mercoledì 22 ottobre 2014

La Terra dei Morti Viventi

Land of the Dead

di George A.Romero

con: Simon Baker, Asia Argento, John Leguizamo, Dennis Hopper, Robert Joy, Eugene Clark.

Horror/Azione

Usa, Canada, Francia (2005)
















---SPOILERS INSIDE---

La Trilogia dei Morti Viventi si concluse ufficialmente nel 1985; intendiamoci: con "Dawn of the Dead" (1978) Romero aveva creato l'horror apocalittico definitivo, ideale coacervo di tutte le sue ossessioni e perfetta antologia di tutti quelli che sarebbero diventati i clichè del filone sui non-morti; con il successivo "Day of the Dead" si era spinto oltre, creando un'opera dalla potenza drammaturgica inusitata, massima espressione del suo pessimismo sociologico; e molto probabilmente non vi era, nel 1985, la volontà di proseguire il discorso sulla figura del redivivo cannibale e sulla spirale autodistruttiva della razza umana.
E di fatto, all'indomani dell'uscita nelle sale del terzo capitolo della sua saga, il regista di Pittsburgh si dedicò a ben altri progetti: l'adattamento per il Grande Schermo del mitico romanzo "L'Ombra dello Scorpione" dell'amico Stephen King, purtroppo mai concretizzatosi; la parentesi "psicologica" di "Monkey Shines" (1988); la trasposizione de "La Metà Oscura" (1993), sempre da un romanzo di King; poi, sette anni di oblio, durante i quali l'autore fu costretto ad accettare il ruolo di direttore di produzione pur di lavorare; ruolo che in realtà serviva a tenerlo lontano dalla macchina da presa in un periodo, gli anni '90, in cui la carica sovversiva e polemica delle sue opere spaventava i produttori ancora più che in passato. Il ritorno nelle sale si fa attendere e quando arriva, nel 2000 con "Bruiser", delude, presentandoci un autore stanco e privo di inventiva.
Giungono gli anni '00 e il cinema horror americano si arena definitivamente nel manierismo più puro e nel riciclaggio forzato dei vecchi stereotipi. Al di fuori delle sale cinematografiche, la figura del non-morto creata da Romero si mercifica, diventa icona pop, irrompe prepotentemente nell'immaginario videoludico grazie al successo della serie di videogames di "Resident Evil" della Capcom, fortemente debitori dello stile eccessivo e truculento dei primi due capitoli della trilogia "of the dead". Successivamente, i successi a sorpresa del britannico "28 Giorno Dopo" e del adattamento per il cinema di "Resident Evil" nel 2002 riaccendono l'interesse del pubblico e delle major verso la figura del non-morto e del contagio virale apocalittico anche su pellicola; e il segno del tempo si fa sentire.





Dopo decadi di parodie e omaggi, anche lo zombi cannibale di Romero cambia faccia e da simbolo di un orrore repellente ed irrefrenabile diviene anche al cinema icona pop, svestito di ogni significato non prettamente orrorifico e finanche della sua inscindibile carica splatter; con "28 Giorno Dopo", il tema del contagio virale viene deviato su una nuova via, che porta alla creazione di una nuova figura antropofaga ma non rediviva, che immancabilmente viene confusa dal pubblico con lo zombi romeriano; da qui in poi il morto vivente smette di decomporsi, di deambulare con il suo tipico incedere lento e inarrestabile e di smembrare le sue vittime, come avviene nel seguente, orripilante, remake di "Dawn of the Dead" di Snyder.
Con l'adattamento di "Resident Evil", d'altro canto, l'orrore palpabile e rivoltante proprio delle pellicole di Romero viene rielaborato in una forma più soft, svuotato di ogni riferimento gore ed ibridato, con risvolti esilaranti, al cinema di arti marziali; e sempre il remake di "Dawn of the Dead" di Snyder fa regredire i temi romeriani di apocalisse e autodistruzione umana a puri pretesti per imbastire storielle che con il cinema horror non hanno nulla a che vedere.
In sostanza, tutta l'eredità del grande artista viene vanificata dalla populizzazione della sua creatura più nota e tutte le innovazioni che aveva infuso al genere fin dal 1968 si perdono definitivamente.
Eppure, questo revival becero dei clichè del suo cinema degli anni '70, permette proprio a Romero di tornare sulla cresta dell'onda, rimettendo mani alla sua creatura per darle nuova linfa e riportare il cinema horror alle sue radici: la metafora spietata della società americana.


