con: Rod Steiger, James Coburn, Romolo Valli, Rick Battaglia, Maria Monti, Franco Graziosi, Antoine Saint-John, David Warbeck.
Italia, Spagna 1971
Salutato già dopo il sui primo successo come un maestro del cinema, Sergio Leone, a fine anni '60, poteva vantare una carriera straordinaria nella Settima Arte. Tuttavia, non c'erano solo sostenitori del suo cinema tra le file di spettatori; molta critica di sinistra si divertiva, di fatto, a etichettarlo come "fascista", visto il cinismo dei suoi personaggi e, sopratutto, la scelta artistica di cimentarsi con un genere, il western, appannaggio quasi esclusivo di quegli americani che, durante le proteste del '68, erano diventati il nemico pubblico n°1.
Uno stigma che Leone non sopportava proprio a causa della sua formazione politica, in realtà affiancata a quella della sinistra extraparlamentare dell'epoca. E forse è stata proprio la necessità di scrollarsi di dosso quel vergognoso epiteto che lo ha portato a dirigere quello che sarà il suo ultimo western, il suo capolavoro più sottovalutato: "Giù la Testa".
Titolo italiano inventato di sana pianta da Leone, sulla scorta della credenza, infondata, che l'inglese "Duck you, sucker!" fosse una frase idiomatica usata nello slang americano. Un titolo più calzante ed evocativo avrebbe potuto essere quello con cui il film è stato distribuito in Francia, ossi "C'Era una volta la Rivoluzione"; poiché "Giù la Testa" è il western-politico definitivo, nel quale Leone fa confluire tutta la sua simpatia per i rivoluzionari, portando al contempo a compimento un discorso sulla forza dell'amicizia virile commovente.
D'altro canto, Leone è chiaro sin dai titoli di testa, che si aprono con una citazione del Libro Rosso di Mao: "La Rivoluzione non si fa nei salotti, non è un ballo di gala"; la visione della lotta di classe adoperata dal grande autore è sporca, cattiva, scevra da ogni vero romanticismo (il quale viene limitato esclusivamente alla definizione dei due personaggi principali). E la prima scena è in tal senso chiara e di perfetta esecuzione: Juan (uno straordinario Rod Steiger), introdotto come un peone sempliciotto, sale a borda di una diligenza in cui i ricchi e eleganti esponenti della classe dirigente si abbuffano voracemente mentre lo riempono di insulti, ai quali risponde con un sorriso volutamente ebete. Lo scherno viene giustapposto alla voracità, l'uso magistrale di un montaggio serrato e di inquadrature strettissime e per questo perfette trasforma il dialogo in un atto simbolico, nel quale il piccolo proletario viene letteralmente divorato dai padroni. Un'ordalia che viene interrotta dalla violenza: la diligenza viene presa d'assalto, i ruoli si invertono, con Juan che diviene carnefice. La rivalsa sull'oppressore viene attuata in modo veloce e spietato, la violenza verbale viene ripagata con quella fisica. Ma quella di Juan non è (ancora) affermazione della dignità di classe mediante l'uso della sovversione violenta dello status quo, quanto una semplice vendetta per l'umiliazione subita. Atteggiamento che cambierà, nel corso del film, grazie all'amicizia con John (James Coburn, elevato allo stato mitologico come avverrà nuovamente poco dopo con "Pat Garrett & Billy the Kid").
John, o "Sean" come era chiamato in Irlanda, è un idealista, un uomo fuggito dalla terra natia nella quale combatteva contro il tirannico Impero Britannico assieme all'IRA e che ora si ritrova a perorare quegli stessi ideali in una terra straniera. Laddove Juan è un personaggio a-morale, che si è escluso volontariamente da una lotta di classe alla quale viene preferita la violenza spicciola ai fini della sopravvivenza, John è una figura quasi intellettuale, che associa la teorizzazione rivoluzionaria all'azione in campo. Una via di mezzo, in pratica, tra un intellettuale e un combattente.
L'amicizia tra i due porta alla crescita interiore di Juan: coartato dapprima con l'inganno (la rapina al Banco Nacional de Mesa Verde, in realtà assalto ad una Bastiglia), Juan arriva un po' alla volta ad assimilare l'ideale rivoluzionario, sin quanto la lotta non arriva a toccarlo personalmente; il massacro della sua famiglia non è momento di svolta, quanto ultimo atto in una trasformazione che era già in corso dal momento in cui è stato acclamato come eroe popolare. Il proposito personale arriva così a confondersi con la volontà di ribalta, sino a fare di Juan un personaggio completo.
John è una figura romantica, un uomo perseguitato dal ricordo del tradimento di un suo ex commilitone, in fuga da un passato dal quale non ha però rinnegato gli ideali. Il ruolo dell'intellettuale, nonché dell'anello debole, viene dato al Dr.Villega (un Romolo Valli al solito incredibilmente intenso), anch'egli idealista, ma dalla fibra non adamantina, al quale non resterà che trovare la redenzione con il sacrificio supremo.
Leone dirige il tutto con una mano talmente ferma da divenire plastica. Le variazioni costanti nel ritmo fanno somigliare il film ad una vera e propria sinfonia in immagini. Magistrale in modo in cui dilata i tempi nella prima, lunga, sequenza, solo per poi accellerarli subito dopo. Quasi ogni scena merita di essere annotata in un ideale manuale su come fare cinema e su tutte, svetta ovviamente l'assalto al convoglio, sia per grandezza che per perfetta esecuzione. E su tutto ovviamente svetta llo score di Ennio Morricone, sontuoso e talvolta ironico.
Direzione da manuale che si sposa con un racconto sempre avvincente: ci si innamora davvero dei due protagonisti, ci si appassiona alle loro sventure e si resta ammaliati dinanzi ai loro (piccoli) trionfi. Il cinismo di "Per un Pugno di Dollari" è lontano, Leone si avvicina del tutto alle emozioni dei suoi personaggi, trascinando lo spettatore nel loro mondo. Tanto che nel finale non si può che commuoversi per la loro sorte e gioire amaramente di quella violenza catartica che agisce (volutamente) solo in parte da consolazione.
"Giù la Testa" è l'ennesima prova da maestro di Sergio Leone, una pellicola splendida e coinvolgente, che merita di essere riscoperta e apprezzata per il capolavoro che rappresenta.
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