con: Alberto Sordi, Brunella Bovo, Leopoldo Trieste, Giulietta Masina, Ernesto Almirante, Lilla Landi, Fanny Marchiò, Gina Mascietti.
Commedia
Italia 1952
E' abitudine consolidata quella di ritrarre Federico Fellini come un intellettuale che, durante la sua vita, è stato uno dei (se non il) miglior regista italiano. Il che è sbagliato e limitante.
Fellini ha avuto una formazione popolare, il "sense of wonder" alla base di tutte le sue fantasmagorie si è creato quando, in giovane età, tradusse per la versione italiana le tavole del Flash Gordon di Alex Raymond: quei mondi alieni, abitati da creature fantastiche, ne segnarono indelebilmente l'immaginario, tanto che tutto il suo cinema può essere concepito come una rielaborazione personalissima del fantasy pop dei primi del '900; il che è evidente in molte delle sue opere, da "8 1/2" sino al terminale "La Voce della Luna". E va inoltre considerato come il buon Federico prediligesse la lettura dei fumetti a quella dei libri, al punto da essere divenuto, negli anni '60, persino amico di Stan Lee, dopo averne scoperto i comics.
Pensare, poi, a Fellini come un autore importante all'interno della storia della sola cinematografia italiana ne limita incredibilmente la portata delle opere così come la sua figura sia su di un piano sia artistico che storico. L'influenza del cinema di Fellini, allora come ora, è ravvisabile in decine di autori sparsi per tutto il globo, i quali ne hanno assimilato e rielaborato lo stile. Basti pensare anche solo a Sylvain Chomet, il cui prossimo progetto è basato sulle esperienze di infanzia del regista del riminese. O a Jodorowsky e al suo "Santa Sangre", vera e propria rielaborazione della fantasmagoria circense fellininana in chiave dark.
E' più corretto affermare, di conseguenza, come Fellini sia stato un autore dalla portata globale, il cui cinema e la cui arte sono patrimonio mondiale; il che lo rende, obbligatoriamente, uno dei cineasti più importanti di sempre, prima ancora di uno degli autori migliori che il cinema tutto abbia avuto.
Dopo aver svolto un'intensa carriera da sceneggiatore e aver ricoperto il ruolo di assistente alla regia per Rossellini in "Roma Città Aperta" e "Paisà", Fellini dirige assieme ad Alberto Lattuada il bel "Luci del Varietà"; ma è con il successivo esordio in solitario "Lo Sceicco Bianco" che si pone all'attenzione del grande pubblico, portando in scena una favola moderna dell'Italia del Secondo Dopoguerra. Film che inizialmente doveva essere diretto da Michelangelo Antonioni, il quale si tira indietro perché non convinto del soggetto. Fellini si ritrova così alla sua prima esperienza dietro alla macchina da presa e ricorderà in proposito come la sua scarsa conoscenza della tecnica filmica lo portò ad essere addirittura sfottuto da parte degli operatori e macchinisti. Poco male: come lui stesso sottolineerà nel corso di una famosa intervista, si può essere degli ottimi narratori pur avendo scarsa padronanza tecnica; il che è del tutto evidente in questo suo esordio, dove i limiti tecnici dell'artista sono del tutto evidenti, ma non pregiudicano la riuscita dell'opera in sé.
L'uso sbarazzino del montaggio è palese,gli scavalcamenti di campo non mancano e non sono fluidi e innocui come quelli di Kubrick, ma più estrosi; l'uso di un montaggio ardito sembra però dipendere più dallo stile di ripresa di Fellini che dall'uso dell'edizione per sé: è cosa nota come il grande artista improvvisasse praticamente tutto sul set, lasciando che l'ispirazione lo guidasse al momento; in questo suo esordio, utilizza questo suo personale stile solo per quel che riguarda la messa in scena, lasciando che la scrittura sia ancora quella buttata giù in fase di sceneggiatura.
Script che Fellini usa per creare un piccolo spaccato dell'Italia del boom economico; le storie che narra in questa prima fase della sua carriera non sono, in fondo, diverse da quelle già portate su schermo da De Sica o da quelle che di lì a poco narreranno Pietro Germi e Monicelli; storie di gente comune che ha a che fare con una quotidianità talvolta asfittica; ma se De Sica, Germi e Monicelli adoperano uno stile più secco, figlio appunto dello sguardo disincantato del Neorealismo, Fellini filtra il quotidiano tramite la lente del fantastico, dell'immaginifico e dell'onirico.
"Lo Sceicco Bianco" è, alla sua base, la storia di una fuga di una sognatrice che sfugge all'aridità della vita coniugale per abbracciare quel mondo del piccolo spettacolo che tanto la entusiasma; è l'Italia dei fotoromanzi consumati voracemente sopratutto nelle province, giornaletti che propongono storie di pura evasione, ambientati in mondi fantastici, distanti anni luce dal quotidiano. La giovane Wanda è l'incarnazione di questo sogno della classe proletaria e piccolo borghese di ritrovarsi per davvero dinanzi ai propri idoli. Solo per poi scoprire come la magia esista solo su carta.
La produzione del fotoromanzo omonimo è caotica, con un regista che grida gli ordini tramite un gigantesco megafono, curiosi che appestano il set e, sopratutto, divetti capricciosi che sabotano ogni buona intenzione. Wanda è trascinata in questo caos dalla morbosa curiosità di conoscere il suo idolo, lo sceicco bianco, che ha il volto piacione di Alberto Sordi; uno sceicco "de borgata", il quale non fa altro che insidiare la giovane sposa, forte del suo status di celebrità, solo per poi insultarla quando, per uno scherzo del caso, non riuscirà a conquistare.
Se il principe azzurro è in realtà un donnaiolo trucido, non meno mostruosa è la figura del marito Ivan, che ha il volto tremendamente comune di Leopoldo Trieste, maschera perfetta di quell'Italietta ossessionata dall'immagine dell'onore piuttosto che dall'onore in sé stesso, il quale fa il diavolo a quattro per mantenere una virtuale rispettabilità dinanzi ai terribili parenti di città; un uomo gretto, quasi grottesco nella sua maschera di normalità ossessiva, spaventato a morte dall'abbandono della moglie, ma che non si fa scrupoli quando si tratta di tradirla a sua volta con una prostituta, un'amica di quella Cabiria che ha il volto buono di Giulietta Masina e che qualche anno dopo sarà protagonista di uni degli esiti migliori del cinema felliniano.
Sebbene non possa vantare né la carica visionaria, né la cattiveria dei suoi lavori più riusciti, "Lo Sceicco Bianco" resta un incipit interessante e riuscito per la carriera di Fellini, che già nell'arco del primo decennio della sua attività regalerà capolavori maturi quali i successivi "La Strada" e "La Dolce Vita".
Nessun commento:
Posta un commento