibenius.


Vibernius è senz'altro un personaggio sui generis; esordisce al cinema come collaboratore di uno degli "autori" per antonomasia: Ingmar Bergman, per il quale riveste il ruolo di assistente alla regia in "Persona" (1966) e aiuto regista in "L'Ora del Lupo" (1968), ossia due dei film più influenti del maestro svedese. Emancipatosi dall'illustre mentore, Vibernius esordisce alla regia nel 1969 con "Hur Marie traffade Frederik", commedia per famiglie che si rivela un bagno di sangue al botteghino; amareggiato, decide di dirigere un secondo film solo per rifarsi del disastro commerciale; e questa volta decide di dare al pubblico quello che vuole, quello che nelle sue stesse parole è "merda zeppa di sesso e violenza".
Questa è la genesi di "Thriller": un film creato appositamente per dare alla massa ciò che la massa vuole, facendo leva sui suoi più bassi istinti; al punto che lo stesso Vibernius si vergogna e decide di usare lo pseudonimo di Alex Fridolinski nei titoli e far persino firmare a cast e troupe una clausola affinchè non rivelino la sua vera identità.
Ma la scuola di formazione bergmaniana è comunque indelebile, tanto che il regista sembra voler far dire di più alla sua semplice storia: inoltrarsi nella mente di una ragazza al limite e creare un ritratto livido tramite una storia, appunto, crudele.


Svezia, primi anni '70; Madeline (Cristina Lindberg) è una giovanissima ragazza rimasta muta a causa di uno stupro subito da bambina; un giorno, in visita in città, Madeline viene avvicinata dal sedicente Tony (Heinz Hopf), il quale la affascina con modi affabili e sfoggiando la sua ricchezza; ma non tutto è come sembra: Tony è in realtà il capo di un giro di prostituzione che rapisce Madeline e la rende dipendente dall'eroina per costringerla a diventare una delle sue schiave. Un pirmo tentativo di resistenza finisce in tragedia: per sottometterla, Tony le cava un occhio e la costinge a firmare una finta lettera d'addio ai genitori. Costretta ad umiliarsi per non impazzire a causa dell'astinenza, Madeline in fine decide di prendere in mano il suo destino e vendicarsi di tutti coloro che ne hanno abusato, trasformandosi in uno spietato angelo della vendetta.


La sceneggiatura di "Thriller" è in tutto e per tutto quella di Rape & Revenge privo di pretese; Madeline è caratterizzata come la classica vittima che si trasforma in carnefice, mentre tutti gli altri personaggi sono solo un contorno; il magnaccia Tony è un cattivo monodimensionale da operetta e gli avventori solo carnefici e carne da macello, mentre la parte della "coscienza" viene affidata al personaggio della prostituta Sally, che sprona Madeline a non demordere. E nella storia confluiscono tutti i topoi delle pellicole commerciali dell'epoca: sesso, violenza, droga, sopraffazione e riscatto, inseguimenti e macchine che esplodono; il tutto viene servito allo spettatore in modo diretto e crudo: le azioni di Madeline non vengono mai questionate; la morale è sempre ferma sulla dicotomia bianco/nero, ossia buono conto cattivo, in uno scontro fatto di assoluti come vuole la tradizione; siamo lontani anni luce dal conflitto morale di un'altra famosa vendicatrice dell'exploit d'autore, la ragazza anch'essa muta e probabilmente ispirata a Madeline de "L'Angelo della Vendetta" (1981) di Abel Ferrara. Da un punto di vista narrativo, a Vibernius non interessa riflettere o innovare, ma solo creare un crescendo di tragedie, sconfitte, sopraffazione e morte che porti alla violenta catarsi della seconda parte, con tanto di forzature volte solo a far proseguire la storia. E in questa escalation non ci fa certo leggero: la povera Madeline sopporta uno stupro in tenera età che ne compromette le facoltà psichche, il rapimento, la dipendenza da droga ed infine il suicidio dei genitori, convinti della sua fuga; l'unico momento in cui si ha una forma di introspezione nel personaggio è nella scena in cui la ragazza si reca in chiesa per pregare: scena che sembra messa su giusto per dare un pò più di spessore alla sua crescita interiore, ma che di fatto non aggiunge nulla al personaggio.


