mercoledì 25 maggio 2016

1941: Allarme a Hollywood!

1941

di Steven Spielberg.

con: John Belushi,  Bobby DiCicco, Tim Matheson, Warren Oates, Dan Aykroyd, Ned Beatty, Dianne Kay, Toshiro Mifune, Christopher Lee, Slim Pickens, Robert Stack, John Candy, Nancy Allen, Treat Williams, Murray Hamilton, Eddie Deezen, Lorainne Gary, Lionel Stander.

Commedia/Demenziale

Usa 1979












Che cosa hanno in comune Steven Spielberg e John Milius?
Nulla, o quasi.
Il primo è un'acclamato regista di genere divenuto in breve tempo l'imperatore di Hollywood, il secondo uno sceneggiatore straordinario che, passato in cabina di regia, si è imposto come uno dei cineasti più interessanti della sua generazione.
Il primo è il fautore di un cinema disimpegnato, che raramente affronta tematiche scottanti e che quando lo fa talvolta inciampa nelle trappole più semplici, ma nonostante questo, a partire dalla fine degli anni '90, ha deciso di autoproclamarsi come il solo, vero ed unico depositario della conoscenza sulla Seconda Guerra Mondiale ad Hollywood e dintorni, pur non avendo mai indossato una vera uniforme militare in vita sua. Il secondo è un reduce del Vietnam e repubblicano dichiarato, che è riuscito nell'ardua impresa di non farsi mai influenzare in modo definitivo dalla deriva più radicale dei suoi ideali, riuscendo così a dare vita ad opere il cui contenuto sia condivisibile da tutti per giungere a creare, talvolta, dei veri e propri racconti epici senza tempo, anche quando osa l'impossibile.
Unico punto di contatto tra i due era la militanza nella mitica comune di neolaureati dell'UCLA alla fine degli anni '60, luogo di incontro che ospitava personalità del calibro di Scorsese, De Palma e Lucas. Ed è proprio lì che i due si conoscono e pongono le basi per la loro futura collaborazione; che quando arriva, nel 1979, risulta appunto bislacca: Spielberg è il regista più quotato sulla piazza, Milius è un autore riconosciuto, che aveva spiazzato tutti con il suo esordio "Dillinger" (1973), affascinato le platee con lo splendido "Il Vento e il Leone" (1975), commosso con "Un Mercoledì da Leoni" (1978) e che di lì a poco avrebbe visto su schermo "Apocalypse Now" (1979), basato sulla sua più celebre sceneggiatura. Ancora più bislacco è constatare come l'unione di queste due personalità abbia portato alla creazione di una commedia demenziale che prende in giro il patriottismo americano in modo irriverente e talvolta corrosivo: proprio loro, il padre di quel pamphlet pro-eroismo a stelle e strisce di "Salvate il Soldato Ryan" (1999) e il militante del partito conservatore si uniscono per sbeffeggiare paure, paranoie e tic dell'americano media in tempo di guerra, portando in scena uni script del duo Robert Zemeckis-Bob Gale, ossia coloro i quali avrebbero creato quel cultissimo "Ritorno al Futuro" (1985), che dava una visione decisamente più positiva del passato dell'America.
L'esito di questa riunione è una commedia demenziale irresistibile nella sua carica distruttiva e caciariona, un piccolo classico mancato con qualche difetto potenziale




Lo spunto di partenza è la paranoia generatosi a seguito dell'attacco a Pearl Harbor, che nel febbraio del 1942 culminò nella paura di un possibile attacco nipponico. Zemeckis e Gale spostano il tempo al dicembre del '41, ossia pochi giorni dopo l'ingresso in guerra degli Stati Uniti e mettono al centro della narrazione corale la figura reale del generale Stilwell (interpretato da Robert Stack dopo il rifiuto, cocente, di personalità del calibro di John Wayne e Charlton Heston), il quale diviene l'unico sano in un mondo di matti.
La rievocazione del periodo si fa puro sberleffo; la Storia viene lasciata come contorno, l'immaginazione porta a modificare i fatti per creare un episodio mai esistito: un attacco in piena regola da parte dei Giappa, che decidono di punto in bianco di silurare Hollywood per fiaccare lo spirito yankee. Il punto di vista si fa dapprima doppio, con gli americani asserragliati sulla costa e i Nipponici in mare, poi multiplo, seguendo le vicissitudini del folto gruppo di personaggi.






