con: Simone Liberati, Pietro Castellitto, Laura Morante, Valerio Aprea, Claudia Pandolfi, Diana Del Bufalo, Kasia Smutniak.
Italia 2018
«Si chiama "profezia dell'armadillo" qualsiasi previsione ottimistica fondata su elementi soggettivi e irrazionali spacciati per logici e oggettivi, destinata ad alimentare delusione, frustrazione e rimpianti, nei secoli dei secoli. Amen.» Così Zecolcare (all'anagrafe Michele Rech) spiega il titolo della sua prima graphic novel: un'impressione soggettiva spacciata per oggettiva, una proiezione interiore nel mondo esteriore che prende le fattezze di un armadillo parlante, l'incarnazione di una coscienza che dovrebbe essere razionale me che è in realtà pura paranoia applicata ai fatti.
Pubblicato per la prima nel 2011, l'esordio del fumettista di adozione romana spopola ben presto tra i lettori della Penisola, imponendolo come nuovo fenomeno del fumetto indie nostrano. In esso, Zerocalcare fa confluire reminiscenze di gioventù (è classe 1983) e riflessioni estemporanee su tutto ciò che accade nel quotidiano, dalla spesa mensile ad un attacco di calabroni in casa, passando per il dolore, introiettato, per la prematura perdita dell'amica Camille e le reminiscenze del G8 di Genova. In un serie di episodi autoconclusivi, assistiamo alla sua venerazione per i videogames, all'amicizia con un pugno di giovinastri altrettanto (se non più) disperati, alla fascinazione per dinosauri e zombi, ai turbamenti di chi un lavoro vero non lo ha mai neanche sognato, pur avendo alte aspirazioni, nonchè al lascito di una prima giovinezza persa tra i centri sociali di Rebibbia.
In sostanza, ad una versione iperbolica della biografia dell'autore che, ormai trentenne, riflette su quanto c'è stato di importante nella prima fase della sua esistenza. Nulla di nuovo, si potrebbe dire: si tratta pur sempre di una tematica iperabusata nei media in Italia, dove chiunque ed il proprio cane decidono di usare gli strumenti espressivi di turno per parlare di sè stessi. In cosa consiste allora la riuscita dell'opera prima di Zerocalcare? Semplice: al di là di un umorismo acidognolo riuscitissimo (non si calcolano le battute da antologia sparse per il volume), in una sincerità intellettuale invidiabile.
Zecalcare non cerca di fare delle proprie esperienze un racconto morale o con una morale, nè di imporle come verità assoluta a rappresentazione di un'intera generazione. I suoi sono piccoli racconti di vita privata, pezzi di esistenza random riletti in chiave umoristica che, nella loro quotidianità quasi banale, riescono, per paradosso puro, a divenire genuinamente universali, pur non avendone la pretesa. Il tutto condito con una leggerezza che rende la lettura godibile anche nei passaggi più impegnati. Ed in un paese di intellettualoidi accaniti, tronfi figli di una classe dirigente allo sbando che credono di essere dei geni solo perchè hanno fumato una canna e di riferimenti pop spacciati per cultura alta, il piccolo mondo di Zero e soci appare se non originale, quanto meno rinfrescante nella sua mancanza di pretese che non siano strettamente umoristiche. Il relativo successo commerciale e di critica è di conseguenza a dir poco meritato.
Successo che ha portato alla trasposizione su schermo delle prime avventure di Zero e amici. Progetto in cantiere da un paio d'anni, che doveva essere diretto nientemeno che da Valerio Mastandrea, poi ritagliatosi il ruolo di sceneggiatore, ed affidato all'esordiente Emanuele Scaringi, il quale ha avuto il non facile compito di tradurre in immagini a 24fps un'antologia nata per essere raccontata esclusivamente con il mezzo fumettistico. Impresa a dir poco ardua che sfocia in una pellicola ambiziosa ma malriuscita.
C'è la voglia di raccontare una gioventù persa, quella delle periferie, con il ruolo di Zero (interpretato da un bravo Simone Liberati) a divenire automaticamente universale, avatar di tanti ragazzi persi nel limbo dei lavoretti a tempo determinato, perennemente a bordo del trasporto pubblico, fuoriusciti dai centri sociali e costantemente malvisti dalla polizia. Storia che si inceppa, incredibilmente, a causa di un tono sbagliato.
