domenica 26 ottobre 2014

Diary of the Dead- Le Cronache dei Morti Viventi

Diary of the Dead

di George A.Romero

con: Michelle Morgan, Joshua Close, Shawn Roberts, Amy Lalonde, Joe Dinicol.

Usa (2007)













---SPOILERS INSIDE---

L'horror degli anni '00: da una parte troviamo il riciclo costante di vecchi clichè, sottogeneri e filoni ormai giunti alla saturazione; dall'altra la "nuova" moda dei found footage, con le loro storie improbabili di videocassette passate attraverso i peggiori disastri ed orrori, ma guarda caso sempre perfettamente funzionanti. Moda nuova per modo di dire, visto che fu inaugurata dal cult italiano "Cannibal Holocaust" nel 1980 e portata alle estreme conseguente già nel 1999 con "The Blair Witch Project".
Dal canto suo, la carriera di Romero conosce una seconda giovinezza: il successo globale di "Land of the Dead" gli permette di ritrovare i fans di un tempo e di rifarsi un nome presso il grande pubblico, che comincia a riscoprire i capolavori del passato del padre del gore moderno mentre al cinema continuano ad impazzare cloni spudorati delle sue opere.
Sarebbe quindi stato lecito attendersi un suo immediato ritorno in una produzione di serie A, con un budget consistente e protetto da una major; e invece il grande autore stupisce tutti preferendo una produzione indipendente al 100%, che a sua detta gli permette per la prima volta di avere il totale controllo sul prodotto finito; e con un budget di appena 3 milioni di dollari crea il suo film più teorico e polemico, purtroppo mai capito dal suo stesso fandom.


Perchè "Diary of the Dead" non è un semplice film di genere che usa la ripresa in prima persona come escamotage per creare tensione (a differenza di "REC") o come trovata pubblicitaria per vendersi meglio agli spettatori (come "Cloverfield"), bensì un saggio riuscito ed ironico sull'incapacità del mezzo audiovisivo di cogliere la vera essenza del reale; ed in questo, più che ai moderni exploit di genere, Romero si avvicina al cinema di Wenders e sopratutto di Brian DePalma, che non a caso nello stesso anno rielaborava le sue ossessioni con il crudo "Redacted".
Fin dall'inizio, Romero espone la sua tesi in modo chiaro e didascalico: la macchina da presa non può catturare il vero quando il vero viene coreografato da chi usa la macchina; nella prima sequenza, ossia l'inizio della piaga dei morti, l'operatore chiamato a riprendere una notizia fa spostare un'ambulanza che gli blocca la visuale, ossia modifica lo scenario che teoricamente dovrebbe limitarsi a guardare, vanificando ogni presunzione di realtà o verosomiglianza.


Comincia la notte, cambia il punto di vista e con esso Romero rincara la dose; la notte è la stessa del primo film del 1968, ma questo quinto capitolo, benchè teoricamente coevo al primo, è ambientato in ottobre anzicchè in marzo. Ed i protagonisti sono l'essenza stessa del concetto di irrealtà: un gruppo di giovani filmmakers, studenti nemmeno laureatisi alla università del cinema, tra i quali spicca Jason Creed (nomen omen), ideale punto di vista per tuta la pellicola; Jason è l'essenza stessa del filmmaker ossessionato dal concetto di realtà, dalla sua stessa voracità nel voler riprendere ogni singolo accadimento per tramandarlo ai posteri come "verità"; ed in questo, Romero si rifà probabilmente al personaggio di Jean-Pierre Lèud in "Ultimo Tango a Parigi" (1972), ossia un autore che crede di poter davvero cogliere il reale per il solo tramite della macchina da presa.
Eppure, è lo stesso Jason ad infrangere la sua stessa regola aurea per intervenire più volte nel corso del film e chiedere ai suoi amici/personaggi di rifare una scena, di presentarsi direttamente alla macchina da presa, ossia al pubblico, vanificando ogni forma di verosomiglianza.


Già dell'incipit Romero scompagina e sbeffeggia l'ideale di Jason mostrando come, di fatto, il film sia l'opera di un altro personaggio, Debra, la sua fidanzata che ha montato il girato. E a discapito delle macchine da presa che vengono impugnate dai personaggi, tutte rigorosamente low-def e di natura televisiva, Romero gira tutto il film con una macchina digitale professionale, la mitica Red One; nella messa in scena non lascia nulla al caso: la fotografia è quasi sempre ben curata per riamrcare la natura fittizia dell'opera, salvo in quelle parti in cui il quadro si fa volutamente più ruvido per dare una sensazione di amatorialità più marcata; d'altro canto, conscio della sospensione dell'incredulità puntualmente disattesa nella maggior parte dei film del filone found footage, Romero aggiunge inserti fuori fuoco, scene nelle quali i filmati perdono immagini e, finalmente, nelle quali le batterie si scaricano e i supporti video devono essere cambiati, arginando quel rischio di ridicolo involontario che spesso fa capolino in "REC" e "Cloverfield".
Se già l'atto di riprendere un accadimento reale filtrandolo mediante l'obiettivo è modificazione del fatto stesso, il montaggio delle immagini è mistificazione allo stato puro; intervenendo sul girato, ossia sull'immagine del reale, si può riplasmare la realtà stessa per i propri fini: abbellirla con musiche, inserire punti di vista nuovi (la seconda macchina da presa trovata nell'ospedale, i filmati di repertorio, i filmini girati con il cellulare di Tracy), arrivando ad annullare totalmente quella forma di realtà che ancora resisteva tra un fotogramma e l'altro.


