Major Dundee
di Sam Peckinpah.
con: Charlton Heston, Richard Harris, Jim Hutton, James Coburn, Warren Oates, Ben Johnson, L.Q. Jones, Slim Pickens, Senta Berger, Mario Adorf, Michael Anderson Jr., R.G. Armstrong, Michael Pate, Brock Peters.
Western
Usa 1964
C'è un'urgenza comune a tutto il cinema western di Sam Peckinpah, quella di restituire la dimensione del mito ad un livello più terreno, più umano, dove siano i personaggi con tutte le loro macchie ed imperfezioni ad essere il centro dell'universo, piuttosto che le azioni epiche.
E di epica, Peckinpah ne sapeva molto, anche se la sua era lontana anni luce dalla spavalderia di un John Wayne e simili. Un'epica che avrebbe dovuto declinare con "Major Dundee" in tutto il proprio fulgore e, sopratutto, ambiguità; ma è qui che, più di prima, si manifesta il suo nemico, quella produzione che gli toglierà il film dalle mani a riprese ancora non terminate, minacciando addirittura di gettarlo al macero; se oggi "Major Dundee" esiste, lo si deve alla perseveranza di Charlton Heston, che decise di finanziare il film di tasca propria e a fondo perduto. Ma anche questo sacrificio non era abbastanza per gli dèi di Hollywood: massacrato al montaggio, che ne ha obliato intere sequenze madri, il canto di Peckinpah viene ridotto dagli oltre 200 minuti iniziali ad appena 2 ore, più 15 minuti reinseriti in un'edizione estesa solo nel 2006.
Inutile sottolineare come, in questa sua veste, l'opera risulta poco coerente, a tratti poco chiara nelle caratterizzazioni, di sicuro non coesa e riuscita. Eppure, da qualche parte, esiste dentro "Major Dundee" un grande film.
1.864, ultimi anni della Guerra Civile Americana. Il bandito apache Sierra Charriba (Michael Pate) terrorizza i territori del New Mexico con razzie spietate. Contro di lui si schiera il maggiore Amos Dundee (Heston), il quale crea un esercito di reietti assieme al disertore ed ex compagno d'armi Benjamin Tyreen (Richard Harris) e si imbarca in una crociata ai limiti della follia per fermarne l'azione.
Dundee e Tyreen come e prima di Pat Garret e Billy the Kid: due ex amici che si ritrovano su due fronti diversi; il primo inflessibile (ma fino a che punto?) ufficiale yankee, il secondo immigrato irlandese ed ex soldato nordista condannato ingiustamente proprio dal camerata, unitosi poi ai confederati solo per cadere in mano nemica. Dundee è l'ordine costituito, Tyreen è il ribelle.
E come da tradizione nel cinema di Peckinpah, ribelle non vuol dire rinnegato, bensì individuo dotato di una propria bussola morale ben più forte di quella degli esponenti dell'autorità.
Di fatto, è Dundee ad essere un debole: dapprima porta i propri uomini in un'imboscata inseguendo l'illusione di una facile vittoria per il nemico; fa poi condannare senza appello un presunto disertore, O.W. (Warren Oates), distruggendo il morale della truppa; per poi cadere in una seconda imboscata, dovuta alla sua passione per la bellissima Teresa (Senta Berger), donna che dice di amare, ma che tradisce con una facilità disarmante.
Non c'è eroismo per Dundee, la vanagloria inseguita forsennatamente gli sfugge in una battaglia anticlimatica con Charriba, dove a sferrare il colpo decisivo è il giovane trombettiere Ryan.
Tyreen, d'altro canto, percorre la sua strada con una coerenza invidiabile. Galante e risoluto, comprende subito il suo ruolo di secondo in comando, arrivando a giustiziare il presunto disertore O.W. per evitare una rivolta contro Dundee da parte dei propri compagni sudisti. E' lui a vincere per primo il cuore della bella Teresa, con i suoi modi da gentiluomo del sud; è sempre lui a riportare sulla retta via un Dundee in preda ai demoni dell'alcool; ed è solo lui a trovare una morte da eroe in battaglia, contro i lancieri francesi. E' lui, in sostanza, il vero eroe, l'incarnazione di quei valori amicali e virili schiacciati dall'ambizione personale e dalla vana ricerca di gloria, destinato a soccombere proprio come accadeva allo Steve Judd di "Sfida nell'Alta Sierra".
Se lo scontro ideale tra i due poli opposti dei protagonisti emerge con la dovuta forza dalle pieghe (e piaghe) del montaggio voluto dalla Columbia, lo stesso non si può dire per il resto delle tematiche e della storia. Persa per strada è la sottotrama del soldato di colore Aesop, capofila di un gruppo di volontari afroamericani impegnati anch'essi nella ricerca della gloria della battaglia.Così come sfilacciato è il racconto, troppo adagiato su riempitivi e sequenze inutilmente lunghe, tanto che il succo della trama sembra spesso rimanere tra le righe, mai esplicitato con la dovuta forza su schermo.
Di tutt'altro colore è invece la regia di Peckinpah, che dirige tutto con pugno saldo e, sopratutto, con una modernità di stile incredibile: l'uso del montaggio, spezzato e talvolta riassuntivo, rende questa sua terza opera più vicina ai fasti de "Il Mucchio Selvaggio" che al classicismo dei due predecessori. Moderno è anche l'uso della violenza, iperealistica, con il sangue che scorre a fiumi durante i massacri.
Ma nella sua forma attuale, "Major Dundee" resta un'opera più interessante che riuscita. Le tematiche del cinema di Peckinpah sono tutte bene o male presenti, ma giungeranno su schermo con forza maggiore in film di ben altro calibro e consistenza.
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