Tema centrale è l'ossessione dell'americano medio per la guerra: ogni personaggio è imbevuto di retorica bellica e agisce biecamente per perseguirla; si parte con lo strambo plotone comandato da Dan Aykroyd, masnada di carristi razzisti e sboccati tra i quali spicca il bullo zotico "Stretch" Stiraski (Treat Williams), si prosegue con il cameo di Warren Oates nei panni del folle generale Maddox, di stanza in California e convinto che il nemico si annidi tra i frutteti di Pomona; ai quali si aggiungono i civili, militanti che si eccitano nella preparazione alla battaglia: Mr.Douglas (Beatty), orgoglioso di piantare una cannoniera nel proprio giardino, lo strambo Angelo Sciola (Stander), italoamericano che organizza le ronde assieme al vecchio bacucco Claude Crumm (Hamilton) e al giovane semi-ritardato Herbie (Deezen), affiancato da uno strambo pupazzo da ventriloquo. Si finisce con i giovani innamorati Wally (Di Cicco) e Betty (Kay), il primo patito di ballo in rotta di collisione sin dall'inizio con Stretch, la seconda angelica ragazza della porta affianco che deve sacrificare la sua virtù per far compagnia ai soldati in partenza; nel frattempo anche il tenente Birkhead (Matheson) tenta di far colpo su di una ragazza: la bellissima Donna Stratton (Allen), segretaria di Stilwell che si eccita solo quando è in volo su di un bombardiere. Su tutti veglia come un angelo custode il vero simbolo del film, il Wild Bill Kelso di John Belushi, pilota dalla carica demenziale irresistibile.
Mentre nel sottomarino, il generale Toshiro Mifune (che questa volta abbandona ogni istrionismo per divenire perfetta macchina da guerra dell'epoca di Tojo) e il contatto Tedesco Christopher Lee perdono la strada per Hollywood e sono costretti a farsi aiutare dallo zoticissimo Hollis Wood (Pickens)







La struttura comica è semplice: l'accumulo totale di gag e situazioni; i quattro autori si divertono ad infarcire il film con ogni trovata possibile e immaginabile pur di esorcizzare il ricordo di un'epoca. Al di là della semplice caratterizzazione dei personaggi e del tempo, a far da padrone è l'umorismo grottesco, che spesso sfocia nel demeziale più puro, dato dalle situazioni semplicemente folli, dove l'idiozia dei singoli personaggi porta a disastri sempre maggiori.
L'umorismo è per lo più slapstick e si rifà alla scuola di Harold Lloyd e Buster Keaton: l'essenziale è la distruzione; la pernacchia ad un mondo fatto di valori deviati all'eccesso si tramuta in gioia del massacro irriverente di quello stesso mondo. La fisicità è imponente: Spielberg dirige quella che è una commedia come un vero e proprio disaster movie, dove le case vengono demolite a suon di mortai, il luna park scambiato per Hollywood fatto a pezzi e dove le strade sono piene di marinai che fanno a botte con i soldati. Il gusto per l'eccesso è incredibile: scenografie perfette fatte saltare in aria ad ogni minuto, risse da bar che si trascinano per interi atti, stazioni di servizio che esplodono fragorosamente. Non c'è limite alla vis distruttiva dell'autore: tutto è permesso, nulla è troppo eccessivo.







L'esito è semplicemente spettacolare: la carica demenziale irreffrenabile riesce perfettamente a connotare il tutto come la perfetta presa in giro di un America folle, stupida, in preda a paure mai del tutto sopite.
Tanto che il flop cocente dell'epoca si spiega benissimo: era inaudito sparare a zero su quella "Grande Generazione" le cui gesta venivano riscoperte e celebrate proprio nel mentre il film usciva nelle sale. Spielberg, Milius e i due Bob avevano osato troppo, tanto che persino la critica non fu accondiscendente questa volta. Più rosea fu invece l'accoglienza nella più intelligente Europa, dove lo spirito goliardico del gruppo fu capito sin da subito, acclamando "1941" come un gioello di quella comicità distruttiva a stelle e strisce che proprio in quegli anni avrebbe raggiunto il suo apice, dapprima con "Animal House", poi con le varie pellicole dei comici del Saturday Night Live, sino all'ultimo classico "Ghostbusters" (1984).







Tanto che l'unico difetto del film è, a conti fatti, di puro rapporto. Ben più distruttivo e feroce avrebbe potuto essere nelle mani di un vero anarchico del calibro di John Landis, molto più pregnante e acido in quelle di autore sensibile come Joe Dante. Spielberg si diverte a dissacrare, ma il suo iato resta sempre contenuto nei limiti della sola barzelletta, senza mai farsi davvero cattivo; tanto che persino il talento del duo Aykroyd-Belushi appare sottoutilizzato se si pensa a quello che avrebbero fatto giusto un anno dopo con "The Blues Brothers" (1980)






Ma a Spielberg va lo stesso riconosciuto il merito di aver saputo imbastire una vera e propria macchina da guerra bel oliata, di non perdersi mai nonostante le lungaggini e di riuscire ad essere spiritoso senza mai scadere nel cattivo gusto. Riuscendo persino a prendersi in giro con quella sequenza d'apertura: parodia inquadratura per inquadratura di quella de "Lo Squalo" (1975) che sfocia nella demenzialità più distruttiva, perfetto biglietto da visita dell'intera pellicola.



3 commenti:

  1. Sono molto affezionato a questo film, è una pellicola intelligente e divertente, una delle prime che mi abbia fatto davvero appassionare al cinema :)

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    1. Già! Se ti va, fai un salto da me :) http://www.cumbrugliume.it/2016/05/29/liebster-award-2016/

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