martedì 30 novembre 2021

Matrix

The Matrix

di Lana & Lili Wachowski.

con: Keanu Reeves, Laurence Fishburne, Carrie-Anne Moss, Hugo Weaving, Joe Pantoliano, Gloria Foster, Marcus Chong, Anthony Ray Parker, Julian Arahanga.

Azione/Fantascienza/Cyberpunk

Usa, Australia 1999












Con la sua uscita nell'ultimo anno del secolo, "Matrix" è come un punto esclamativo alla fine di due decadi di sviluppo e affermazione della narrativa cyberpunk. Nata più o meno nei primissimi anni '80, con la produzione di Philip K.Dick e alcune intuizioni Harlan Ellison a fare da precursori, portata sul grande schermo da "Blade Runner", la "via" del cyberpunk diventa mainstream a partire dagli anni '90. Innumerevoli sono le opere che vi si rifanno in questo decennio, all'interno di ogni medium immaginabile: in tv impazzano il "Tekwar" di William Shatner e "Total Recall 2070", che più che rifarsi al blockbuster di Paul Verhoeven sembra un vero e proprio adattamento di "Blade Runner"; nel mondo dei videogame arrivano le prime avventure immersive nelle forme dei due "System Shock" di Warren Spector, mentre perfino il fumetto mainstream non resiste al richiamo del genere, con le testate "2099" che reinventano i più famosi personaggi dell'universo Marvel in un universo pregno di tecnologia impazzita. Nella letteratura, Neal Stephenson porta il cyberpunk ad un livello successivo, cosciente di sè, dando nuova forma alle intuizioni avute da Gibson nel decennio precedente e lo stesso Gibson trova nuova affermazione con la Trilogia del Ponte. Nel mondo degli anime, oltre ad "Akira" già nel decennio precedente, è grazie a "Serial Experiments Lain" che il cyberpunk trova una nuova forma, più sottile e ermetica, pronta a dargli nuova profondità.
Al cinema, tuttavia, le cose sono stagnanti; l'adattamento di "Neuramante" è in cantiere dalla fine degli anni '80 e fatica a vedere la luce e, in compenso, quello di "Johnny Mnemonic" diventa un flop cocente, tant'è che lo strambo "New Rose Hotel" di Abel Ferrara sembra mettere una pietra tombale su ogni adattamento possibile di William Gibson. L'unico vero esponente del cyberpunk a trovare vero successo è il capolavoro di Mamoru Oshii, quel "Ghost in the Shell" che diverrà addirittura nuovo termine di paragone all'interno del filone medesimo.
Ed è proprio a GITS che le sorelle Wachowski (all'epoca fratelli) e in generale al cyberpunk declinato negli anime sembrano rifarsi per la creazione del loro cult.

 

"Matrix" è, innanzitutto, riproposizione e solo talvolta rielaborazione di topoi estetici, stilistici e narrativi altrui. Trovare tutti i riferimenti al passato è obbligatorio per poter davvero capire (e soprattutto apprezzare) il lavoro svolto dal duo di autrici.
Lo stile di regia, fatto di ralenty intensi e coreografie con wire-work esagerate pesca a piena dal cinema di Hong Kong, dagli action di John Woo alle infinite produzioni che gli Shaw Brothers hanno sfornato a partire dalla fine degli '60, in particolare dal cinema di Tsui Hark, che già negli anni '80 ne aveva esasperato lo stile verso una forma stilistica nuova, ancora più estrema nella sua forte componente spettacolare.
Se il concetto di "Matrice" intesa come cyberspazio viene ripresa direttamente da "Neuromante" (anche se sembra che lo stesso Gibson abbia ripreso il termine e il relativo significato da un episodio di "Doctor Who" di metà anni '70), quello di realtà virtuale come alternativa alla realtà sensibile con la quale gli essere umani possono/devono collegarsi viene dal romanzo "Simulacron 3" di David F.Galouye (che Rainer Werner Fassbinder aveva portato sul piccolo schermo nel 1973 con lo splendido "Il Mondo sul Filo"), ma soprattutto al saggio "Simulacri e Imposture" di Jean Braudillard, che appare nel film come "contenitore" della vera identità di Neo; il sistema di collegamento posto alla base della nuca è un richiamo a "Ghost in the Shell", che le Wachowski omaggiano anche nella scena della sparatoria al mercato durante l'ultima sequenza prima del climax. La guerra con le macchine, manco a dirlo, viene da "Terminator" e il concetto di realtà apparente come pura illusione, dietro alla quale si cela una realtà effettiva, si rifà alla letteratura di Philip K. Dick e ai suoi "diversi strati del reale", soprattutto dalla famosa intervista di Metz del 1977, nella quale l'autore teorizzava una realtà virtuale come illusione globale ordita da un governo delle macchine; ma da questo punto di vita, l'opera che sembra aver ispirato maggiormente le autrici è in realtà decisamente più pop, ossia il primo "Megazone 23", uno dei primi OAV ad essere mai stati prodotti.