Ottenuto un budget consistente, la distribuzione internazionale da parte di una major, la Universal, ed aiutato dalla tecnologia digitale, Romero può così riprendere l'idea originale per "Day of the Dead" e darle finalmente vita.
Già dal titolo, il setting del film è chiaro: l'umanità ha perso, il pianeta ora appartiene agli zombi e i sopravvissuti sono arroccati in città-fortezze cinte da gigantesche mura presidiate da soldati; all'interno si ricrea la medesima società pre-apocalittica: i ricchi rinchiusi nel lussuoso grattacielo Fiddler's Green, governato dall'imbelle Kaufman (Dennis Hopper, che parodizza le sue stesse ideologie repubblicane plasmando il personaggio su Donald Rumsfeld, in quella che è purtroppo la sua ultima performance degna di nota), i lavoratori sono lasciati fuori dalla torre a sguazzare nei bassifondi.
Ma la mancanza di materie prime spinge Kaufman ad organizzare delle sortite nel mondo esterno, guidate dal bianco Riley (Simon Baker) e dal portoricano Cholo (John Leguizamo), aprendo così la strada ad una nuova catastrofe.


Fin dalla prima sequenza Romero reintroduce prepotentemente i temi politici nella cornice dell'horror splatter; gli zombi "vivono" in pace nelle loro vecchie cittadine; non più incarnazione delle paure inconsce dell'America-bene, non più personificazione del consumismo sfrenato, né dell'apocalisse catartica, i non-morti sono ora un popolo vero e proprio, dotato di un leader, il nero Big Daddy (Eugene Clark) e sovrani di una terra ricca di risorse; i vivi, d'altro canto, divengono dei parassiti, dei mostri delle caverne che escono di notte per uccidere e saccheggiare, in un'inversione totale dei ruoli; e nel violento raid contro una popolazione inerme, Romero (non) cela la catarsi verso la politica imperialista americana, pronta a distruggere ed uccidere pur di impadronirsi delle risorse per la sussistenza della sola classe agiata.
Il Fiddler's Green, la moderna torre d'avorio, d'altro canto non è che una gabbia dorata, come Romero sottolinea con una bella inquadratura: un rifugio nel quale le persone si rinchiudono per ignorare l'orrore del mondo e calarsi nell'illusione del benessere, così come la classe media americana si rifugia nelle sue case signorili ignorando i conflitti e le spaventose prevaricazioni che avvengono dall'altra parte delle imposte, nelle strade e per i bassifondi delle grandi città.


Gli stessi bassifondi in cui si muovono Riley e i suoi compagni altro non sono che una versione "popolare" del Fiddler, dove tagliagole, prostitute e barboni si abbandonano ai piaceri più bassi e violenti pur di ignorare l'orrore che striscia al di fuori delle mura di cinta; non vi è differenza effettiva di classe sociale da un punto di vista antropologico: l'intera America si ritrova così posta sullo stesso piano e ritratta come una terra di ipocriti edonisti.
I due manovalanti, Riley e Cholo, altro non sono che due facce del sogno americano: il primo accetta qualsiasi lavoro sporco ed è pronto ad ogni compromesso pur di ottenere un mezzo per fuggire dal rifugio-prigione in cui è costretto a vivere; il secondo tenta di ingraziarsi i potenti per ottenere i loro stessi privilegi; entrambi sono sfruttati e presto gettati via, proprio come nella realtà accade ai reduci di guerra, gli "eroi" da usare per la conquista, da vendere al pubblico per propaganda e poi congedare nella dimenticanza più assoluta. E nella reazione a questo sfruttamento da parte delle classi più povere, Romero sfoggia tutta la sua carica scettica e sovversiva.


Cholo, il sudamericano che sin dal nome (nello slang yankee è un dispregiativo per i latini) altro non è se non uno schiavo, rivendica il suo diritto ad un'equa retribuzione togliendo alla classe dirigente il mezzo stesso del loro status quo: il Dead Reckoning, il carro armato super-attrezzato che permette le sortite in territorio ostile, ossia l'arma offensiva che permette agli Stati Uniti di imporre la sua supremazia militare. Riley accetta suo malgrado lo sporco incarico di riacciuffarlo, ma nel finale, ad apocalisse compiuta, abbandona il Fiddler's Green in cerca del suo sogno, realizzando, assieme allo spettatore, come di fatto sia impossibile creare una società dove il più forte non sottometta il più debole. E i morti, razziati e sottomessi dalla minoranza, si risvegliano dal loro torpore per punire quella classe di privilegiati convinta di poter ancora spadroneggiare su tutto il creato, incarnando lo spirito rivoluzionario del proletariato che per la prima volta in horror degli anni '00 trova una completa e fulgida rappresentazione.


