di Nanni Moretti.
con: Nanni Moretti, Ferruccio De Ceresa, Marco Messari, Enrico Maria Modugno, Dario Cantarelli, Giovanni Buttafava, Vincenzo Salemme, Luisa De Santis.
Italia 1985
Una felicità negata, la costante e disperata ricerca di un contatto umano che non arriva e la disperazione che ne segue. L'introspezione morettiana di "Bianca" subisce un'evoluzione: Moretti si distacca ancora maggiormente dal passato, dal suo alter ego Michele Apicella, qui assente, per trovare nel Don Giulio de "La Messa è Finita", per la prima e unica volta sbarbato, un viatico di una purezza unica. Questo per intavolare un discorso ancora più cupo che in passato, una presa di coscienza totale del male di vivere che attanaglia una generazione e, con essa, chiunque.
Se il Michele Apicella di "Bianca" cercava disperatamente l'amore per poi restarne scottato, Don Giulio non trova mai la felicità. Come le note di "Ritornerai" suggeriscono, egli è solo nella sua libertà, quella dall'affetto coniugale, negato in virtù del celibato religioso. E intorno a lui, come introno all'Apicella di "Bianca", ruota un microcosmo di personaggi che inseguono la felicità.
Primo fra tutti il padre, che trova l'amore di una ragazza che potrebbe essere sua figlia, a scapito della consorte, che per la disperazione si suicida. La sorella, innamorata di un ornitologo demente e non intenzionata a procreare. L'amico Saverio, che come Giulio si chiude in una solitudine aggressiva, lui per dimenticare una delusione d'amore. O Andrea, il cui passato di anarchico non è mai stato sconfessato. E, sopratutto, l'ex parroco che ha messo su famiglia, unico personaggio che sembra davvero vivere un idillio in Terra.
La dimensione familiare diviene rifugio d'affetto: lo stesso Giulio ammette come l'amore materno sia essenziale, l'unico vero amore possibile.
Il che si scontra con una società ormai priva di valori, dove i preti vengono picchiati a sangue, gli omosessuali percossi, la preparazione al matrimonio è una farsa e nessuno si presenta in chiesa.
Mancanza di valori che porta l'individuo appunto a ricercare una dimensione strettamente personale: Andrea rimprovera a Giulio la codardia, sua e degli ex compagni, nel non aver voluto proseguire sulla strada rivoluzionaria per fermarsi all'unità familiare. E Moretti, in un certo senso, si ritrova dalla sua parte, pur essendo cosciente dell'impossibilità di realizzazione di quell'ideale, nel 1985, oramai vetusto.
La dimensione umana è l'unica in grado di dare conforto, ma questa viene costantemente afflitta da una forma di incomunicabilità che porta all'isolamento: mancando il rapporto, manca la felicità. E per tutto il film, Don Giulio non trova mai la felicità, nè sa come cercarla se non nel riflesso altrui, avendo lui stesso rinunciato alla possibilità di creare un nucleo familiare. Da qui l'illusione finale, dove la felicità altrui diviene la propria; ma pur sempre di un'illusione si tratta. O, peggio, l'atteggiamento scostante, che lo porta a chiudersi in sè stesso sino ad ignorare i problemi altrui, come nella scena del confessionale.
E nel decantare la tristezza del suo alter ego, Moretti trova a sua volta una dimensione più compatta che in passato; al bando le derive grottesche (limitate alla sola scena della pista di macchinine, altra ossessione personale), lo script è di una genuinità a tratti sconvolgente, persino quando tenta gli affondi più acidi.
Profondità che purtroppo non si ritrova, come al solito, nella messa in scena: a movimenti di macchina più ricercati si alterna una costruzione della scena sovente sciatta, frettolosa, che affossa parte della bellezza dell'opera, che per forza di cose diviene meno godibile.
Il che è un peccato se si tiene conto della sua forza drammatica, che la rende perfettamente riuscita, quasi esemplare nella sua purezza, nel non voler dare una soluzione di sorta al male che ritrae.
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