con: Broderick Crawford, Richard Basehart, Giulietta Masina, Franco Fabrizi, Riccardo Garrone, Sue Ellen Blake, Lorella De Luca.
Italia, Francia 1955
---CONTIENE SPOILER---
Il successo di "La Strada" consacrò Fellini come autore, ma il suo lavoro successivo, "Il Bidone", ottenne un esito opposto a quello che ci si aspettava: presentato al Festival di Venezia, viene letteralmente demolito dalla critica; Fellini corse ai ripari tornando in sala di montaggio per accorciarne il minutaggio e cambiare all'ultimo momento molto del narrato. Quello che era inizialmente il racconto dei "mariuoli" Augusto, Picasso e Roberto e dei loro familiari, diviene un film più piccolo, dove è il solo Augusto ad avere un arco caratteriale vero e proprio.
Rimaneggiamenti del racconto a parte, "Il Bidone" partiva già come un film diverso da quelli che Fellini aveva creato sino ad allora e anche di quelli che avrebbe diretto dopo. Affiancato sempre dal duo Flaiano-Pinelli in sede di script, elabora una storia più asciutta e amara, dove non c'è redenzione, fuga o catarsi positiva di sorta, lasciando che il dolore trionfi su tutto.
I tre protagonisti sono quasi una versione matura dei "Vitelloni", tre perdigiorno che sopravvivono grazie alle truffe, raggirando gente più povera e sopratutto più ingenua di loro. L'Italia in cui si muovono è quella del contado, delle mezzadrie e delle periferie diroccate, incrostata ancora da quella povertà e arretratezza che il boom economico non ha mai scalfito. Lo sguardo di Fellini si fa acuto: messo da parte il registro visionario e favolistico, dipinge la società italiana in modo diretto e agro, quasi come farebbe un esponente dell'odiato neorealismo; secchezza di stile che si ritrova anche nel racconto.
Augusto (e per estensione i suoi due compari) è un uomo che vive di pura apparenza: monsignore quando in abito da vescovo, proprietario di un cappotto di lusso dove però l'unica cosa di valore sono i bottoni, così come di orologi che sembrano essere gioielli, quando l'unico ad avere valore è quello regalato alla figlia. Inizialmente egli è pura apparenza, ossessionato dai "lavori" e preoccupato per la sua età ormai non più giovane, che presto gli impedirà di continuare a perpetrare le truffe.
Ma qualcosa in lui presto si rompe; dapprima l'incontro con l'ex collega Rinaldo, che ora ha fatto fortuna e sembra essersi sistemato, un dritto che è riuscito davvero a risalire la scala sociale, a divenire altro dai "poveracci" che raggirano e vengono raggirati. Alla festa di Capodanno, questo parveneu finisce per dare una lezione a lui e ai suoi amici, con la storia del portasigarette che presto li rimette in riga.
Da qui in poi, Augusto è chiamato a fare i conti con il suo lascito, il che lo porta a rivedersi dapprima nel personaggio di Picasso, giovane padre e marito dalle aspirazioni artistiche, ma che sembra bloccato nel magro mondo dell'arte di arrangiarsi; confronto che si fa insostenibile a seguito dell'incontro con la figlia, una giovane e bella ragazzetta che sogna il lavoro; dinanzi a lei, le illusioni che si è costruito cominciano a svanire, sino ad essere infrante con violenza nella tragica scena del cinema. Da qui vi è una cesura e la vita di Augusto sembra ricominciare: spariti gli amati compagni, si ritrova al punto di partenza, a riperpetrare quella truffa del monsignore che ce lo ha introdotto, ma che questa volta andrà storta. Il confronto catartico che avrebbe dovuto avere con la figlia avviene invece con un suo ideale doppio, una ragazza semi-paralitica ingenua eppure speranzosa, la cui fede è forza salvifica che porta Augusto a confrontarsi definitivamente con le menzogne che vende.
Da qui lo sfacelo, la violenza e, per la prima volta nel cinema di Fellini, la morte; una morte lenta, straziante, dove sembra esserci spazio per una redenzione, la quale però viene negata in extremis. Non c'è salvezza vera, non c'è redenzione, ci sono solo il dolore e il rimorso che divorano questo "peccatore", come in una favola morale di Pasolini.
"Il Bidone" finisce così per essere, in prospettiva, il lavoro più amaro dell'artista riminese, il più cupo e disperato. Resta la curiosità per il materiale tagliato e ad oggi mai reintegrato e sicuramente non ha la forza espressiva de "La Strada", ma resta lo stesso un dramma coinvolgente e riuscito. Un Fellini forse minore e prosaico, ma al contempo intenso anche se privo di quel tocco di genio che costituisce il suo marchio d'autore.
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