lunedì 31 ottobre 2022

House

Hausu

di Nobuhiko Obayashi.

con: Kimiko Ikegami, Miki Jinbo, Kumiko Obha, Ai Matsubara, Mieko Sato, Eriko Tanaka, Masayo Miyako, Kiyohiko Ozaki, Yoko Minamida.

Fantastico/Commedia/Horror

Giappone 1977














Nell'immaginario collettivo odierno, il cinema horror giapponese è sinonimo di spettri femminili assassini di bianco vestiti e dai lunghi capelli neri che, tornando furiosi dal mondo dei morti, usano spesso la tecnologia per uccidere il malcapitato di turno, con una maledizione praticamente impossibile da spezzare.
Visione figlia di una tradizione arcaica, quello dei "Kaidan", i racconti di spettri che, sin dall'antichità, venivano tramandati nelle zone rurali del paese; i quali a loro volta, nel 1964, hanno trovato una perfetta rappresentazione cinematografica nell'omonimo film di Masaki Kobayashi.
Tra tradizione e modernità, nel 1977, arriva nei cinema del Sol Levante una pellicola che riprende parte della tradizione sovrannaturale, sia quella giapponese che quella più smaccatamente occidentale, e le modernizza... in modo estremo: "House" di Nobuhiko Obayashi.
Regista che esordisce nel lungometraggio, Obayashi viene dal mondo della pubblicità e, oltre alle tradizioni folkloristiche e filmiche, usa come spunto una serie di idee della piccola figlia, la quale gli confessa di provare terrore davanti allo specchio, spaventata dal fatto che possa divorarla. Mixando così la visione di una paura infantile con le suggestioni della tradizione sovrannaturale, crea una commedia horror talmente iperattiva, stilizzata e sopra le righe che a confronto "Evil Dead II" sembra un documentario sul neorealismo.



Oshari (Kimiko Ikegami) è una liceale che, assieme alle sue compagne, si accinge a cominciare le vacanze estive. Suo padre, di ritorno da un viaggio di lavoro in Italia, ne distrugge i piani con una novità inaspettata: ha sposato una giovane e bella donna, che si insinua nella sua vita prendendo il posto della defunta e mai dimenticata madre.
Al fine di somatizzare la notizia, decide così di recarsi in visita alla zia (Yoko Minamida), sorella della madre, che vive in un'isolata villa nelle campagne. Con lei, sei belle amiche: la suggestionabile Fantasy (Kumiko Ohba), l'agguerrita Kung Fu (Miki Jinbo), l'ingenua Sweet (Masayo Miyako), la talentuosa Melody (Eriko Tanaka), la razionale Prof (Ai Matsubara) e l'affamata Mac (Mieko Sato).




Lo stile di regia sarebbe oggi definibile come "da videoart" o "da videoclip", ma per l'epoca era qualcosa di incredibilmente fresco; arrivando dal mondo della pubblicità, Obayashi ibrida il linguaggio filmico classico con le influenze della manipolazione in post dell'immagine proprie del mondo degli spot. Ogni singolo frame viene pensato ed eseguito come strabordante, con un uso massiccio di artifici come il picture-in-picture, delle diverse velocità di ripresa, del chroma key per aggiungere sfondi volutamente posticci o creare compositing elaborati e volutamente falsi; o, ancora, si usano efficaci effetti "in camera" per creare un'atmosfera irreale, come l'uso di luci innaturali (derivate come sempre dal cinema di Mario Bava, tanto che inizialmente l'autore voleva firmarsi con uno pseudonimo che nipponizzava il nome dell'indimenticato artista nostrano) o di sfondi dai colori sgargianti.
Il risultato è un caleidoscopio di forme e colori talvolta stridenti, che ricrea e trasmette sensazioni contrastanti e sinanche ossimoriche, passando dalla commedia leggera allo splatter, dallo psichedelico al grazioso e giù fino genuinamente folle, con un ritmo da video musicale brit-pop anni '60 perfettamente ricalcato sulle belle musiche. Il che garantisce una visione talmente originale da diventare unica, che va oltre i limiti del semplice "weird" per divenire incredibilmente affascinante.




Lo stampo della storia, immediatamente riconoscibile, è quello dei racconti del terrore gotici, con una casa infestata, una creatura sovrannaturale atavica e persino una matrigna che scombussola la vita di una giovane e bella ragazza. Ma lo script si diverte a sovvertire parte di questi elementi classici, a svecchiarli sino a renderli quasi irriconoscibili. Il mostro di turno, un vampiro cannibale che fagocita vergini per rimanere giovane e bella come Ezrabeth Bathory, non uccide praticamente mai direttamente le sue vittime, lasciando che siano gli ectoplasmi della casa a fare il lavoro sporco. La protagonista, che la tradizione vuole come final girl, viene falciata a metà film, lasciandone il ruolo alla sensibile Fantasy. Il maschio, interesse amoroso di questa final girl, non riesce nemmeno a raggiungere il luogo degli eventi e viene usato praticamente come inserto (ancora più) demenziale. Persino la matrigna perde la sua connotazione negativa per farsi presenza angelica e quasi salvifica.




Le sette protagoniste hanno una caratterizzazione volutamente basilare, tanto che i loro soprannomi ne esplicitano le caratteristiche. In gruppo funzionano a dovere, anche grazie all'entusiasmo delle giovani attrici, praticamente tutte alla loro prima esperienza recitativa (l'unica professionista del gruppo era Kimiko Ikegami, all'attivo nel mondo della recitazione comunque da pochi anni) e ognuna ha il tempo di brillare in sketch simpatici e scene di morte ottimamente coreografate. Ovviamente su tutte è la sequenza dedicata a Kung Fu a risaltare, che sembra uscita da un cartoon di Hanna & Barbera sotto pesanti dosi di LSD.




Con il suo girotondo di trovate folli, "House" ben merita lo status di cult che ha da qualche anno a questa parte. Un film a dir poco ameno che regala una visione davvero unica.

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