con: Elio Germano, Tommaso di Cola, Giulietta Rebeggiani, Gabriel Montesi, Lino Musella, Max Malatesta.
Italia, Svizzera 2020
Al loro secondo lungometraggio, i fratelli D'Innocenzo, reduci dai successi di "La Terra dell'Abbastanza" e di "Dogman", tornano a parlare della periferia romana e delle sue anime perse, volgendo lo sguardo, stavolta, ai piccoli borghesi dei villini a schiera. Tra una ricercatezza formale che sconfina presto nel barocco e tanta superficialità, "Favolacce" si caratterizza sin dai primi minuti come un'opera piatta e compiaciuta.
Al centro di tutto, la famiglia, croce e delizia del cinema italiano. Questa volta troviamo un pugno di adulti che sembrano inconsciamente regrediti all'età infantile, immaturi e schiavi dei bassi istinti; affianco a loro, i figli, giovani pre-adolescenti alle prese con le scoperte della vita, del sesso e della morte.
Ed è proprio la tematica della morte a risultare indigesta, con un finale campato in aria che vorrebbe spiazzare ma riesce solo a infastidire.
Anche al di là di questo, "Favolacce" vuole essere una semplice collezione di storie nere, dove a regnare sovrana è l'ottusità dei personaggi. In tal senso, risulta perfettamente riuscito: al bando la narrazione progressiva, assistiamo ad una semplice sfilata di fatti drammatici, talvolta sconnessi, sempre e comunque compiaciuti nella loro cattiveria.
Non esiste volontà alcuna di scandagliare gli animi e le menti dei personaggi, solo quella di incuriosire con scenette morbose quasi sempre gratuite. Sul perché il professore si diverta a insegnare ai giovani allievi come costruire una bomba, su cosa abbia spinto una giovane ragazza madre al suicidio o sul destino del giovane autistico Geremia, nulla viene lasciato neanche intuire.
A fare il paio con la sceneggiatura piatta, una messa in scena talmente ricercata da divenire farraginosa, persa nella contemplazione di nature morte e geometrie sghembe, alla costante ricerca di un tono che, paradossalmente, si fa presto anch'esso compiaciuto.
In "Favolacce", in sintesi, ritroviamo tutto il peggio del cinema italiano "d'autore": tanto, troppo compiacimento infarcito di una superficialità che vorrebbe essere delicata ma che serve solo a evitare di pensare a fatti e personaggi in modo tridimensionale. Chi vuole può apprezzare, chi non apprezza forse dimostra di essere smaliziato e intelligente.
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