giovedì 10 novembre 2022

Black Panther: Wakanda Forever

di Ryan Coogler.

con: Letitia Wright, Angela Bassett, Tenoch Huerta, Lupita Nyong'O, Winston Duke, Danai Gurira, Dominique Thorne, Martin Freeman, Julia Louis-Dreyfuss, Lake Bell.

Avventura/Fantastico/Azione

Usa 2022












Il primo "Black Panther" rappresentava al contempo l'apice della popolarità del MCU e la prima avvisaglia della sua decadenza. Da una parte, il film è stato un successo enorme, riuscendo persino a portare a casa qualche Oscar e venendo nominato finanche come miglior film. Ma dall'altra il giochino ipocrita tipicamente hollywoodiano si era palesato davanti a tutti: il film non era certamente memorabile e non rendeva neanche giustizia ad un personaggio importante non solo nel contesto fumettistico, eppure era stato accolto come un capolavoro e prima ancora venduto come "il film che avrebbe cambiato la vita degli spettatori afroamericani", tanto che si era arrivati persino ad organizzare una serie di proiezioni a prezzo ridotto per i bambini dei quartieri difficili. Trucco svelato: era mera pubblicità che marciava sulla miseria sociale. E il clamore suscitato dal film era tutto dovuto all'ambiente woke che girava su sé stesso. Al punto che, tra il pubblico, le prime critiche arrivarono dalla stessa comunità afroamericana, che di certo non poteva identificarsi in un eroe ricco e potente che impediva la rivolta degli oppressi.
Quattro anni dopo il panorama è in parte cambiato. La Disney ha portato sin troppo avanti la sua politica di "politically correctness" e la crociata dell'inclusivismo forzato, i Marvel Studios hanno incassato un paio di cocenti flop in sala ("Eternals" e "Shang-Chi"), oltre ad aver propinato al pubblico alcune delle serie in streaming più stupide mai concepite ("Hawkeye", "Moon Knight" e soprattutto "She-Hulk- Attorney at Law"). I fan oramai sono scontenti della piega presa dalla produzione del Marvel Studios e quello che sembrava un universo inattaccabile e sin troppo amato si sta lentamente trasformando in un pupazzo su cui sfogare le proprie frustrazioni. "Wakanda Forever" è in un certo senso il successo che lo studio necessita e occorre di conseguenza chiedersi se questo sequel, flagellato in partenza dalla morte del compianto Chadwick Boseman, sia davvero in grado di ridare lustro alla compagnia o dignità al personaggio.
Per fortuna, "Wakanda Forever" è un sequel che surclassa in tutto l'originale e si pone persino come uno dei migliori esiti della Marvel al cinema.




Su tutto vige l'ombra del lutto. La morte di Boseman diventa la morte di T'Challa, che lascia un regno senza un sovrano e prima ancora una famiglia senza un figlio ed un fratello. Le redini della storia vengono così affidate a Shuri (Letitia Wright) e alla regina Ramonda (Angela Bassett, che come da copione brilla sul resto del cast). Il Wakanda deve così difendersi dalle pressioni internazionali per ottenere i segreti del vibranio, ma anche dall'inedita minaccia di Namor (Tenoch Huerta), sovrano del regno subacqueo di Talocan.




Le new entry questa volta si alternano agli estremi dei personaggi classici e modernissimi del roaster Marvel.
Namor il Sub-Mariner viene creato dal Bill Everett nel 1939, quando la Marvel era ancora denominata "Timely Comics". Dai lineamenti orientali, è nei fumetti il sovrano di Atlantide in lotta contro gli umani, rei di aver depredato impunemente le ricchezze del mare. Nella sua storia editoriale ha spesso ricoperto il ruolo di villain, soprattutto contro i Fantastici Quattro, ma anche quello di anti-eroe, entrando persino nell'enclave degli Illuminati assieme a Tony Stark, Stephen Strange, Charles Xavier e l'odiato Reed Richards.
Su schermo, Namor diventa Namòr, sovrano di un regno subacqueo situato nel mare dello Yucatan e fondato dai rifugiati aztechi scacciati dai conquistadores, dove viene venerato come il dio Kukulkàn. Cambiamenti dovuti in parte alla tematica anti-colonialista del film, ma soprattutto per differenziarlo dall'Aquaman di casa DC, il quale, pur avendo esordito su carta successivamente al Sub-Mariner (ed essendo di fatto un suo clone), è arrivato al cinema per primo.




