venerdì 26 gennaio 2018

I, Tonya

di Craig Gillespie.

con: Margot Robbie, Sebastian Stan, Allison Janney, Julianne Nicholson, Bobby Cannavale, Paul Walter Hauser, Bojana Navakovic, Caitlin Carver.

Biografico

Usa 2017

















Campionessa nazionale a soli 21 anni (nel 1991) Tonya Harding è sicuramente una delle figure più controverse nella storia dello sport americano. Figlia dell'America più gretta, sale agli onori delle cronache sportive per essere riuscita ad eseguire un triplo axel, ossia un salto con tre piroette e mezzo; e, poco dopo, per l'aggressione della rivale Nancy Kerrigan, picchiata durante le nazionali di Detroit del 1992 da uno sconosciuto armato di bastone, per favorirne la vittoria.
Una storia, quella della Harding, che si adatta perfettamente al racconto filmico, data la sua figura, la sua formazione e lo scandalo in cui è stata invischiata. E che Craig Gillespie, tra i migliori mestieranti di Hollywood attualmente in circolazione, porta in scena rifacendosi a Scorsese e Spike Lee, al cinema americano anni '90 del ritorno alla New Wave e, prima ancora, a Godard.




L'intera vicenda viene narrata alternando fiction con finte interviste ai personaggi, come avveniva ne "La Cinese"; ma anche nelle sequenze di pura finzione, i personaggi sfondano sovente la quarta parete rivolgendosi direttamente al pubblico per puntualizzare sulla veridicità di quanto mostrato, in un gioco di complicità non nuovo anche per il cinema americano (basti pensare ad "Infamous"), ma lo stesso riuscito e divertente.
Lo script di Steven Rogers spezza poi il racconto in due: una prima parte con la biografia della Harding, una seconda con i retroscena dell'incidente e delle reazioni dei protagonisti, messi alla gogna mediatica prima ancora di capire cosa sia davvero successo.




Una vita passata tra insulti e pugni in faccia, quella della Harding; nata e cresciuta in un ambiente ottuso, dove la violenza è un modo di esprimersi (al pari di quello mostrato sempre quest'anno nello splendido "Tre Manifesti a Ebbing, Missouri"); non c'è ritegno nel mostrare i pugni presi in pieno volto, le coltellate, i colpi di pistola all'ordine del giorno; la violenza domestica diviene routine, azione alla quale i personaggi si abituano come ad una forma dialogica comune.
Gillespie non usa però un tono cinico, per quanto sopra le righe; chiede allo spettatore una forma di empatia verso la sua protagonista, anche quando stempera le scene più drammatiche con l'umorismo nero. Empatia che si riesce davvero a provare e che non risulta forzata: non c'è ricatto, nè inutile ricerca della drammaticità nelle immagini; i colpi ricevuti dalla Harding fanno male perchè tirati all'improvviso, in modo secco; sopratutto, si riesce ad essere simpatetici grazie alla mancanza di una catarsi finale: non c'è redenzione nella storia di Tonya, non c'è riappacificazione con la mostruosa figura materna, nè con il marito. Non c'è fuga dall'ambiente gretto, nè un trionfo finale. Lasciamo la nostra protagonista su di un ring, a sputare sangue per il pubblico, riflettendo semplicemente su come la violenza sia stata la costante di tutta la sua vita. Tanto che "I. Tonya" finisce per essere più un film sul concetto di violenza che una biografia vera e propria. Ed è in questa scelta narrativa che trova una parte della propria riuscita.




La violenza è quella fisica, ma anche quella verbale. Violenza generata dalla grettitudine, vero "male" presente nel film. La grettitudine di una madre che non ha mai voluto una figlia, quella di un marito che si esprime a sberle, quelle di un amico (Shawn) che vive in un mondo tutto suo, altro sintomo della pochezza umana. E la grettitudine della stessa Harding, anch'ella figlia di quell'ambiente squallido che è la provincia nordamericana, che si esprime sia tramite l'odio, i pugni e gli insulti, sia tramite lo sport, vera valvola di sfogo nonchè unica ragione di vita. Al punto che sia gli allenamenti che le gare di pattinaggio artistico vengono costruite come incontri di boxe, prima ancora che il pugilato sia nella vita della protagonista.





La seconda parte è anche la più convenzionale. Messa da parte la descrizione di personaggi ed ambienti, il film si cala nella ricostruzione dell'incidente Kerrigan, dando le responsabilità a chi le ha per davvero, affondando contro il vouyerismo del pubblico ed il pregiudizio dell'ambiente sportivo. Nulla di nuovo, ma condotto lo stesso con mano ferma.





Su tutto brilla ovviamente la performance della Robbie, semplicemente perfetta, in grado di passare dalle lacrime ai sorrisi nell'arco di un secondo, infondendo una trabordante carica di vita al suo personaggio, al quale aderisce anche sul piano fisico, riprendendo la vera corporatura della Harding, prova definitiva di come non sia solamente la donna più sexy dello showbusinness, ma anche un'ottima esponente della rinomata scuola attoriale australiana.




"I, Tonya" si configura così come un biopic lontano da ogni forma di idealizzazione, attento alla caratterizzazione dei personaggi e graziato da uno stile non nuovo, ma solido. Un perfetto dramma umano celato sotto le spoglie di una commedia sportiva, una visione intrigante e a tratti scioccante.

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