Il punto di riferimento narrativo ed estetico questa volta sembra essere dato dai videogames, ossia da quel medium che più di ogni altro si è impadronito delle creature di Romero e del quale ora l'autore riprende stile e stilemi; ma la narrazione "naif" propria delle trame dei survival horror della Capcom mal si adatta alla complessità della narrazione metaforica e metareferenziale cinematografica, finendo per non convincere.
Se, infatti, la metafora politica è ben costruita e ancora più esplicita che in passato, altrettanto non si può dire della trama in sé per sè; la sceneggiatura di Romero barcolla nella costruzione dell'intreccio, talvolta fin troppo ovvio, e costruisce i personaggi secondari come stereotipi riempitivi; del tutto inutile è l'introduzione del personaggio di Charlie (Robert Joy), semplice spalla di Riley; così come del tutto superficiale e talvolta goffa è la caratterizzazione dei subalterni di Cholo e Riley, in particolare i tre "cacciatori" che gli si affiancano durante l'inseguimento del Dead Reckoning; più riuscito, invece, è il personaggio di Asia Argento (che riesce persino a risultare credibile nei panni della sexy soldatessa), emblema della donna sfruttata solo per la sua avvenenza.


E nella metà esatta del decennio che ha bandito il gore dal horror, Romero reintroduce la sua carica di violenza grafica in un ulteriore atto di sovversione delle convenzioni: decapitazioni e smembramenti la fanno da padrone per tutto il film, con la maggior parte degli effetti affidati agli SFX del duo Nicotero e Berger al posto della semplice CGI, comunque presente per ovvi motivi di budget; e se in "Dawn of the Dead" la violenza sconfinava nel grottesco per mimare il gusto pop della peggiore cultura fummettistica underground, qui Romero coglie la palla al balzo dei tempi e, di concerto con il forte ritmo che imprime alla narrazione, crea una violenza talmente grafica da sconfinare anch'essa nel videoludico, a voler ricreare anche da questo punto di vista le atmosfere di quei survival horror che tanto devono al suo cinema, riuscendo ad impressionare ancora una volta.



Il genere horror viene così finalmente riscattato dal buonismo ottuso nel quale era scivolato; lo splatter torna a violentare gli occhi dello spettatore; il non-morto riprende prepotentemente la sua carica emblematica e polemica; e Romero torna al cinema dopo anni di oblio, dimostrando come in fondo la sua visione sia ancora urgentemente attuale e il suo stile ancora perfettamente godibile.




EXTRA

L'edizione DVD della Universal distribuita a partire dal 2005 (e ora disponibile anche in Blu-Ray) non presenta la theatrical cut del film, bensì la sola director's cut; versione ancora più violenta e spettacolare, questa nuova edzione introduce anche un'importantissima scena inizialmente tagliata: il suicidio di un inquilino dei piani alti del Fiddler's Green scoperto da Cholo a metà del primo atto, che aumenta la caratterizzazione della fortezza come "prigione dorata" per ricchi.


I rimandi alla struttura videoludica, all'estetica e finanche ai controlli dei videogames non sono un caso, nè una trovata squisitamente polemica: nel 1998 Romero diresse una serie di spot pubblicitari per "Resident Evil 2" e nel 2000 avrebbe dovuto curare l'adattamento per il Grande Schermo del primo capitolo della saga; ma i dirigenti della Capcom giudicarono il suo script (facilmente reperibile in rete in versione integrale) come poco affine alla trama del primo gioco, quindi lo licenziarono; questo perchè il film del 2002 con Milla Jovovich che prende a calci volanti giusto un paio di zombi tra scenografie che sembrano uscite dai peggiori episodi di Star Trek è un perfetto adattamento delle atmosfere claustrofobiche e splatter del videogame...




A proposito di omaggi e parodie: fortemente colpito dal cultissimo "Shaun of the Dead" (2004), Romero decise di complimentarsi con i due protagonisti Simon Pegg e Nick Frost nel più cinematograficamente genuino dei modi: affidandogli un cameo nei panni di due zombi!


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