mercoledì 18 aprile 2018

Akira

di Katsuhiro Otomo.

Animazione/Azione/Fantascienza/Cyberpunk

Giappone 1988



















A rivederlo oggi non lo si direbbe, ma "Akira" ha già 30 anni. Tre decenni durante i quali il suo lascito è stato totalmente assimilato dalla cultura pop, ma non dall'industria cinematografica: in Giappone non si vedono più esperimenti tanto costosi ed arditi, mentre in Occidente il cinema d'animazione per adulti non ha mai preso davvero piede.
Eppure, quando nel 1988 Steven Spielberg e George Lucas sgranarono gli occhi dinanzi la creatura di Katsuhiro Otomo, nulla fu più come prima: "Akira" divenne in breve tempo l'apripista per gli anime in Nord America e in gran parte d'Europa (non in Francia ed in Italia, comunque, dove la cultura dell'animazione nipponica era stata assimilata già nel decennio precedente); per la prima volta il pubblico occidentale si rese conto che era possibile fare grande cinema, visionario alla pari dei migliori classici del decennio, anche per il tramite dell'animazione; e, prima ancora, che i "cartoon" potevano essere tranquillamente rivolti ad un pubblico adulto, come Ralph Bakshi predicava da anni. L'America cominciò così a scoprire gli anime, dapprima con oav ultraviolenti come "Genocyber", "Violence Jack" e "M.D. Geist", solo per citarne alcuni; in seguito grazie a maestri del calibro di Hayao Miyazaki, Isao Takahata, Rintaro, Yoshiaki Kawajiri, Satoshi Kon e ovviamente Mamoru Oshii, che quasi un decennio dopo riuscirà a mutare nuovamente la fantasia collettiva con il capolavoro "Ghost in the Shell".
Tutto merito di Katsuhiro Otomo e di questo suo strano, imperfetto ma altamente affascinante exploit, che fonde efficacemente il registro action con un'ambientazione distopica, deliri onirici con sequenze di distruzione di massa, body horror e cyberpunk per imprimersi come un'opera in grado di assalire i sensi dello spettatore come poche altre sono riuscite.




Prima ancora che come lungometraggio, Otomo diede vita ad "Akira" come manga, serializzato tra il 1982 ed il 1990 e che inizialmente avrebbe dovuto addirittura essere una miniserie, poi espansa grazie all'ottima accoglienza dell'adattamento filmico.
La grandezza del manga risiede nel suo taglio cinematografico: se già il manga come mezzo espressivo in sè è, nell'impostazione di storia e disegni, solitamente più vicino al mezzo filmico che al fumetto, Otomo va oltre ed imposta le vignette come inquadrature vere e proprie, dalla dinamicità inaudita e graziate da un livello di dettaglio nei campi lunghi incredibile; il tutto per restituire al meglio le folli corse in moto per le strade di Neo-Tokyo e le incredibili sequenze di distruzione che costellano tutto il racconto.
Un racconto visionario e folle, che risente purtroppo della prosecuzione forzata. In un futuro imminente, il 2019, il Giappone è reduce dalla III Guerra Mondiale, scoppiata nel 1988 a seguito della nuclearizzazione di Tokyo, poi ricostruita come Neo-Tokyo. Per le strade, gang di giovani motociclisti si affrontano in scontri all'ultimo sangue per il controllo del territorio; tra queste ci sono i Capsule, guidati da Kaneda, scavezzacollo e maschio alfa, tra i quali milita anche Tetsuo, suo amico di infanzia invidioso del suo carisma.
Ma c'è qualcosa di sinistro che si aggira per le strade, oltre alle gang; una voce, una leggenda forse, quella di Akira, misteriosa entità che si dice essere stato la causa della distruzione di Tokyo e che ora starebbe per ritornare. E forse la classe dirigente sa di cosa si tratta....




Una sceneggiatura anticonvenzionale, quella di "Akira"; al centro di tutto non ci sono eroi o giovani aspiranti tali, ma solo due ragazzi comuni, Kaneda e Tetsuo, con i loro molteplici difetti; l'apocalisse che si scatena, sino a trasformare Neo-Tokyo in un mondo a parte, è dovuta alla smania di quest'ultimo di affermarsi a scapito di tutto e tutti, non per chissà quali piani malefici. E l'Akira del titolo, l'essere mitologico dai poteri simili a quelli di un dio, altri non è se non un bambino che, fatto il suo ingresso in scena a circa metà della storia, avrà un ruolo a dir poco marginale negli eventi.
E quando nel 1988 ad Otomo viene proposto di trasporre il manga in un film, anzicchè in una serie a puntate, questo era ancora in corso d'opera; per lo script, il regista opta per trasporre solo i primi due volumi, su un totale di sei, ossia solo il primo atto della storia, con un finale inventato ad hoc per chiudere bene o male la vicenda e con tutte le conseguenze del caso.