Il cinema è quindi atto di menzogna in sè, incapace di riprendere il reale se non attraverso il solo punto di vista di chi lo osserva, trasformando di conseguenza un avvenimento oggettivo in uno soggettivo e viceversa.
Da un lato si ha il filmmaker con il suo punto di vista, dall'altro gli altri milioni di filmmakers amatoriali sparsi per il globo con i loro miliardi di punti di vista; nell'epoca del digitale, la facilità di ripresa ha tolto il monopolio dell'informazione ai soli media classici: ogni singolo essere umano dotato di cellulare e computer può anch'egli documentare il vero dandone una sua versione.
Ma il moltiplicarsi dei punti di vista su un medesimo argomento non ha portato ad una ricostruzione dei fatti più precisa ed obiettiva; tut'altro: la teconologia digitale porta ad una frantumazione totale del vero, nella forma dei singoli punti di vista degli utenti capaci unicamente di cogliere solo una frazione infinitesimale del reale; frazione che sommata alle altre non dà un unico e solo totale, ma un caos di immagini e suoni discordanti ed in perenne contraddizione tra loro, che non generano vera informazione ma solo ignoranza.


Nella costruzione di personaggi e situazioni, Romero riprende parte del suo humor acido per caratterizzare tutti i protagonisti come degli inetti; si parte proprio con Jason, ossessionato dalla sua stessa opera da non arrivare a distinguere il reale dall'immagine: dinanzi alla sua stessa fine sarà solo in grado di esclamare "Shoot me", termine che incorpora in sé la duplice azione di riprendere ed intervenire, trasformando sé stesso nella sua opera, arrivando così alla definitiva disumanizzazione di sé stesso e della sua immagine.
Non certo migliori di lui sono gli altri personaggi, primo tra tutti Debra, che pur lamentandosi continuamente dell'atteggiamento infanitle del ragazzo non esita a cadere nel suo stesso vizio di documentare tutto, in un gioco vouyeristico che non ha fine.
Con uno humor ancora più sagace che in passato, Romero sfonda la quarta parete e decide di parlare apertamente ai fans dell'horror viziati da anni di stupidità assortite: i morti non possono correre, hanno le caviglie marce; i personaggi femminili non sono semplici corpi da mostrare, ma persone in grado di guadagnare una loro dignità che va oltre le battute da one-liner pur di sopravvivere; il nerd non è necessariamente lo sfigato, la donna non è per forza il personaggio più forte, il macho dallo sguardo torvo è la vera voce della ragione; mentre il professore, colui che in teoria dovrebbe insegnare ai giovani a non commettere gli errori del passato, viene svuotato di ogni saggezza e ricostruito solo come un inutile ubriacone.


Abbandonata classica struttura da film da assedio, che in parte sopravviveva anche in "Land of the Dead", Romero questa volta abbraccia una struttura episodica per le disavventure del gruppo di sopravvissuti, mutuata dalla narrazione stile road-movie che porta il gruppo a muoversi su di un van al posto del canonico locale chiuso.
Ogni tappa del loro viaggio permette a Romero di riprendere la critica sociologica ed innestarla nel discorso prettamente metafilmico: dallo humor con cui dipinge l'incontro con lo strambo amish muto, ai razziatori neri e portoricani "buoni" giustapposti ai banditi della Guardia Nazionale, lo sguardo disincatato dell'autore verso una società contradditoria è ancora presente e non stemperato dal tema prettamente teorico su cui si basa l'opera.


Si arriva all'ultimo atto, un ritorno alla casa isolata nei boschi come ultimo bastione per la sopravvivenza in un ideale circolo che ricongiunge "Diary" con "Night" in un tunnel temporale di quasi quarant'anni. Evoluzione temporale che si fa sentire: la casa non è più una "res nullius", ma il bastione di uno yuppie folle, una nuova fucina di orrori nel quale si consuma la fine di Jason e delle sue velleità; e con un nuovo e definitivo ritorno alle origini, Romero crea un epilogo polemico e fulgido, nel quale mette nuovamente alla berlina l'idiozia e la stupida violenza innata nell'America più profonda, lasciando fuori dallo schermo la tragedia vera per chiudere la sua parabola con un quesito inquietante: una società del genere merita davvero di essere salvata?





EXTRA

Girato in neanche un mese, "Diary of the Dead" è l'unico film di della Saga dei Morti Viventi ad incorporare materiale di repertorio reale per le riprese in esterni. Non accreditati, partecipano molti numi del cinema di genere americano e non nelle "vesti" delle voci che accompagnano le riprese del finto documentario; tra gli altri si posso udire i camei di Quentin Tarantino, Simon Pegg, Guillermo del Toro, Tom Savini e Stephen King.




Sulla mancata comprensione del film da parte dei fandoms di tutto il mondo, è illuminante guardare la recensione di James Rolfe, il fondatore del sito Cinemassacre, che dà sfoggio di un'ignoranza inedita e a tratti ridicola:

http://cinemassacre.com/2013/10/29/diary-of-the-dead-2007/

Nessun commento:

Posta un commento