lunedì 18 febbraio 2013

Il Castello

Das Schloß

Di Michael Haneke

Con: Ulrich Mühe, Susanne Lothar, Frank Giering, Felix Eitner, Nikolaus Paryla.

Drammatico
 

Austria (1997)

 











Nel 1997, lo stesso anno in cui si impone al grande pubblico con il capolavoro "Funny Games", Haneke firma anche una delle sue prove meno riuscite, questo "Il Castello", adattamento dell'omonimo romanzo, rimasto incompiuto, di Franz Kafka.


In un vilaggio perso nel tempo e nello spazio, giunge uno straniero, K.(Ulrich Mühe), chiamato a rivestire l'incarico di agrimensore presso il signore del castello del luogo; fin da subito, K. si scontra con l'ostilità dei villici e con la burocrazia cieca ed impenetrabile che li governa e li stritola.
La metafora del genio di Kafka è chiara e forte: K. è un ribelle, un uomo pensante e libero che si scontra con un potere assoluto, rappresentato dall'irrangiungibile Castello, che dall'alto del colle s'impone sul villaggio e i suoi abitanti; K. non ha nome, non è un essere umano poichè agli occhi del potere egli è solo un unità, un pezzo di un tutto privo di personalità vera e propria; lo scontro tra le due forze è immane: K. è un agrimensore, il suo lavoro è misurare i terreni di proprietà del nobile, dunque di limitarne ed imbrigliarne il potere; ed il potere non può accettare limitazioni, poichè altrimenti non potrebbe governare su tutto e su tutti; incarnazione del potere è la burocrazia, lenta e farraginosa, la quale più che aiutare i singoli ad interagire con il potere, li schiaccia attraverso la confusione delle sue formule arzigogolate al limite dell'onanismo al fine di poterli controllare; la personificazione di tale sistema è data dalle figure che K. di volta in volta incontra: un'umanità abbruttia al punto da non potersi nemmeno più definire tale, personaggi schiavi dei loro ruoli e dei loro diffetti, talmente assoggettati al potere da non avere quasi più una coscienza propria.



Se il romanzo di partenza, dunque, è affascinante e sconvolgente, l'adattamento che ne fa Hanke risulta, paradossalmente, noioso e spossante, fin troppo freddo persino per gli standard del cinema del meastro austrico; come già in "71 Frammenti di una Cronologia del Caso", anche qui Haneke frantuma il racconto; ogni scena è quasi un mondo a sè stante che si lega a stento alle altre mediante stacchi lunghi; stile narrativo perfetto per dar forma alla materia di base, ma che diviene un impaccio per l'attenzione dello spettore; questo perchè ogni singola scena è costruita con una freddezza geometrica, atta a dar corpo all'atmosfera cupa e fastidiosa del romanzo; Haneke, dunque, riesce si a creare un perfetto contraltare del romanzo, ma non ad intrigare: si assiste passivi alle disavventure di K. senza mai davvero essere colpiti da ciò a cui si assiste; siamo lontani anni luce, purtroppo, dalla magnificenza di un altro adattamento kafkiano, lo splendido "Il Processo" (1962), diretto dal grande Orson Welles.



"Il Castello" è, in definitiva, un film più riuscito che affascinante, in cui si cominciano a delineare alcuni dei difetti del cinema di Haneke, i quali esploderanno più in là, ne "Il Tempo dei Lupi", la sua opera meno riuscita.

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