Il mondo portato su schermo raggiunge nuove vette si splendore; Neo-Tokyo è una metropoli viva e pulsante, dalle luci abbaglianti, le quali celano un lerciume ed uno squallore materiale tangibili, nei quali Kaneda e Tetsuo sono perfettamente a loro agio.
Un pugno di ragazzi, quelli "Akira", veri e propri vuoti a perdere, il cui unico pensiero è dato dalle ragazze e dalla violenza spicciola; una caratterizzazione che aumenta il tasso distopico: l'incubo di una generazione priva di valori morali e materiali si concretizza nelle immagini del film, rendendo l'atmosfera sottilmente sinistra.




La violenza delle bande giovanili fa il paio con quella delle manifestazioni antigovernative, dei ribelli che hanno scoperto l'oscuro segreto dei dirigenti: gli esperimenti esper che hanno portato alla nascita di Akira, il cui risveglio ha causato la guerra.
Lo squallore delle strade si tinge così del sangue dei giusti, mentre Tetsuo viene rapito e sottoposto agli esperimenti del progetto Akira, da cui fuoriesce come un nuovo dio in Terra, smanioso di conquistare tutto pur di farla pagare a quel Kaneda reo di trattarlo come un bambino.




Una storia, quella giunta su schermo, che presenta molteplici spunti interessanti: la paura del millennio alle porte, con la distruzione "divina" della società; la distopia complottista e la violenza giovanile, il degrado urbano e le suggestione mistiche, tutte tematiche che si rincorrono per 125 minuti senza però mai giungere ad uno sviluppo anche solo parziale; i temi divengono così meri richiami e la storia procede unicamente sul binario dell'action con spruzzate di horror. Otomo gestisce a dovere entrambi i registri, ma alla lunga si avverte davvero troppo la mancanza di un substrato narrativo coeso e profondo.
Ma allora in cosa consiste davvero il fascino di "Akira"? Semplice: in una forma talmente perfetta da divenire essa stessa e da sola magnifico esempio di cinema dei grandi numeri.




Tutto in "Akira", dal design alle animazioni, è perfetto. Il cuore del film è in fondo già nella prima sequenza, la spericolata corsa in moto tra i Capsule e i Joker; dove svetta lei, la moto di Kaneda, sublime esempio di design futuristico anni '80 ancora oggi accattivante nelle forme. I tocchi di classe, già in questa sequenza d'apertura, non mancano: gli effetti di luce, compresi quelli pacchiani delle scie lasciate dalle moto, sono superlativi, aggiungono un che di vivo ad un'animazione già di per sè stessa talmente fluida e dettagliata da sembrare vera.




Puro spettacolo che continua nelle due ore successive; le animazioni e gli effetti di luce sono sempre, costantemente, perfetti nella loro fluidità, non c'è mai un calo nè nei movimenti, nè nel numero di dettagli su schermo. La visione diviene così magnifica esperienza sensoriale quando alle immagini viene abbinata la splendida colonna sonora, mix di sonorità tecno con un coro simil-religioso e reminiscenze etniche, in un cocktail post-modernista totale.




Ma già le sole trovate visive escogitate da Otomo basterebbero a rendere la sua creatura memorabile.
Le visioni oniriche di Tetsuo, gli incubi che lo perseguitano mentre il suo potere cresce, sono degne del miglior Svankmajer, con quell'immaginario infantile deviato verso l'oscuro.
Da antologia anche il body horror cronenberghiano, con la carne che diviene tumore impazzito per gonfiarsi a dismisura sino a trasformare il corpo in un organismo estraneo, un mutante fuori controllo dal volto infantile a dir poco inquietante.
E prima ancora, le visioni di un caos futuribile, la distruzione totale della megalopoli per mano di Tetsuo, con cavi elettrici che divengono tentacoli di un mostro inarrestabile, come visione cyberpunk di un'apocalisse urbana.




Per essere apprezzato, quindi, "Akira" va visto per ciò che è: un gigantesco ed affascinante esercizio di stile, un saggio sulle potenzialità dell'animazione nel mezzo cinematografico ed un blockbuster di puro intrattenimento per adulti. E, prima ancora, un'esperienza sensoriale unica.

1 commento:

  1. L'ho visto recentemente al cinema con il nuovo doppiaggio. Akira è come dici tu un gigantesco esperimento stilistico sulle capacità dell'animazione. Peccato solo che la trama venga trattata in modo così confusionario e sufficiente da rovinare a mio giudizio in parte il risultato finale.

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