di Claudio Caligari.
con: Cesare Ferretti, Michela Mioni, Enzo Di Benedetto, Roberto Stani, Loredana Ferrara, Mario Afeltra, Fernando Arcangeli.
Drammatico
Italia 1983
Chissà se sarebbe possibile al giorno d'oggi, in Italia, creare una pellicola come "Amore Tossico"; non tanto per i suoi contenuti, che nel corso degli anni hanno avuto una sovraesposizione mediatica impensabile nel 1983, quanto per la sua storia produttiva. All'epoca, l'industria filmica nostrana era ancora fiorente, benchè prossima al collasso. Ma Claudio Caligari si muoveva lo stesso al di fuori di essa, dapprima come documentarista, poi come autore di fiction; tanto che nel corso degli anni è riuscito a dirigere giusto un pugno di pellicole, di cui l'ultima, "Non Essere Cattivo", ultimato dopo la sua prematura scomparsa.
Caligari è stato, assieme a Corso Salani e Nico D'Alessandro, un'esponente di spicco del cinema indipendente italiano, quel cinema piccolo nei mezzi ma mai nei contenuti, girato per le strade con un occhio a De Sica ed uno a Pasolini; un cinema che oggi non esiste più, annichilito dal duopolio Rai/Medusa, dalle truffe del tax credit, dalla mancanza di soggetti coraggiosi pronti a finanziare le opere anche meno radicali, figuriamoci un film post-neorealista sulla tossicodipendenza interpretata da veri tossicodipendenti.
Fortunatamente, all'epoca Caligari aveva un nume tutelare illustre, quel Marco Ferrari mai troppo ricordato; trovare fondi e distribuzione non è stato troppo difficile; più ardua è stata la produzione, durata qualche anno, tanto che il primo ciak pare fosse stato dato già agli inizi del decennio. Ciononostante, "Amore Tossico" è venuto splendidamente alla luce e si è posto, all'epoca della sua uscita, come un perfetto pugno allo stomaco dei benpensanti e, in genere, di tutti coloro i quali preferiscono ignorare una realtà scomoda come quella ritratta.
Uno sguardo crudo, quello di Caligari, che non conosce compromessi, tanto che gli "schizzi" dei personaggi vengono mostrati in modo diretto, anche più di quanto avveniva in "Christiane F."; e proprio il raffronto con il film di Uli Edel è utile a comprendere la grandezza di "Amore Tossico"; laddove in "Christiane F." lo sguardo era ovviamente di biasimo, nel film di Caligari c'è un distacco empatico vero e proprio, non una condanna diretta, quanto una sospensione del giudizio morale che non rinuncia alla drammaticità. Laddove nel primo la protagonista trova una redenzione finale (nella realtà che lo ha ispirato solo momentanea, nel film perenne), nel secondo non c'è salvezza che non sia data dalla morte, auto o etero inflitta che sia, risultando ben più duro e scevro di compromessi, per questo decisamente più disturbante.
Durezza che si ritrova anche nella forma, decisamente ruvida, con immagini sgranate, rubate per le strade di Ostia e Roma. Città che Caligari dipinge in tutto il loro squallore, con le periferie desertiche e le spiagge luride, non c'è bellezza nella città eterna della Grande Bellezza.
I punti di riferimento, come detto, sono il neorealismo e il cinema di Pasolini. Dal primo viene l'idea di usare veri tossici come personaggi, vere anime perse (che poi troveranno anche nella realtà una morte prematura) chiamate ad interpretare sè stessi. La scrittura, di conseguenza, rinuncia all'intreccio vero e proprio per divenire spaccato: vengono ritratte le giornate tipo di Cesare, Roberta, Enzo, Loredana e amici, passate a cercare le piotte per comprarsi le spade e le dosi, a sopportare le crisi di astinenza e a subire le vessazioni dei più forti (il magnaccia); una vita vuota, agra e magra, della quale portano i veri segni sul volto e sul corpo.
Da Pasolini deriva l'empatia verso questo gruppo di disadattati votati alla morte, di questi "ragazzi di vita" che alla vita rinunciano un pò alla volta; tanto che quando arriva il momento fatale, questo avviene in due modi simbolo: una prima volta davanti al monumento alla memoria del poeta, all'epoca già in stato di abbandono; la seconda per mano di quella polizia che non conosce pietà per gli ultimi, come in "Mamma Roma".
Una dipendenza, quella di Cesare e compagni, ineludibile ed inesorabile, che comincia già durante la prima gioventù, ritratta sulle note di Battisti come un dolce amarcord di un'innocenza pronta a scomparire; una dipendenza irrinunciabile, oltre la quale non c'è nulla, solo la morte, ritratta, ancora, come in "Mamma Roma": una morte cristologica, il sacrificio di un poveraccio schiavo del male terreno.
Il lascito di Caligari è, neanche a dirlo, enorme; basti pensare al cult anni '90 "Trainspotting", il quale riprende parte del linguaggio di "Amore Tossico" rendendolo mainstream, ibridandolo con il videoclip ed il gusto pop, arrivando a snaturarlo fino a trovare una forma di cinismo acido e compiaciuto; altri tempi, altri modi di ritrarre lo stesso male; il quale, tuttavia, non ha mai fatto più paura come nel gioiello di Caligari.
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