con: Glauco Mauri, Elda Tattoli, Paolo Graziosi, Daniela Surina, Alessandro Haber, Pierluigi Aprà, Claudio Trionfi, Laura De Marchi, Claudio Casinelli.
Italia 1967
Impostosi al pubblico europeo con I Pugni in Tasca, Bellocchio, nel 1967, continua la sua disanima del malcostume celato nella vita privata degli italiani, restando nel territorio dello spaccato famigliare.
La Cina è vicina, sua opera seconda, è in senso lato una sorta di espansione del nucleo tematico del suo esordio, che allunga lo sguardo dell'autore dalla famiglia nucleare alle dinamiche di quella "famiglia laica" che era ed è il partito politico. Uno sguardo al solito caustico, che parte dal presupposto di disvelarne le ipocrisie malcelate, ma che viene in parte limitato da una capacità di graffiare decisamente inferiore rispetto al primo film.
Bologna, anni '60. Vittorio (Glauco Mauri) è il primogenito di una famiglia di antiche origini nobili, ora neocandidato assessore comunale tra le fila del partito socialista; suo fratello Camillo (Pierluigi Aprà) è invece uno scavezzacollo radicale. Mentre la corsa verso le elezioni incede, Vittorio si scontra con il compagno di partito Carlo (Paolo Graziosi), politico di lungo corso nonostante la giovane età. Questi è poi attratto, ricambiato, dalla di lui sorella Elena (Elda Tottoli), ricca e annoiata, mentre Vittorio cerca di concupire la giovane segretaria Giovanna (Daniela Surina), ragazza di Carlo.
"La Cina è vicina", ovverosia "il pericolo è in arrivo", slogan vergato da Camillo sui muri del partito socialista, figlio di una visione rivoluzionaria figlia dei suoi tempi e che oggi fa sorgere un sorriso amaro. Slogan che Bellocchio riprende assieme a Elda Tottoli (con la quale collaborerà anche nel futuro Pianeta Venere) per creare una disanima dello stato delle cose nella politica di base.
La sinistra è rampante in quel di Bologna; la rabbia dei giovani non è ancora sfociata nelle proteste sessantottine, ma è già presente, limitata agli scontri interni allo stesso schieramento, o, anche, tra singoli rappresentanti di partito. Il conflitto nasce così tra Vittorio e Carlo, con in mezzo i due interessi amorosi e lo scapestrato Camillo a fare da elemento di disturbo ulteriore.
Vittorio è la classe conservatrice che si è riciclata, un vero e proprio populista che (come si scopre nel comizio finale) ha attraversato come una meteora praticamente tutti i partiti per cercare di affermarsi sul piano politico; nobile, laureato (qui si avverte il gap con un'epoca nella quale il titolo di studio era sinonimo di elitarismo) e forbito, è un ipocrita lontano anni luce dal suo corpo elettorale, che si riempie la bocca di frasi elaborate le quali celano solo la sua innata incapacità. Al suo opposto c'è Carlo, vero e proprio proletario, giovane ma non imberbe (a differenza di Camillo), sprovvisto di una cultura certificata, ma perfettamente in grado di interfacciarsi con il popolo i cui interessi dovrebbe curare.
Lo scontro tra questi veri e propri mondi viene colorato da Bellocchio con note di sarcasmo, come nella sequenza nella quale un imbelle Vittorio viene formalmente linciato dalla folla durante un comizio di paese o come quando decide di fare sua Giovanna solo per provare la sua mascolinità. Vittorio è e resterà per tutta la durata un incapace, un omuncolo con modi da grande uomo, un miserabile che si salva solo grazie al titolo e all'affermazione sociale. Peggio di lui, c'è solo Camillo, ragazzetto esagitato privo di veri ideali ma pronto a qualsiasi cosa pur di contestare lo status quo, solo per poi tornare in seno alla famiglia e alla Chiesa, quell'istituzione che dovrebbe deprecare in quanto esponente della sinistra anche radicale, ma sotto la cui ala sembra trovarsi fin troppo bene.
E le due donne? Come il finale sottolinea, non sono che delle figure ancillari, proprietà da custodire e madri il cui ruolo va salvaguardato a prescindere dalla loro volontà.
Se questa famiglia di orgogliosi conservatori travestiti da progressisti rappresenta quell'ipocrisia atavica che appestava (come appesta tutt'oggi) il costume italiano, Bellocchio e la Tattoli non riservano certo uno sguardo più benigno nei confronti del "compagno" Carlo, anch'egli modernista solo sulla carta, un conservatore di fatto che non tiene minimamente in conto la volontà della donna e che in fin dei conti altro non è se non un conclamato arrivista, in grado di condannare il prossimo ad una vita non voluta pur di sistemarsi.
La visione al vetriolo di questo para-rivoluzionario anch'egli ancorato al passato conservatore e cattolico è del tutto complementare a quella del conservatore che finge di rinnovarsi; ed è a sua volta completata dal ritratto dei giovani furiosi, tutte maschere di un impegno politico che in un modo o nell'altro è di pura facciata, che non riesce a nascondere un'anima vacua, una mentalità del tutto egoistica travestita da impegno verso il prossimo.
Nella messa in scena, Bellocchio torna a sperimentare un montaggio veloce, il cui ritmo è incrementato dagli inserti che spezzano le singole inquadrature. La visione è sempre incalzante, ma meno radicale rispetto a I Pugni in Tasca. Sensazione che si avverte, per forza di cose, in tutto il racconto: le derive grottesche, benché gustose, finiscono per spuntare la cattiveria di storia e personaggi anziché renderle più acute; le immagini e le scene migliori sono certamente da antologia, come l'assalto all'auto, il finto attentato alla sede del partito socialista o il finale con l'attentato del gattino lanciato in testa ad un Vittorio impegnato in un discorso populista, ma in generale non si percepisce mai davvero quel grado di cattiveria che si ricerca, in un racconto completo e riuscito, che però non graffia più di tanto.
Tanto che si potrebbe quasi del classico esempio di opera seconda che non conferma il talento mostrato nell'esordio. Se non fosse che La Cina è vicina ha comunque dalla sua parte una innata capacità di rappresentare le dinamiche interne della sinistra in modo veritiero e tutt'oggi attuale; oltre al fatto che, forse, riuscire a bissare era davvero un'impresa impossibile da compiere.
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