Se il contenuto è quello canonico, Vibernius dirige il tutto in modo inusuale: non come una semplice pellicola di genere, ma come un ritratto autoriale di un personaggio alla deriva. Tutto il film è ammantato da un ritmo lento e meditabondo, che allunga le semplici fasi della preparazione alla vendetta (la presa di coscienza e l'addestramento) fino all'esasperazione: tutta la parte centrale altro non è che uno spaccato della vita di un'anima persa, dove Madeline alterna la vita da schiava bianca a quella di amazzone pronta a colpire i suoi assalitori.
La prima versione della vita della ragazza viene ritratta sempre e comunque secondo i canoni dell'exploitation più puro: Vibernius insiste sulle splendide forme della bellissima Cristina Lindberg, poi divenuta famosa nel circuito dei softcore, mostrandola sempre svestita per la gioia del pubblico; la violenza è cruda, secca, sparata in faccia allo spettatore e cristallizzata in ralenty a tratti sfiancanti, volti ad enfatizzare il sangue che fuoriesce copioso dai corpi inermi delle vittime; e da questo punto di vista, Vibernius riesce a creare una delle sequenze più agghiaccianti di sempre: lo sfregio dell'occhio di Madeline, mostrato senza tagli né trucchi visivi, semplicemente riprendendo un bisturi che affonda la sua lama nel bulbo oculare sino a far fuoriuscire tutto il liquido; sequenza disturbante, creata sezionando un vero cadavere e che portò le autorità svedesi dell'epoca a bandire il film dalle sale.
Se la violenza è scioccante e talvolta gratuita, lo stesso si può dire delle scene di sesso; la maggior parte sono, si, necessarie a livello narrativo o anche e più semplicemente "ludico", in onore alla natura prettamente "consumistica" del film; ma l'inserimento di spezzoni pornografici è semplicemente scostante e mal si adatta all'atmosfera decadente che impregna le parti in cui Madeline incontra i suoi clienti. Inserti in realtà montati dal produttore, che sperava cos' di riuscire a vendere il film come semplice pornografia, ma che non riescono a stuzzicare la fantasia, anche perchè inseriti alla bene e meglio tra un'inquadratura e l'altra.


La verve autoriale di Vibernius si disvela in toto nella seconda parte; anzicchè optare per un crescendo, il ritmo resta lento, piatto quasi inerte: l'enfasi arriva unicamente dai ralenty nelle uccisioni e dall'efferratezza dell'assassinio di Tony in sé, non per la sua esecuzione.
La costruzione delle singole scene, inoltre, è lontana anni luce dalla secchezza propria del cinema di genere: a tratti sembra davvero di vedere un film di Bergman infarcito di sesso e violenza; tanto che, già nella prima parte, il devoto allievo arriva a citare il maestro costruendo la scena della confessione di Sally come un omaggio a "Monica e il Desiderio" (1953): un primo piano con il personaggio che guarda in macchina, distruggendo l'illusione filmica per far riflettere diretamente lo spettatore sugli abusi subiti, quasi a volerne castigare il vouyerismo. Non mancano, sempre per tutto il film, abusi di soggettive e zoom, tanto che alla fine il risultato è più strambo che divertente.


Al punto che non si può davvero definire "Thriller" come un film riuscito; il suo difetto è una schizofrenia totale tra forma e contenuto: la prima è sempre fin troppo ricercata, mentre il secondo è sempre e comunque votato al puro intrattenimento; inutile cercarci intuizioni degne di Ferrara o dello stesso Tarantino, che pure vi si ispirerà per il dittico di "Kill Bill" (2003-2004), poichè per Vibernius il "genere" non può avere contenuto, solo stile; ma quando lo stile è totalmente difforme dal contenuto, allora non si può che definire il lavoro fatto come malriuscito.



EXTRA

Distribuito in Italia dall' Italian International Film già negli anni '70, "Thriller" è tutt'oggi un film introvabile in lingua italiana; mai uscito in DVD o VHS, l'unico modo per vederlo è rivolgersi al mercato estero.

Sia in America che in Inghilterra è disponibile una doppia versione DVD:



La "Limited Edition" (cover rossa) contiene la versione uncut del film, comprensiva degli inserti pornografici; mentre la "Vengeance Edition" (cover gialla) è una vera e propria Director's Cut, che ristora i tagli nelle scene di violenza lasciando fuori gli iserti a luci rosse.

Sempre in America il film fu inizialmente distrubuito con due titoli: "They Call Her One-Eye", forse per far credere al pubblico che si trattasse di un film italiano e non di una produzione svedese, e il più lercio "Hooker's Revenge", del tutto fuorviante visto che Madeline non è una prostituta vera e propria. Entrambe le versioni furono pesantemente censurate nelle scene di nudo della Lindberg e in quelle di violenza.


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