venerdì 6 aprile 2018

Finalmente Domenica!

Vivement Dimanche!

di François Truffaut.

con: Fanny Ardant, Jean-Louis Trintignant, Philippe Laudenbach, Jean-Pierre Kalfon, Philippe Morier-Genoud, Xavier Saint-Macary, Jean-Louis Richard, Caroline Sihol.

Noir/Commedia

Francia 1983















Sembra fatto apposta. Il fatto che un film come "Finalmente Domenica!" sia l'epilogo della carriera di Truffaut è straordinario, poichè in esso convergono tutte le tematiche del suo cinema in un ultima, perfetta, pellicola: l'amore per il noir e, prima ancora, per il cinema hollywoodiano classico degli anni '40, la passione per una figura femminile scaltra e dalla bellezza irresistibile (Fanny Ardant, la sua ultima musa), l'attrazione per la donna visto come motore che muove ogni cosa, l'affetto verso il cinema del maestro Hitchcock, che qui rivive nella messa in scena prima ancora che nella trama (basata su di un romanzo di Charles Williams).



Trama che si fa classicheggiante, con un imprenditore accusato d'omicidio (Trintignant) e costretto a nascondersi, mentre la sua bella segretaria (la Ardant) porta avanti un'indagine privata.
Indagine che come da tradizione del cinema americano classico è del tutto non lineare, con false piste e coincidenze per far avanzare il tutto; e che Truffaut, come Melville prima di lui, scompagina ulteriormente inserendo flashback ed uno sparuto flashforward.




L'omaggio alla donna ritorna per tutta la durata, prima nella forma (e nelle forme) della musa Ardant, la cui bellezza genuina è proporzionale alla propria intelligenza e caparbietà, contrapposta a quella delle "donne oggetto", finte bionde con finte ciglia, bellezze di plastica ridicolizzate in una divertente scena. Dopotutto, è lo stesso assassino, nel finale, a parlare della "magia" delle donne, della loro intrinseca capacità di far perdere la testa agli uomini, per Truffaut grazie innanzitutto alle loro gambe, viste con occhio intrigato qui ancora più che ne "L'Uomo che amava le donne".




Ma a farla da padrone è innanzitutto l'amore per il compianto maestro Hitchcock, che fa capolino durante tutto il film. Al di là dell'intreccio, è nella costruzione e nella messa in scena che si palesa l'omaggio. Tutte le situazioni sono inverosimili, quasi tirate via, sopra le righe (catene di night club con traffico di donne, la confessione finale dell'assassino), possibili solo in un universo fittizio quale quello filmico, dove la macchina da presa si muove in modo libero, quasi di propria volontà, divenendo punto di vista obbligato che crea tensione o ritrova fattori estetici del tutto "artistici", di concerto con la fotografia, che rifiuta categoricamente la modernità per dare al tutto un tono d'antan, come se si trattasse di un film del 1943 anzicchè dell' '83.





E nell'epilogo, Truffaut gioca come farebbe uno dei suoi bambini terribili, prendendo a calci il parasole di una macchina fotografica, per farci intendere come il tutto sia, alla fin fine, un gioco affettuoso, un omaggio scherzoso ma profondamente sentito (per questo incredibilmente vivo) a quel cinema e a quelle tematiche che nel corso della sua lunga e pregiata carriera sono divenuti vere e proprie ossessioni di un autore mai troppo celebrato.

Nessun commento:

Posta un commento