con: Anthony Hopkins, Jonathan Pryce, Renato Scarpa, Juan Minujin, Luis Gnecco, Cristina Bangas, Sidney Cole, Libero De Rienzo.
Biografico
Inghilterra, Italia 2019
L'inconciliabilità caratteriale a volte determina davvero una forma di comunione; questa è, in fondo, la lettura principale che Fernando Meilleres e lo sceneggiatore Anthony McCarten danno agli incontri tra i due papi, due figure, quelle di Ratzinger e Bergoglio, agli antipodi sia come persone che come ministri del culto.
I due autori partono dai più terreni degli avvenimenti: la morte di Giovanni Paolo II nel 2005 e l'abdicazione di Benedetto XVI nel 2013; due eventi che hanno scosso la Chiesa e il mondo, cambiandone per sempre la percezione da parte dei fedeli. Da un lato la fine di un pontificato che è riuscito a riportare la fede in quegli strati sociali più poveri che, nel corso del Secondo Dopoguerra, sembravano incontrovertibilmente indirizzati verso una forma di laicismo che rasentava l'ateismo. Dall'altro, la rinuncia di un pontefice gravato da un'eredità storica e politica insostenibile.
Il racconto intessuto dai due autori, tuttavia, parte dall'attualità per farsi subito racconto privato di due vite vissute in modo opposto.
McCarten già aveva dimostrato di saper descrivere l'uomo dietro la figura pubblica in "L'Ora più Buia" e "La Teoria del Tutto", mentre Meirelles, sudamericano, è per forza di cose attratto da quel Bergoglio che ha fatto della sua identità nazionale un punto di forza. Bergoglio diviene così figura cardine nella ricostruzione della storia umana e politica che dall'Argentina si fa cartina di tornasole per tutto il Sud America: la vicinanza alle classi più povere, il rapporto ondivago con i gruppi rivoluzionari, la coesistenza forzata con la dittatura e la difficoltà di rimanere coerenti in un contesto dittatoriale. Bergoglio, perfettamente incarnato nella performance divertita e empatica di Jonathan Pryce, si fa così figura predominante e sfumata, uno e mille, persona e personificazione di un intero continente. La sua colpa, il suo peccato e la relativa penitenza divengono universali, travalicando ogni forma di particolarità.
Se il papa argentino si fa figura nella quale immedesimarsi e perdersi, Ratzinger è per forza di cose figura più ostica, lontana dall'empatia eppure al contempo straordinariamente umana; un uomo chiamato a sostituire nell'immaginario collettivo quel Karol Wojtyla che ne adombra da subito il pontificato; uno studioso, prima ancora che uomo, il cui carattere ai limiti del marziale ne aliena le simpatie; la sua è una storia privata, il suo peccato mai davvero svelato: tolleranza verso la pedofilia? Verso la malversazione imperante in Vaticano? Non è dato sapere, né è necessario; ciò che conta è la sua visione del pontificato, più antiquata ma anche più vicina al ruolo storico del Papato, forse fuori tempo massimo ma sicuramente solida nella sua impostazione.
Il gap caratteriale tra i due personaggi è immane e per paradosso puro è proprio questo che crea una forte stima reciproca; due teologi e uomini agli antipodi, eppure capaci di comprendersi a vicenda, di trovare il buono annidato persino nelle peggiori azioni dell'altro. Un rapporto che da turbolento si fa subito rispettoso, sino a sfociare nell'amicale. E dal confronto delle due persone emerge un quadro completo dell'importanza istituzionale del Papa, come guida umana prima ancora che spirituale.
Mereilles rinuncia in parte ai suoi soliti virtuosismi, relegando l'eleganza ai soli flashback sulla giovinezza di Bergoglio; adotta uno stile secco, dove le singole immagini ritrovano senso solo nel montaggio, spezzato e basato sulle giustapposizioni; stile che sfiora il documentaristico e che gli permette di avvicinarsi maggiormente ai suoi personaggi anche sul piano meramente estetico.
La ricerca di autenticità trova così una piena applicazione e il ritratto che segue, oltre che veritiero, appare giusto e condivisibile; oltre che graziato da due prove attoriali a dir poco ottime.
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