Avrebbe compiuto 90 anni giusto ieri, Stanley Kubrick, se non fosse scomparso, nel sonno, quel 7 Marzo 1999, durante le ultime fasi di lavorazione di "Eyes Wide Shut", suo film-testamento.
Quasi vent'anni di gap in cui avrebbe sicuramente regalato al pubblico almeno un altro capolavoro, forse il tanto inseguito "Napoleon", forse qualche altra eccelsa visione umana. Non è dato ovviamente saperlo; quel che resta è una filmografia breve ed intensissima: appena 13 film in quasi 50 anni di carriera, durante i quali ha attraversato la Hollywood dello Star System e la New Wave degli anni '70, quasi tutti i generi cinematografici americani e non (manca all'appello giusto un western, che avrebbe dovuto persino dirigere: "I due volti della Vendetta", poi portato in scena da Marlon Brando), per creare 13 visioni in cui la costante è l'eviscerazione dell'esperienza umana, sia come singolo che come specie.
Una ricerca, la sua, di un comune denominatore a tutta la Storia dell'Uomo. L'esempio più fulgido è ovviamente "2001: Odissea nello Spazio", vera e propria epica sull'umana evoluzione; ma non mancano altri tasselli essenziali in ben altre opere: basti pensare alla critica dell'età della Ragione in "Barry Lyndon", a quella della folle modernità de "Il Dr. Stranamore" o alla duplice messa in scena della follia di "Shining" e "Full Metal Jacket", la prima intesa come fine del raziocinio, la seconda come sistematica de-umanizzazione dell'uomo in una perfetta macchina da uccidere ("L'esercito non vuole dei robot. L'esercito vuole dei killer").
Ricerca che prende le forme di uno stile unico, dove la totale padronanza della messa in scena, dallo script agli effetti speciali, gli ha permesso di creare immagini dalla perfezione sbalorditiva: ogni fotogramma dei suoi film è un vero e proprio quadro, dove l'uso delle ottiche e la gestione dello spazio porta a creare dei quadri in movimento. L'esempio più fulgido è anche il più scontato: il magnifico "Barry Lyndon", dove la ricercatezza formale è sinonimo della freddezza d'animo di un intero secolo:
Perfezione nella ricercatezza dell'immagine che discende dalla sua formazione giovanile, quella di fotografo autodidatta:
Già in questo suo celebre scatto è avvertibile l'urgenza di riorganizzare lo spazio in un sistema di forme ad incastro, dove non esiste forma negativa. Una composizione barocca, ma mai tronfia, per questo assolutamente geniale.
Ed è, in fondo, alquanto scontato parlare di genio una volta che si sia tenuto conto della sua perfetta padronanza della tecnica filmica, che lo ha portato a sperimentare soluzioni inedite ed ardite. Inutile tirare in ballo gli incredibili effetti speciali di "2001" o la magistrale fotografia "naturalistica" di "Barry Lyndon". Meglio, allora, tenere presente la sperimentazione musicale di "Arancia Meccanica", dove i classici di Beethoven e Rossini rivivono in chiave elettronica, vero e proprio post-modernismo applicato al mezzo filmico, che finisce per divenire pura arte avanguardista.
O, ancora, la perfetta geometricità delle immagini di "Shining": una forma totalmente razionalista per narrare la perdita della ragione, il trionfo della follia e dell'incomprensibile (il sovrannaturale) sulla mente dell'essere umano:
Perfezione raggiunta grazie alla costante sperimentazione di nuovi mezzi. Sempre in "Shining" è celebre l'uso della neonata steadycam per seguire i personaggi. O in "2001" l'uso del front-projection per proiettare immagini di paesaggi reali su sfondi di tela in studio, in modo da creare la perfetta illusione di uno spazio infinito, racchiuso in realtà tra quattro mura.
Un genio, il suo, che si traduceva in pellicole potenti, eppure incredibilmente godibili. Kubrick non era e non voleva essere pedante: celebre la sua rinuncia, ad inizio anni '90, alla regia di un film sulla Shoah dopo l'uscita di "Schindler's List", per non tediare lo spettatore con una storia già vista.
E di fatto, è rincuorante rendersi conto di come le sue opere vengano apprezzate anche e sopratutto da un pubblico giovane, ammaliato dalla potenza delle immagini prima ancora che dalla forza dirompente dei suoi contenuti.
Un'immortalità che solo la vera arte può permettersi.
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