Arrivato negli Usa come versione cinematografica di quel memorabile pastrocchio chiamato "Robotech", "Megazone 23" narra la storia di Shogo Yahagi, motociclista scapestrato e romantico la cui vita viene sconvolta quando un suo amico gli consegna una strana super-motocicletta, trasformabile in un robot da guerra; indagando sulle origini dello strano mezzo, il ragazzo scopre come il mondo in cui vive sia in realtà una simulazione creata ad hoc da un supercomputer, modellata sul Giappone degli anni '80 poiché visto come apice del benessere umano. In realtà, sia lui che i suoi concittadini vivono reclusi in una futuribile colonia spaziale semovente che tenta di ritornare verso la natia Terra.
Oggi come oggi, non è certo il caso di riscoprire "Megazone 23" ed i suoi due seguiti; trattasi di opere genuinamente figlie del loro tempo, dove le spettacolari immagini e la trama accattivante sono sorrette da una sceneggiatura lacunosa e incoerente, priva persino di un finale adatto. Tant'è che si può tranquillamente affermare come le Wachowski, facendone loro lo spunto di trama, riescano in realtà a dar vita ad un'opera decisamente più convincente e coinvolgente.


La distorsione del reale in "Matrix", così come in "Megazone 23" è totale, non ci sono ambiguità: Matrix è una simulazione, il mondo post-bellico è reale, ogni ambiguità è assente, cosa che distanzia il lavoro delle Wachowski da Dick e che rende la narrazione più piatta (tanto che Braudillard, all'uscita del film, finì persino per criticarlo), ma non necessariamente peggiore. Perché quello delle Wachowski, al di là delle influenze e degli spunti narrativi e filosofici, è sostanzialmente un ottimo film d'azione, un blockbuster che mira ad intrattenere creando sequenze action che in Occidente non si erano mai viste.
Da questo punto di vista, "Matrix" è, se non un capolavoro, quantomeno un gioiello di tecnica applicata all'intrattenimento: l'uso del bullet time per enfatizzare le acrobazie impossibili dei personaggi è ancora oggi sbalorditivo, impressionante all'epoca, così come la riproposizione degli stilemi del cinema d'azione di Hong Kong riesce davvero a creare una visione unica, fresca e affascinante.


La prima parte è per forza di cose la più riuscita: il mistero di Matrix, la "tana del coniglio" nella quale Neo precipita sino a scoprire la verità, la rivelazione di come il mondo sia fittizio e la realtà sia un incubo dominato da delle macchine che usano gli uomini come fonte energetica (trovata sicuramente poco realistica, ma lo stesso estremamente disturbante) e la scoperta di un mondo da incubo, ma reale, effettivo, che va riconquistato da un'umanità ridotta ai minimi termini.
Le Wachowski mantengono saldamente le redini della regia, sanno quando accelerare il ritmo e quando rallentare, dando spazio ai personaggi, lasciando che la narrazione fluisca in modo naturale, mai forzato.
L'uso dei simbolismi è azzeccato; nella prima parte torna la tematica del risveglio, portata in scena in modo quasi buenelliano, con Neo che si risveglia costantemente da un sonno che sembra eterno. Mentre il riflesso, lo specchiarsi in una superfice riflettente porta alla conoscenza di se stessi, rimarcata nella scena dell'Oracolo.


Dove "Matrix" inciampa e nel suo voler avere una profondità filosofica che, di fatto non ha, appiattendosi su citazioni inutili (perché la nave di Morpheus, il dio greco dei sogni e del sonno, è dedicata a Nabucodonosor?) e insistendo sul concetto di risveglio apofatico che in realtà smette di aver significato dopo la scena della pillola blu. Non più riuscita è la tematica della profezia che si autoavvera, con la resurrezione di Neo "miracolosa" che toglie ogni dubbio sulla sua vera identità, quella di un super-uomo piuttosto che quella di un uomo comune che ha trasceso i limiti dell'umana percezione.


"Matrix" funziona come thriller, nella sua prima parte, e come perfetta pellicola action nella seconda. La trama fantascientifica è si derivativa, ma perfettamente riuscita, riuscendo ad intrigare anche dopo la prima visione. E con la sua uscita in quel del 1999, ad un anno da quel "Dark City" che ne declinava gli stessi argomenti con un'estetica gotica, e nello stesso anno di "eXistenZ", può tranquillamente essere vista come l'ultima grande pellicola cyberpunk di Hollywood, il supremo tentativo della Mecca del Cinema di dare corpo alle ossessioni post-tecnocratiche di fine millennio. 

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