con: Carey Mulligan, Alison Brie, Bo Burnham, Adam Brody, Christopher Mintz-Plasse, Clancy Brown, Connie Britton, Jennifer Coolidge, Alfred Molina.
Usa, Inghilterra 2020
La carriera come produttrice di Margot Robbie ha avuto alti e bassi, ma anche una costante interessante: tutti i suoi film pongono al centro la figura di una donna forte in cerca di affermazione. Sia essa la pura e semplice vendetta di "Terminal", piuttosto che l'emancipazione dalla figura maschile di "Birds of Prey", il cinema creato dalla Robbie si inserisce, giocoforza, nel filone post #metoo per la volontà di portare alla ribalta i personaggi femminili; e l'aspetto più convincente del suo lavoro sta nel fatto di non scadere mai nella misandria pura e semplice, cercando sempre di restare ancorata a coordinate credibili senza nulla togliere alla critica sociale.
"Promising Young Woman", esordio al cinema dell'autrice televisiva Emerald Fennell, tenta di fare altrettanto, innestando un discorso sulla disparità tra genere nella società occidentale strutturando il discorso come una storia di vendetta stilizzata e antimanichea, che riesce, bene o male, a mantenere quasi tutte le sue promesse.
Cassie (Carey Mulligan) è una trentenne segnata dal trauma dello stupro e del conseguente suicidio della sua migliore amica Nina; per vendicarsi sul genere maschile, si diverte a "punire" i predatori sessuali fingendosi ubriaca nei bar per poi umiliare chi la rimorchi con l'intento di approfittare di lei. La sua condizione di vita già precaria subisce uno scossone quando reincontra il suo ex compagno di studi Ryan (Bo Burnham), il quale le svela come il gruppo di amici che aveva stuprato Nina è di nuovo in città.
Cassie, vendicatrice del sesso oppresso, viene introdotta come una Thana "softcore", una donna ferita (anche se indirettamente) che sfoga la sua rabbia su tutto il genere maschile, indiscriminatamente. Ma, al contempo, la sua vita è misera, fatta di rapporti familiari freddi e caratterizzata dall'assenza totale di una vita sociale. Cassie è vittima tanto della violenza quanto di se stessa, persa nell'ossessione di una vendetta senza volto, né corpo, per questo destinata a durare per tutta la sua vita. Una vendetta che le ha tolto tutto, trasformandola da "giovane promettente" ad adulta mai realizzata.
Il tema dello stupro o, più precisamente, del sesso non consenziente viene posto alla base del dramma, ma il modo in cui viene trattato è controverso. Il supporto è per la vittima e ci mancherebbe altro, tuttavia una riflessione è d'obbligo: il tasso di stupri nel college americani è altissimo; non ci sono scuse, ovviamente, per i predatori che approfittano di una persona incapace, pur tuttavia bisogna tenere conto della contestuale esplosione di alcolismo giovanile, con il fenomeno del binge-drinking a fare da padrone, che porta spesso i giovani a distruggere volontariamente le proprie difese fisiche e psichiche e li rende, di conseguenza, vittime ideali. Il dito non va puntato contro le vittime, è sempre bene specificarlo, ma contro la cultura dell'auto-assoluzione, che tende a giustificare i comportanti più lascivi anche quando sfociano in tragedia. E l'alcol, inutile dirlo, è il balsamo che aiuta i predatori a perdere i freni inibitori e le vittime a non potersi difendere, quindi forse è arrivata l'ora di riflettere per davvero sulle abitudini dei ventenni in cerca di sballo, che si pongono volontariamente da un lato con le spalle al muro, dall'altro si sentono giutificati per ogni conseguente cattiva azione, anche quando sfocia nel reato.
Il film della Fennell, a tratti, sembra voler puntare il dito contro la cultura dell'eccesso, ma ripiega subito nei territori più confortevoli del cinismo. E da questo punto di vista, l'onestà di fondo è quasi encomiabile: nel mondo di "Promising Young Woman" non esistono buoni o cattivi, solo vittime e carnefici con differenti gradi di colpevolezza. Lo script non si fa remore a tratteggiare la propria protagonista come una psicopatica ossessionata dalla lesa maestà, quella di aver perso il primato relazionale con la migliore amica prima ancora di quella concernente la tragedia che l'ha spinta a vendicarsi. Così come non c'è vergogna nell'ammettere come una forma di redenzione sia possibile, come nel caso dell'avvocato interpretato, in un cameo, da Alfred Molina. Non siamo dalle parti del veterofemminismo gretto e compiaciuto di "Black Christmas", quanto più sulle coordinate di "Tre Manifesti a Ebbing, Missouri".
La Fennell riesce perfettamente a caratterizzare un personaggio complesso immerso in un contesto complesso; non si sbilancia troppo neanche nel finale, il quale non cancella gli aspetti più problematici, anche se risulta si troppo elegiaco e anche in parte fuori posto, visto quanto raccontanto nei due atti precedenti; per tutta la durata del film, la sua Cassie è una mina vagante, un essere perso tra auto e etero-distruzione che si aggrappa agli ultimi stralci della sua umanità riuscendo, a tratti, a tornare ad essere "normale", ad eclissare la sua ossessione vendicativa. E nel dare corpo a questo personaggio insofferente e inquieto, Carey Mulligan si rivela perfetta, donando un'interpretazione viva e sfaccettata che forse merita davvero l'Oscar.
Più forzate invece paiono le nomination per regia e scrittura, come spesso accade. La messa in scena si fregia di una fotografia sgargiante e canzoni pop vivaci, ma la costruzione delle scene è basilare, flagellata anche dall'abuso di dialoghi, prova della formazione televisiva dell'autrice, che si nota anche nella costruzione un po' frammentaria del racconto.
Per il resto, questo esordio lascia ben sperare una pregiata carriera per la Fennell e riesce a distinguersi all'interno di un filone, quello del rape & revenge, fin troppo abusato, soprattutto negli ultimi anni.
Questo ha convinto praticamente tutti, devo vederlo quanto prima perché sembra proprio nelle mie corde.
RispondiEliminaHa convinto anche troppo XD
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