All'estremo opposto, Riri Williams appare per la prima volta nel 2015, nella testata di Iron Man per mano del prolifico Brian Michael Bendis e finisce subito per diventare uno dei personaggi più odiati dell'intera storia editoriale della Casa delle Idee; il perché è poi, paradossalmente, incredibilmente comprensibile ed estremamente detestabile.
Riri è la punta dell'iceberg della politica di inclusione forzata della Marvel, la quale ha deciso di sostituire tutti gli eroi più amati e di etnia bianca con dei nuovi personaggi afroamericani, donne o entrambi. Si ha così Miles Morales come nuovo Uomo Ragno, Laura Kinney come nuova Wolverine, Sam Wilson come nuovo Capitan America e appunto Riri Williams come nuova Iron Man, benché il suo nome da battaglia è sin dall'inizio Ironheart. E se Miles Morales è stato ostracizzato solo dai soliti intolleranti, Laura Kinney non ha mai davvero ricevuto critiche forti anche grazie al segreto di Pulcinella per il quale Logan sarebbe prima o poi ritornato a reclamare il titolo di mutante artigliato e Sam Wilson ha in realtà scontentato per lo più i suoi stessi fan di vecchia data (soprattutto di colore), i quali hanno giustamente fatto notare come la sua "promozione" a Cap ha in un certo modo sminuito il suo alter-ego precedente, la Williams ha da subito suscitato polemiche, concentratesi sul fatto che sia impossibile che una quindicenne fosse in grado di creare una tecnoarmatura funzionante, che sia in sostanza la più classica "Mary Sue" creata ad hoc per far colpo sul pubblico femminile e di colore. Peccato che questa armatura vada in pezzi al primo utilizzo e che lei riesca a costruirne una davvero funzionante solo grazie all'aiuto di Tony Stark e che, su tutto, il suo "genio precoce" non è nulla di nuovo in un universo dove un Peter Parker quindicenne crea un polimero in grado di sollevare tonnellate di metallo praticamente nella sua cameretta e lo stesso Stark da vita ad una serie di robot perfettamente funzionanti già a otto anni.
Pregiudizio razzista? Sicuramente. Ma di certo non hanno aiutato all'apprezzamento né il fatto che la testata che ospitava le sue prime avventure continuasse a portare il nome di Iron Man e non di Ironheart, né il fatto che le sue prime storie fossero di una mediocrità sconsolante.
Senza contare come, in ossequio ai dettami woke più cretini, si è deciso di dotarla di un flashback del tutto deficiente nel quale chiedeva alla maestra di discriminarla. Il ciò al solo fine di creare empatia e portare alla ribalta i problemi dei giovani neri nel sistema scolastico americano... e poi c'è gente che si arrabbia quando si dice che spesso i fumetti di supereroi sono semplice spazzatura per bambini.



In "Wakanda Forever", Riri Williams diventa il mcguffin da recuperare/proteggere in una storia dagli echi colonialisti. Il Wakanda è responsabile dell'aver svelato al mondo l'eisstenza del vibranio e di essersi rifiutato di condividerne i giacimenti. Gli Stati Uniti iniziano così una ricerca nel resto del mondo e ne trovano una parte nei pressi di Talocan. Namor ricatta Ramonda e Shuri, chiedendo la consegna della giovane scienziata che ha creato il rilevatore in grado di tracciare l'agognato metallo divino. Ma ciò è solo il preambolo ad una guerra verso la superficie.
La dinamica è chiara: gli oppressi di ieri diventano i mostri di oggi. I potenti del mondo sono mossi solo dai propri interessi e i popoli più deboli devono collaborare per non essere schiacciati. Il che funziona grazie all'empatia verso gli Yucatechi e la tragedia del colonialismo nel centro-sud America. Un po' meno se si pensa che tutto si sarebbe potuto evitare se il Wakanda avesse davvero avviato una politica di collaborazione internazionale (e ai più intelligenti non può poi sfuggire come sia in realtà impossibile che una nazione sia diventata la più potente e tecnologicamente progredita al mondo senza aver mai commerciato con nessuno). Namor da un lato, Shuri e Ramonda dall'altro divengono così dei sovrani chiamati ad evitare un conflitto globale e al contempo a rispettare i doveri di protezione verso il loro popolo, situazione decisamente più comprensibile rispetto a quella (assurda) del primo film.



Ma il focus è anche sulla tematica dell'elaborazione del lutto, della somatizzazione necessaria della perdita e dell'urgenza di andare avanti. Sia Shuri che Namor sono segnati dalla morte di quello che era il punto di riferimento della loro vita, la madre per lui, il fratello per lei, ed entrambi agiscono mossi dal dolore mai superato. Se questo è un veleno, alla fine diventa lo stesso balsamo che porta alla riappacificazione, al superamento della rabbia e del sentimento di vendetta innato, viatico necessario per la comprensione altrui. Il quale deve però essere accantonato al fine di poter guardare al futuro, con quella scena mid-credit che forse riesce davvero a commuovere.




La mano di Coogler è più ferma e questa volta non abusa la CGI, preferendo quasi sempre l'uso di location e set fisici. La fonte di ispirazione estetica questa volta è chiara, ossia l' "Avatar" di Cameron, con il leitmotiv del tema dell'acqua, i guerrieri di Namor che diventano blu a contatto con l'aria e le battaglie combattute tra armi tradizionali e tecnologia futuribile. Ma il senso di déjà-vù per fortuna viene arginato anche grazie ad un aspetto stilistico tutto sommato originale, con la rielaborazione dei costumi aztechi e africani che riesce davvero a dare un tocco visionario al tutto.




Tanto che, al netto di una durata forse eccessiva, "Wakanda Forever" riesce a convincere e a trasmettere un messaggio progressista per una volta riuscito prima ancora che condivisibile. Cosa che molto spesso non accade nella Hollywood degli SJW urlanti e dell'impegno un tanto al chilo mai davvero sostenuto dal talento.

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