con: Robert De Niro, James Woods, ELizabeth McGovern, Joe Pesci, Burt Young, Danny Aiello, William Forsythe, James Hayden, Tuesday Weld, Darlanne Fluegel, Treat Williams, Larry Rapp.
Italia, Usa 1984
---CONTIENE SPOILER---
Un' influente corrente critica, che trova in Italia diversi seguaci, tende ad identificare il gangster movie come l'incarnazione moderna della tragedia greca. Il perché è anche facile da capire: come nei classici ellenici, anche nei noir, polizieschi e gangster-movie veri e propri si narra di persone dotate di un potere di vita e morte sui loro prossimi, sedotti e corrotti dalle passioni più terrene, che finiscono sovente per essere annichiliti dalle forze del fato, dal caso o dai propri umani difetti. Basti portare l'esempio supremo della trilogia de "Il Padrino", magna opus che cita addirittura le fonti classiche, rielaborandole in chiave moderna. O allo "Scarface" di De Palma, ritratto impietoso di un uomo che si crede un dio e viene annientato dalla sua stessa hubris.
In tal senso, "C'Era una volta in America" riesce ad essere al contempo sia un perfetto esponente del "genere", sia la perfetta variazione sullo stesso. Anche Sergio Leone racconta un'epica che si svolge nell'arco di oltre 50 anni, non solo ricostruisce con efficacia un mondo, quello della New York di inizio secolo e degli anni '30, allora già perduto, ma riesce altresì a creare un film intimista, dove gli stati d'animo, le emozioni e le relazioni tra personaggi sono al centro di tutto, come e meglio dei kolossal di David Lean e dei classici del gangster ai quali pur si ispira.
Un'opera che, malauguratamente, finisce per essere il testamento del grande autore, ultimo film di una filmografia pressoché perfetta e magnifica conclusione di quella "Trilogia sull'America" iniziata con "C'Era una volta il West", proseguita con la rivoluzione messicana di "Giù la Testa" e che qui trova un epilogo nella rievocazione degli inizi del XX secolo e dell'era del Proibizionismo.
Un'opera al contempo monumentale e microscopica, che si addentra nei cuori e nelle menti dei personaggi così come nel cuore e nella mente di un'epoca, un capolavoro totale e totalizzante giustamente ricordato come l'esito suprema della poetica del suo creatore.
In quasi 4 ore di pellicola, Leone fonde il gangster movie con la nostalgia d'epoca e la storia d'amore con quella dell'amicizia virile. Comincia nei primi del '900 (parte tratta dal romanzo di Henry Gray "The Hood", base per l'intera sceneggiatura, per lo più originale), anzi, comincia con il ricordo degli inizi del secolo. In una medias-res infuocata, introduce il personaggio di Noodles e la sua ferocia, nonché quella dei suoi assalitori. Solo per compiere un balzo avanti nel tempo, oltre 30 anni dopo, per ritornare poi, con la mente del personaggio, alla sua infanzia, in una sorta di rielaborazione del modello proustiano.
Il tempo, in "C'Era una volta in America", è una grandezza incostante, pronto ad essere manipolato sin nelle sue fondamenta dal ricordo e dal sogno. Sia esso il tempo della scena che il tempo della narrazione in toto, Leone riesce a scinderlo e frammentarlo sino ad alterarne la percezione. Cominciando proprio dal prologo, quell'inseguimento tra i fumi dell'oppio e le ombre del teatro cinese che finiscono per dilatarne il ritmo, sino a contrarlo: non c'è tensione vera, solo narrazione di fatti che saranno inquadrabili solo successivamente.
Il racconto è, sin dalle battute iniziale, frammentato in una serie di schegge che, poco alla volta, costruiranno il mosaico di una vita. E lo fa attraverso due strumenti scenografici: dapprima la "porta del tempo", che si apre sulle note di "Yestarday", ossia un inno al ricordo di tempi passati che si fa elegia non del passato per sé, ma dello scorrere del tempo in toto. La seconda è la mattonella che Noodles sposta per scrutare nel suo passato, nella visione che fu del suo unico, grande e contrastato amore.
Alterazione temporale simile a quella di "C'Era una volta il West", che Leone raggiunge anche grazie alle magnifiche musiche di Ennio Morricone; il solo tema di Deborah basterebbe a rendere questo il suo miglior lavoro, con il suo mix di nostalgia e epica, ma memorabili sono anche il tema principale e quello dedicato ai momenti più leggeri.
Tramite la musica, Leone spezza il ritmo della singola scena e lo dilata sino alle estreme possibilità. Esempio supremo di tale decostruzione è la famosa scena del caffè, nella quale il vuoto, come in tanto cinema giapponese, diviene sostanza palpabile, introducendo una nota di tensione stirata in diversi minuti, senza che nulla di davvero concreto avvenga.
Al suo cuore, "C'Era una volta in America" è la storia di un'amicizia e di un amore. L'amicizia tra Noodles (De Niro) e Max (James Woods), l'amore tra Noodles e Deborah (Elizabeth McGovern). Un'amicizia che nasce come complicità nelle strade del ghetto di New York, all'interno della pur rigida comunità ebraica, la quale calza stretta ai due ragazzi, tanto da divenire una baby-gang vera e propria. Un'amicizia che dura una vita e che arriva al punto di non-ritorno quando Noodles è costretto a tradire il suo fratello di sangue per salvargli la vita.
Una storia d'amore, quella con Deborah, contrastata, dilaniata dall'incompatibilità caratteriale tra i due, con la donna che anzicché essere una dark-lady è quasi una figura salvifica, un amore impossibile per il quale Noodles sarebbe disposto a rinunciare a tutto. O forse no, al punto che la stessa finisce in violenza, sottomissione forzata eppure al contempo tragica del sentimento che, sotto sotto, resta forse ancora puro.
Una duplice storia che riverbera nel tempo. Gli errori e le occasioni mancate divengono rimpianti, riscoperti con la terza età. Una vecchiaia ideale, nella quale l'amore di una vita non è stato logorato dal trascorre del tempo e l'amico fraterno si riscopre vivo e vegeto, sfuggito al suo fato mortale per pura casualità. Un esito positivo che, tuttavia, forse non esiste, forse è solo un'allucinazione dovuti ai fumi dell'oppio e al rimpianto; tanto che nell'ultima, struggente sequenza, Leone rincorre il suo protagonista all'interno dello scorrere del tempo, sino a farlo adagiare sotto un baldacchino che è esso stesso reminiscenza del cinema leoniano, inquadratura rubata a "C'Era una volta il West" ma che qui serve ad incorniciare un sorriso, la realizzazione della realtà o, forse, l'accettazione di quanto si è immaginato. E Robert De Niro, con la sua performance minimale e pacata di un personaggio in realtà quasi animalesco, ci regala quella che è forse la sua migliore interpretazione.
La regia di Leone si fa qui ancora più elegante, riuscendo a muovere scene di massa e restando contemporaneamente ancorata a movimenti di macchina fluidi e controllatissimi. La macchina da presa si muove libera per gli ambienti riuscendo a regalare in ogni scena immagini ricercate e mai barocche. Un equilibrio incredibile, prova dell'immensa grandezza del suo autore.
Epico e intimista, spaccato perfetto d'epoca e film sui sentimenti, "C'Era una volta in America" vive sempre in bilico su due e più fronti in contemporanea, caratterizzandosi con un'opera monumentale e, in senso lato, altamente romantica. Un capolavoro totale che purtroppo chiude in anticipa la filmografia di uno dei più grandi geni del cinema.
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