lunedì 4 settembre 2023

La Fidélité

di Andrzej Zulawski.


con: Sohpie Marceau, Pascal Greggory, Guillaume Canet, Magali Nöel, Guy Tréjan, Michel Subor, Edith Scob, Marc François, Marina Hands.

Francia, Portogallo 2000
















Giunto alla fine degli anni '90 con addosso lo stigma dello scandalo de "La Sciamana", Zulawski si ritrova ina posizione strana, un punto nella sua carriera dove forse non sa che direzione imboccare e per questo prova a tornare indietro, al suo cinema erotico-esistenziale degli anni '80. Modernizzando il romanzo di Madame De La Fayette "La Principessa di Cléves", al quale si ispira comunque alla lontana, firma così "La Fidélité", quella che resterà la sua penultima pellicola, nonché l'ultima girata con la moglie Sophie Marceau.




Clélia (la Marceau) è una fotografa di talento, cittadina canadese, la quale decide di accettare un lavoro in Francia per conto di un tabloid specializzato in notizie scandalistiche condite da sesso e violenza. Durante il viaggio verso la Francia, la madre (Magali Noël) le chiede di sposarsi prima della sua morte. Giunta a destinazione, incontra lo strambo Clève (Pascal Greggory), rampollo di una grossa famiglia borghese che si dichiara subito innamorato di lei, nonché il volitivo datore di lavoro Mac Roi (Michel Subor), che le dimostra apertamente la sua attrazione. Sposatasi con il pur buon Clève, Clévia incontra per caso il collega fotografo Nemo (Guillaume Canet), per il quale comincia a provare un'irrefrenabile attrazione.




Un film fluviale, di ben 159 minuti, durante i quali il grande regista polacco rievoca un pò tutte le sue ossessioni; in primis la più ovvia, quella del triangolo amoroso, qui declinata in chiave quasi pudica. "La Fidélité" più che un film sull'amore è un film sul tradimento e più specificamente, come il titolo afferma, sulla fedeltà: Clélia è fortemente tentata di tradire il marito e consumare l'attrazione verso Nemo, cosa che però non fa mai. La narrazione scava quindi nel solco tra tentazione e abbandono dei sensi, ma, fermandosi sempre su tale dicotomia, si fa presto ridondante, senza mai riuscire ad avere la forza drammatica di "L'Importante è Amare" e la sua sottotrama sul personaggio di Jacques Dutronc.



Zulawski cuce tutto il racconto sul personaggio interpretato dalla moglie (qui prossima alla separazione definitiva), dipingendone fortunatamente sfaccettature e umori in modo completo. Clélia è una donna sofisticata, un'artista che non si accontenta della semplice pornografia e scandaglia il mondo con uno sguardo diverso, originale, a suo modo profondo; ma è al contempo irrefrenabilmente attratta dal sudicio, da quel mondo sotterraneo che di solito si limita a testimoniare a occhio nudo (la spazzatura trovata nello stadio da hockey) e che Nemo le porta in piena attenzione.
Lo sguardo dei due si fa così compenetrante e complementare: le foto di Clélia ritraggono il reale, ma con l'effetto in movimento lo distorcono, lo patinano sino a trasformarlo in qualcosa di irreale e indefinito, astrazione nella sua forma più terrena. Nemo ha invece un occhio più posato, più vicino alla forma della realtà, benché filtrata dalla sua sensibilità artistica. Il loro rapporto è quindi del tutto complementare, per questo ideale.



Lo sguardo di Zulawski si muove accompagnando questi strambi personaggi per le loro peregrinazioni, tampinandoli da vicino, ritraendoli in immagini al solito ricercate; ma mai come ora sembra sempre prossimo a far deragliare racconto e descrizione, a perdersi nel vortice di intuizioni, critiche più o meno velate (tra cui quelle alla pornografia anche televisiva, con un chiaro rimando alla tv commerciale berlusconiana), tra gli umori e passioni dei suoi personaggi. Riesce a restare in equilibrio per puro miracolo anche quando fa confluire apparizione ectomplasmatiche inutili, con una tensione verso il sovrannaturale che non trova motivo alcuno di esistere come accadeva ne "Le mie notti sono più belle dei vostri giorni".



Benché la mano di Zulawski riesca a restare ferma, la durata eccessiva e la poca originalità del tutto impediscono a "La Fidélité" di essere un'opera davvero memorabile, stretta così com'è in pensieri assodati e ossessioni oramai arcinote, finendo per essere priva della freschezza e della profondità dei suoi migliori lavori.

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