lunedì 20 ottobre 2014

Il Giorno degli Zombi

Day of the Dead

di George A.Romero

con: Lori Cardille, Joe Pilato, Terry Alexander, Jarlath Conroy, Anthony Dileo Jr., Richard Liberty, Sherman Howard.

Usa (1985)
















Il ciclo dei Morti Viventi attraversa tre decadi diverse; inizia nei '60, con un impeto dirompente che scompagina definitivamente l'horror per rigenerarlo a nuova forma; continua nei '70, dove raggiunge la sua forma definitiva e innalza lo splatter ad un livello ancora più elevato per sfociare nel pop più puro; negli anni '80 si conclude la prima trilogia con "Day of the Dead", il capitolo meno famoso dell'intero ciclo, che all'epoca della sua uscita non raccolse il consenso unanime del pubblico, ma che nel corso del tempo si è comunque imposto (giustamente) come pellicola di culto.
Il progetto iniziale di Romero per questa (momentanea) conclusione era a dir poco monumentale: l'intero film doveva essere ambientato in una città-fortezza assediata dagli zombi, ora sovrani della Terra; all'interno i sopravvissuti si dividevano in due classi: scienziati e militari, perennemente in conflitto tra loro. Soggetto enorme, che per l'epoca richiedeva un budget da kolossal che, sfortunatamente, il grande autore non riuscì a trovare.
Intenzionato lo stesso a dare una conclusione apocalittica alla sua storia, Romero ripiegò su un progetto più piccolo, ambientato come da tradizione in unico ambiente ed interpretato da un pugno di personaggi; il set è ora un bunker governativo sotterraneo e resta la contrapposizione tra classi sociali; e messa da parte ogni spettacolarizzazione, Romero crea il suo film più rigoroso, un capolavoro che travalica il semplice genere per diventare riflessione feconda sulla stupidità umana nelle vesti di un kammerspiel a tinte gore.


Un passo oltre "Dawn of the Dead": "Day of the Dead" è un vero e proprio film post-apocalittico; i morti dominano il mondo, un pugno di superstiti è di nuovo chiuso tra quattro mura; ma questa volta non si tratta solo di civili, ma anche di scienziati e militari occupati in una serie di ricerche volte a scongiurare la fine della razza umana.
Il bunker diviene ideale microcosmo sociale, con tre fazioni che si fronteggiano idealmente e materialmente; gli scienziati, con le loro idee ed ideologie totalmente avulse dalla realtà; i soldati, più pragmatici ma anche rudi e ottusi; i civili, separatisi anche fisicamente dalla base e rintanatisi in un finto Eden. E poi loro, i non-morti, ora padroni di ciò che resta della civiltà e sovrani assoluti della superficie.


E bene continuare a sottolinearlo: "Day of the Dead" non è un horror, quantomeno in senso stretto; il fanatico delle pellicole splatter o della tensione orrorifica canonica resterà sicuramente deluso dalla visione, essendo il gore limitato agli ultimi minuti, il ritmo molto lento e la tensione basata sui rapporti tra i personaggi piuttosto che sugli spaventi. "Day of the Dead" è una vera e propria opera drammatica nella quale Romero fa confluire tutto il suo pessimismo sociologico e lo fa deflagrare all'interno del classico canovaccio da film d'assedio.
Per la prima volta gli zombi non rappresentano un pericolo effettivo per i personaggi: isolati al di fuori delle mura blindate del bunker, i non-morti vengono tutt'al più adoperati come cavie da laboratorio dai tre scienziati. Il pericolo, questa volta, è totalmente umano, dato dall'incapacità dei tre gruppi di trovare una soluzione alla piaga ormai vicina alla vittoria o anche e più semplicemente di convivere.


I tre scienziati rappresentano la parte più razionale del genere umano; da un lato la protagonista assoluta e punto di vista di questo capitolo, Sarah (Lori Cardille), che tenta di capire le origini del "contagio" e di porvi fine; ricerca, come viene definita dallo stesso autore, ai limiti dell'esoterico e per questo del tutto impraticabile sul campo; Sarah è il modello dello scienziato indomito, che non conosce limiti per il suo sapere e che vuole penetrare il segreto stesso della vita oramai per il solo gusto di farlo, piuttosto che per trovare un rimedio efficace alla piaga dei morti viventi.
Un passo più avanti a lei è il dr.Logan (Richard Liberty), detto "Frankestein"; vero e proprio moderno Prometeo, è uno scienziato oramai del tutto folle perchè completamente avulso dalla realtà e dal concetto stesso di umanità: pur di comprendere il segreto della non-vita arriva ad usare i soldati morti come cavie, scatenando la crisi che porterà alla distruzione del bunker. Il fine di Logan è l'arginamento della piaga tramite l'addestramento dei non-morti, ossia il ricondurli ad una forma di civiltà; piuttosto che distruggere il problema, lo si vuole imbrigliare, ammansire, "socializzare" per esorcizzarne la portata più distruttiva; piano ambizioso, ma impraticabile visti i numeri esorbitanti di zombi e le numerose ore necessarie all'addestramento.


Dall'altro lato dell'ideale barricata, i soldati, comandati dallo spietato Rhodes (Joe Pilato), che Romero modella come un giovane Patton interessato solo al bene della propria truppa; rudi, sporchi, volgari, i soldati rappresentano anche qui, come accadeva in "The Crazies" (1973), il lato più pragmatico della razza umana, ma anche il più distruttivo, dedito solo a deridere e distruggere tutto ciò che non comprende; una distruzione gratuita, quella di Rhodes, oramai finanche inutile, come sottolineato da Logan, a causa della scarsità di munizioni; il problema dei morti viventi sarebbe potuto essere debellato mediante la soppressione solo in un primo periodo, quanto i numeri lo permettevano; ma non secondo i soldati, dediti tutt'ora alla violenza più semplice e genuina.


