di Nanni Moretti.
con: Nanni Moretti, Silvio Orlando, Mariella Valentini, Asia Argento, Fabio Traversa, Remo Remotti, Giovanni Buttafava, Eugenio Masciari, Antonio Petrocelli.
Italia, Francia 1989
Le incursioni intimiste di "Bianca" e "La Messa è Finita" rappresentano in un certo senso un punto di non-ritorno per Moretti e per il suo alter-ego Michele Apicella. Un non-ritorno che culmina nella morte, che coincide con la fine di un decennio e, sopratutto, di un'esperienza politica, quella della sinistra italiana che, alla vigilia del crollo del Muro di Berlino, è letteralmente a pezzi.
La piscina diviene così luogo di confronto personale e collettivo per rievocare il passato, privato e politico di Apicella/Moretti, che davanti allo scontro con il nemico (la squadra avversaria come la DC) non può che collassare su sè stesso sino ad implodere, morire chiudendo la prima fase del cinema morettiano.
Un film nuovamente dialogico, basato sull'assurdo ed il simbolismo. Primo fra tutti quello del ricordo, dei super8 sgranati provenienti dai tempi di "Io sono un Autarchico" che rievocano la militanza giovanile nel PCI a suon di un "ti ricordi?" tanto insistito quanto vacuo.
E vacuo è forse il termine che meglio descrive la situazione umana e politica dietro il film. Un vuoto di idee colmato solo dal rimpianto per le troppe sconfitte: alla sinistra non resta che piangersi addosso, domandandosi vanamente il perchè della disfatta continua. Fino a chiudersi in un monologo disperato, con cui Michele chiede perchè nessuno si fidi della sinistra, quando essa stessa è uguale agli altri partiti.
Disfatta che è anche personale, con l'allontanamento di Michele dai dettami più rigorosi del Partito. Il tempo della propaganda e della gestualità e finito, limitato solo alla memoria filmica del "Dottor Zivago", unico personaggio a cui è rivolto il saluto del pugno chiuso. Perdita di punti di riferimento che è anche perdita di una memoria, personale e collettiva, che presto trasformerà il PCI nella "cosa".
Da qui anche la scelta di Apicella di "tirare a destra" sbagliando il rigore, sintomo di una frammentazione identitaria ormai totale.
Ricordi e rimpianti che sono anche quelli privati, del Michele-uomo, con il suo continuo domandarsi come sarebbe stata la sua vita se non avesse cominciato a giocare a pallanuoto, con il bambino costretto a giocare per compiacere i genitori. Rifiuto di un passato imposto che viene elaborato mediante la nostalgia della figura materna, che ritorna dritta dagli esordi. Michele si sente così orfano di un'infanzia dove, a prescindere dalle imposizioni, riusciva a trovare una posizione di piacere, a trovare se stesso nell'affetto materno, oltre che ovviamente che nella passione per i dolci, che da adulto divengono l'unico piacere e, forse, l'unica certezza rimasta.
Il registro amaro non è mai stato così rigoroso, l'uso dei simbolismi quasi marziale; il racconto è nevrotico ai limiti del nervoso nel suo incedere fatto di disastri e rimpianti.
Il limite è implicito: una freddezza cerebrale che potrebbe alienare lo spettatore; ma poco importa: "Palombella Rossa", con la sua cattiveria e senso di sconfitta, rappresenta tutt'oggi uno spaccato triste e veritiero di quel disastro in galleria che fu e che è tutt'ora la sinistra italiana; il che lo rende, purtroppo, drammaticamente importante e mortalmente attuale.
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