Manca l'umorismo demenziale e acido del fumetto: le gag divengono così trasposizione meccanica e sterile di ciò che erano su carta, purgate delle derive più visionarie (addio a scienziati pazzi e riferimenti a "Star Wars") e difficili peraltro da comprendere per chi non ha letto la controparte scritta.
E' come se Mastandrea e gli altri tre sceneggiatori (tra i quali figura persino lo stesso Zerocalcare) non abbiano capito il lavoro di base e si siano limitati a trasporlo meccanicamente su pellicola, lavorando più sulla quantità di spunti che sulla qualità degli stessi, sbagliando i toni di volta di volta in volta. Al punto che, ogni volta in cui l'armadillo e tutti gli elementi più genuinamente grotteschi fanno capolino su schermo, risultano alieni, inseriti forzosamente in una narrazione che non vuole conoscere la vera libertà propria della commedia più radicale.
La storia perde di conseguenza di mordente e diviene la classica "italianata" che porta in scena in modo svilito (e un pò svilente) l'alienazione dei venticinque-trentenni odierni e l'elaborazione del lutto, temi a dir poco abusati che, privati del giusto registro, si fanno puro piattume.
Ad una scrittura moscia e poco ispirata corrisponde, per fortuna, una messa in scena piena di guizzi; a discapito della sua poca esperienza, Scaringi dimostra una fermezza ed una voglia di sperimentare non comuni, riuscendo a trasformare lo script in immagini quanto meno simpatiche (bello sopratutto l'uso della lente bifocale). Il che rende questa trasposizione, benchè non riuscita, quantomeno digeribile.
C'è la voglia di raccontare una gioventù persa, quella delle periferie, con il ruolo di Zero (interpretato da un bravo Simone Liberati) a divenire automaticamente universale, avatar di tanti ragazzi persi nel limbo dei lavoretti a tempo determinato, perennemente a bordo del trasporto pubblico, fuoriusciti dai centri sociali e costantemente malvisti dalla polizia. Storia che si inceppa, incredibilmente, a causa di un tono sbagliato.
Manca l'umorismo demenziale e acido del fumetto: le gag divengono così trasposizione meccanica e sterile di ciò che erano su carta, purgate delle derive più visionarie (addio a scienziati pazzi e riferimenti a "Star Wars") e difficili peraltro da comprendere per chi non ha letto la controparte scritta.
E' come se Mastandrea e gli altri tre sceneggiatori (tra i quali figura persino lo stesso Zerocalcare) non abbiano capito il lavoro di base e si siano limitati a trasporlo meccanicamente su pellicola, lavorando più sulla quantità di spunti che sulla qualità degli stessi, sbagliando i toni di volta di volta in volta. Al punto che, ogni volta in cui l'armadillo e tutti gli elementi più genuinamente grotteschi fanno capolino su schermo, risultano alieni, inseriti forzosamente in una narrazione che non vuole conoscere la vera libertà propria della commedia più radicale.
La storia perde di conseguenza di mordente e diviene la classica "italianata" che porta in scena in modo svilito (e un pò svilente) l'alienazione dei venticinque-trentenni odierni e l'elaborazione del lutto, temi a dir poco abusati che, privati del giusto registro, si fanno puro piattume.
Ad una scrittura moscia e poco ispirata corrisponde, per fortuna, una messa in scena piena di guizzi; a discapito della sua poca esperienza, Scaringi dimostra una fermezza ed una voglia di sperimentare non comuni, riuscendo a trasformare lo script in immagini quanto meno simpatiche (bello sopratutto l'uso della lente bifocale). Il che rende questa trasposizione, benchè non riuscita, quantomeno digeribile.
La tua recensione da un lato conferma i miei dubbi, dall'altro almeno lascia qualche speranza che possa apprezzarlo, quantomeno parzialmente... Zerocalcare avrebbe meritato qualcosa di più.
RispondiEliminaDiciamo che è un film mediocre: non brutto ma lontano dai fasti del fumetto.
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