Nel mezzo ai due gruppi, isolati in una roulotte a parte persa nelle caverne, i due "operai" John (Terri Alexander) e McDermott (Jarlath Conroy), esponenti della working class che si aliena dalle questioni politiche per isolarsi in un'ideale isola felice (ribattezzata ironicamente "il Ritz") e persa nella propria autocommiserazione o nella rabbia fine a sé stessa.


E se i quattro personaggi sono il simbolo di altrettante facce dell'umanità, Romero questa volta rende il conflitto tra i vari punti di vista ancora più fluido e sfaccettato. La follia del dr.Logan è pura e deleteria, ma le sue ricerche sono comunque valide, come dimostra l'ammaestramento dello zombi Bub (Sherman Howard); la stupidità dei militari viene controbilanciata dal loro forte pragmatismo, tant'è che la distruzione della piaga appare spesso come la soluzione più praticabile; e i due "uomini comuni" per quanto codardi e altezzosi, sono anche i più saggi: sarà proprio John a sottolineare l'inutile ambizione di Sarah e a dipingere l'invasione dei non-morti come un castigo divino, una punizione per la stupidità umana, piuttosto che come un normale accidente; e sempre John prospetta sin dalle prime battute l'unica possibile soluzione alla loro situazione: la fuga, la ricostruzione della società da zero al fine di evitare gli errori del passato.


Il conflitto vine generato dall'incapacità dei personaggi (delle persone) di raggiungere un punto in comune, di comprendere quali sono i punti di forza della propria visione e quali i punti deboli; lo scontro si infiamma a causa dell'impossibilità di riconoscere una forma di ragione nell' "altro", o quantomeno una forma di razionalità nelle tesi che esso pone; ogni gruppo rimane trincerato sulle proprie posizioni, obnubilando quella forma di raziocinio che porterebbe alla collaborazione e quindi alla sopravvivenza; e non per nulla, il massacro finale questa volta viene innescato dal personaggio più debole, che abbandonatosi alla totale irrazionalità decide di distruggere tutto e tutti indiscriminatamente.


Romero assimila così il genere al dramma da camera in modo totale; il senso di claustrofobia e la tensione questa volta vengono ingenerati non tanto dalla minaccia esterna, che come detto resta per quasi tutto il film confinata in superficie, quanto dall'aggressività dei personaggi, sottolineata dagli strettissimi primi piani con cui l'autore costruisce quasi tutto il film; la tensione, a tratti spasmodica ed incontrollata, per la prima volta nella Saga dei Morti Viventi viene data dai vivi, i veri mostri del film, mentre il momento più toccante ha per protagonista il non-morto simbolo della pellicola: Bub, che riscopre la sua umanità latente ed arriva finanche a piangere; ed è proprio lui il personaggio più umano nel senso migliore, l'unico a provare sentimenti d'affezione per un soggetto altro, per quello stesso scienziato che lo ha trasformato in cavia, ma che lo ha anche trattato come un uomo, non come un semplice pezzo di carne.


Abbandonate le atmosfere pop e colorate di "Dawn of the Dead", Romero immerge i suoi personaggi in un'atmosfera irreale, a tratti rarefatta, splendidamente sottolineata dallo score elettronico di John Harrison e magnificamente introdotta dalla sequenza iniziale, una delle opening più belle che il cinema tutto ricordi; il bunker governativo divine così ideale subcosciente dell'umanità tutta, nel quale si agitano gli animi più disparati, pronti a creare, a dominare e a distruggere. Eppure, per questa momentanea conclusione della sua saga, il grande autore di Pittsburgh decide di evitare la tragedia finale: in un continuum con i due capitoli precedenti, il finale si fa da tragico ad indeterminato per sfociare nella speranza più pura e genuina; speranza data, non per nulla, dalla collaborazione dei personaggi, dall'appianamento delle divergenze e delle ambizioni più basse in favore del futuro dell'umanità tutta.



EXTRA


Immancabile, come al solito, il remake targato anni '00; e siccome di avarizia si muore, meglio farne due nell'arco di tre anni:


"Day of the Dead 2: Contagium" del 2005, nato come remake-omaggio all'originale di Romero e trasformato in una sorta di sequel al momento della distribuzione; ambientato in un ospedale psichiatrico, non ha un briciolo del carisma della pellicola originale, figuriamoci della sua intelligenza.


"Day of the Dead" del 2008, diretto da Steve Miner, vecchia conoscenza degli amanti degli slasher anni '80; ambientato per metà in una cittadina del Colorado e solo per pochi minuti in un laboratorio, riprende alla buona il canovaccio dell'originale per appiattirlo sui canoni dell'horror splatter più stupido e convenzionale; e anche qui, della critica sociale propria del cinema di Romero non c'è traccia (e figurarsi); in compenso nel cast ritroviamo Ving Rhames, che già aveva preso parte all'inguardabile remake di "Dawn of the Dead" nel 2004; e gli zombi centometristi... che ora si sanno pure arrampicare sui muri.

Un mese dopo l'uscita nelle sale di "Day of the Dead", esordiva nei cinema americani "Return of the Living Dead", divertente commedia horror scritta e diretta dal compianto Dan O'Bannon che si pone come sequel, remake, omaggio e parodia del capostipite della Saga dei Morti Viventi di Romero; successo globale, ha avuto finanche due seguiti ufficiali e due apocrifi, girati guarda caso anch'essi nei mitici anni '00.


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