lunedì 27 maggio 2013

Tetsuo

di Shinya Tsukamoto

con: Tomorowo Taguchi, Shinya Tsukamoto, Kei Fujiwara, Nobu Kanaoka.

Surrealista/Cyberpunk/Horror/Erotico

Giappone (1989)


















Filosofo del corpo umano e delle sue alterazioni, cineasta virtuosista ed eclettico nonchè visionario DOC, Shinya Tsukamoto è uno dei registi più originali ed interessanti di sempre, un autore a tutto tondo che scrive, produce, dirige, monta ed interpreta ogni suo film; nel 1989 esordisce nel lungometraggio con "Tetsuo", incubo filosofico-cyberpunk che sconvolge ed intriga gli spettatori dei festival di mezzo mondo e lo consacra, fin da subito, come maestro indiscusso del cinema d'avanguardia.



Una mattina, radendosi di fronte allo specchio, un giovane uomo (Tomorowo Taguchi) scopre un pezzetto di metallo infilato nella sua guancia: sarà l'inizio di un incubo in cui il suo corpo cominceà a mutatare in una macchina antropomorfa e che lo porterà a scontrarsi con un suo simile (Shinya Tsukamoto), il cui corpo è invece mutato in ferro arruginito. 




Già dal prologo, l'inteto critico dell'autore è lapalissiano: la società post-industriale, fatta di cemento e metallo, ha cambiato irrimediabilmente la struttura umana; aggirandosi in ambienti sporchi, grondanti ferro e sabbia, l'uomo è mutato: la sua carne è stata invasa dal metallo che lo circonda; ma a differenza di David Cronenberg, autore con la cui filosofia ha comunque molto a che spartire, Tsukamoto non profetizza un mondo di là dal venire, ma si limita ad estremizzare la devianza già insita in quello attuale (il "New World" in cui si accenna più volte nel corso del film altro non è che un'estremizzazione ulteriore e definitiva, basata comunque su di un processo che nel film trova compimento fin dalle primissime inquadrature); è il mondo attuale e contemporaneo ad essere una mutazione di una realtà ormai dimenticata; la trsformazione in cyborg del protagonista, sebbene giustificata dalla "maledizione" lanciatagli da una sua vittima, appare del tutto ordinaria, poichè perfettamente inserita nel contesto della sua quotidianità.


 Il metallo è quindi organismo vivo e pulsante che ricopre e consuma ogni essere vivente, riplasmandolo in un'amalgama ambulante che di umano ha solo delle vaghe fattezze; il ferro, la corrente elettrica ed i fumi industriali sono gli elementi portanti del nuovo corpo umano, un essere che ha un unico scopo: divorare l'intero pianeta e riplasmarlo a sua immagine, perfetto simbolo dell'industrializzazione coatta ed impazzita che, nel corso di un secolo, ha cambiato il volto di un intero paese (il Giappone) e dell'intero pianeta, divenuto nient'altro che un ammasso di cemento e ferro.


All'interno di un quadro generale, Tsukamoto inserisce anche una forte critica, sottoforma di satira, della piccola borghesia nipponica; il protagonista, piccolo impiegato, altro non è che un essere squallido e codardo: investe quello che poi sarà il suo nemico e lo sotterra vivo per non scontare colpe; la maledizione, quindi, altro non è che il castigo per la sua colpa; peccato con cui fa perfetto palo la sua inconscia paura dell'omossessualità, sardonicamente simboleggiata dalla scena dell'incubo in cui viene sodomizzato dal "tubo-dildo" della compagna; paura che, paradossalmente, viene superata con la rinuncia alla carne: divenuto un ammasso di rottami, decide di fondersi con la sua nemesi, in una scena di seduzione disturbante e al contempo dissacrantemente ironica.


Ancora più feroce è invece la critica che il regista rivolge al personaggio femminile (e che gli cucirà ingiustamente addosso l'epiteto di misogino, dal quale riuscirà a liberarsi solo anni dopo, con lo splendido "Gemini" del 1997): una donna lussuriosa, che si eccita di fronte allo sguardo moribondo della vittima e che decide di togliersi la vita facendosi penetrare a morte dal pene del compagno, mutatosi in una trivella impazzita.



Nella messa in scena, Tsukamoto disvela, già al suo esordio, una vena visionaria totale e toalizzante: stop-motion, montaggio spezzato, inquadrature sghembe, accellerazioni e tonnellate di dettagli; ogni inquadratura svela un simbolo da interpretare, ogni dettaglio è foriero di significati (la distruzione del corpo umano, la sua ricomposizione in ferro, la paura del gender, ecc...); il ritmo è semplicemente indiavolato, tra accellerazioni improvvise e inquadrature quasi subliminali, mischiate ad una musica essenziale e dalle sonorità industriali, che rendono la pellicola un vero e proprio attacco ai sensi dello spettatore; magnifico l'uso del bianco e nero, talmente contrastato e saturo da far apparie tutto come coperto dal metallo; semplicemente geniali alcune trovate visive, come il disturbante dettaglio del tubo di ferro passato tra i denti (poi ripreso dallo stesso Tsukamoto nel successivo "Bullet Ballet" del 1998), i flashback girati in video e le visioni dell'interno del metalo, nel quale si muove il personaggio di Tsukamoto, quasi un omaggio ad un altro esordio da manuale, il mitico "Eraserhead" (1977) di David Lynch.


Folgorante, eccessivo, brutale, corrosivo, "Tetsuo" è un film geniale, il perfetto esordio di un autore mai troppo lodato.

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