con: Viggo Mortensen, Maria Bello, Ed Harris, William Hurt.
Usa, Germania (2005)
---SPOILERS INSIDE---
"A History of Violence" ovvero "Una Storia di Violenza", la violenza dell'individuo, radicata affondo nel suo essere e del tutto connaturata alla sua identità; portando sullo schermo una bella graphic novel di John Wagner e Vince Locke, Cronenberg riflette su di un interrogativo affascinante ed inquietante: può l'essere umano disfarsi totalmente della sua natura violenta?
"A History of Violence" rappresenta un ulteriore punto d'arrivo nella carriera di Cronenberg: per la prima volta la mutazione è avvenuta ed è definitiva, ancora più che nei profeti del Nuovo Ordine di "Scanners"; di fatto, Tom Stall è un mutante vero e proprio: ha ucciso il suo vecchio Io, Joey Cusack, ed ha ricostruito la sua identità in maniera del tutto antitetica a quella precedente; da criminale sadico e volitivo, egli è divenuto un uomo comune, per il quale la violenza non è la risposta ai soprusi, così come insegna al figlio vittima di un bullo.
La mutazione identitaria del personaggio è totale, ma non definitiva: Stall aggredisce con violenza meccanica i suoi aguzzini, reagendo in modo istantaneo ed istintivo, rivelando innanzi a tutti la sua natura atavica; ecco, dunque, che nel cinema cronenberghiano i corpi tornano ad esplodere, a disfarsi e ad andare in pezzi in maniera esplicita: la violenza viene mostrata senza filtri, con un iperrealismo che ne accentua i caratteri rivoltanti per rivelare l'interno (ossia "le interiora") del protagonista; ed è tale rivelazione a creare il disastro: le due nature dell'uomo non possono co-esistere; il menage familiare di Stall va subito in frantumi; il figlio ne questiona l'autorità ed arriva perfino a compiere un atto di genuina violenza; il rapporto con la moglie si arena: incapace di riconoscere l'uomo che ha di fronte, Edie (una magnifica Maria Bello) ne è terrorizzata; il loro allontanamento giungerà con una catarsi fisica: un atto sessuale ai limiti dello stupro, emblema della violenza esplicitatosi nel protagonista e perfetto controaltare della scena d'amore, tenera e adolescenziale, del primo atto.
Tuttavia, a differenza del Renè Gallimard di "M.Butterfly", Stall non accetta la sua identità: nel terzo atto intraprende un cammino di purificazione, travestito da ritorno alle origini, che lo porta a confrontarsi con sé stesso ed il suo passato, a distruggerlo proprio mediante la violenza, che qui diviene catarsi vera e propria; catarsi, però, definitiva solo in apparenza: nel magnifico epilogo, Stall si risiede a tavola con i suoi congiunti e, nella comunione del convivio, Cronenberg lascia allo spettatore un dubbio deflagrante, ossia se sia possibile accettare nuovamente una persona la cui identità effettiva resta un mistero anche per essa stessa.
Nel filtrare gli avvenimenti narrati, lo sguardo di Cronenberg si fa ancora più freddo e distaccato: il rigore della messa in scena, che qui si arricchisce di splendidi movimenti di macchina dall'alto, è totale e non scade nemmeno nelle scene di violenza; grandiosa, al solito, la direzione degli attori, tutti in parte e tra i quali svetta Viggo Mortensen, al primo ruolo da protagonista assoluto in una pellicola d'autore.
Gelido e disturbante, "A History of Violence" è l'ennesimo capolavoro del grande autore canadese, nonché la dimostrazione definitiva di come sia possibile trarre grande cinema dai comics senza scadere nel futile esercizio di stile.
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