di James McTeigue
con: Hugo Weaving, Natalie Portman, Stephen Rea, John Hurt, Stephen Fry, Rupert Graves.
Usa, Inghilterra, Germania (2005)
All'inizio degli '80 si assiste ad una vera e propria rinascita del comic americano indipendente, per merito di un gruppo di autori inglesi che, formatisi grazie ai supereroi della Silver Age, reinventano il concetto stesso di super-uomo e, sopratutto, il media fumettistico; scrittori del calibro di Neil Gaiman, Jamie Delano e, sopratutto, Alan Moore rivoltano come un calzino la narrativa pop sia dal punto di vista formale che contenutistico; serie quali "Hellblazer" e "The Sandman" portano la narritiva per baloon a conoscere temi sociali o metafisici declinati, per la prima volta, con serietà e cognizione di causa, come mai era avvenuto in Occidente; il concetto stesso di narrazione a fumetti viene ripensato tramite lo strumento della graphic novel, la quale predilige storie dallo sviluppo orizzontale e completo alla semplice narrazione episodica ed autoconclusiva del fumetto americano; proprio la graphic novel porta ad inquadrare il fumetto all'interno della narrativa vera e propria, grazie ai successi di Alan Moore, in particolare dei suoi capolavori "Watchmen" e, appunto, "V for Vendetta".
Pubblicato tra il 1982 e il 1985, in una cupa edizione in bianco e nero, "V for Vendetta" è il primo vero successo editoriale di Moore, già conosciuto presso gli aficionados Dc per il suo ciclo su "Capitan Marvel" e sopratutto per aver reinventato "Swamp Thing"; autore serio ed erudita, Moore immette nella narrativa fumettistica una serie di tematiche fino ad allora solo sfiorate, quali la conflittualità politica, il concetto di rivoluzione e la sottile differenza tra esso e il mero terrorismo, nonché la distopia di stampo orwelliano, per la prima purgata da ogni improbabile deriva sci-fi ed aggiornata ai tempi del Tatcherismo; al centro dell'opera, nella miglior tradizione occidentale, vi è comunque un personaggio unico ed iconico: V, terrorista rivoluzionario colto ed affascinante, la cui identità è celata dall'iconica maschera di Guy Fawks, preso a modello da Moore e dal disegnatore David Lloyd come perfetto emblema della lotta contro un potere corrotto ed autoritario.
La grande differenza tra V e qualsiasi altro supereroe dell'epoca sta, manco a dirlo, nella controversa e spiazzante caratterizzazione; guidato da una sete di vendetta a tratti spasmodica, il giustiziere mascherato non si fa scrupoli ad uccidere e manipolare chiunque lo circondi pur di abbattere il sistema totaliatario che affligge l'Inghilterra futura, incarnato dalla figura del Cancelliere, novello Grande Fratello, e dal suo enturage di ministri/generali; V è in tutto è per tutto un anti-eroe, la cui crociata libertaria assume spesso le fattezze del massacro terroristico vero e proprio; l'intento di Moore è chiaro: dimostrare come la differenza tra rivoluzione libertaria e mero massacro ideologico sia talmente sottile da scomparire del tutto in determinate situazioni; il giudizio sull'operato del personaggio viene però lasciato in ultima analisi al lettore, il quale assiste alle vicende perlopiù dal punto di vista della giovane Evey, dapprima vittima inconsapevole, poi agente terrorista pronta a tutto pur di riscattarsi dal male subito in passato, metafora della presa di coscienza che trasforma il cittadino da semplice ingranaggio sacrificabile ad individuo pensante e, quindi, incontrollabile da parte del sistema.
Dura ed affascinante, la bellissima opera di Moore viene trasposta, esattamente vent'anni dopo la sua conclusione, in una pellicola hollywoodiana a dir poco spiazzante; spiazzante per via dei nomi coinvolti: i cialtroneschi fratelli Wachowski alla produzione e alla sceneggiatura, l'esordiente McTeigue in cabina di regia; quello che sulla carta poteva essere un adattamento piatto o, peggio, meccanico della graphic novel di partenza diviene, miracolosamente, una sua rilettura, semplificata ed appiattita, ma estremamente coinvolgente; il personaggio di V resta, bene o male, quello del fumetto: un giustiziere ossessionato dalla rivincita contro il sistema, acculturato ed affascinante; tuttavia, rispetto all soggeto originale, le sue azioni sono poste sotto una luce benigna: gli autori vogliono giudicarlo positivamente, giustificare le sue azioni agli occhi dello spettatore enfatizzando il contesto distopico in cui avvengono; i limiti, però, sono palesi: da un lato la distopia immaginata da Moore non rende a dovere sul Grande Schermo, dove anni di adattamenti di Orwell, ufficiali ed apocrifi, hanno plasmato futuri ben più cupi e spaventosi di quello mostrato dal trio Wachowskis/McTeigue (basti pensare a "2022- I Sopravvissuti" del 1973, citato a più riprese in "Cloud Atlas", o al mitico "Brazil" del 1985, in cui Terry Gilliam dà la rilettura definitiva del capolavoro di Orwell "1984"); tuttavia, tematiche quali il controllo della razza, la manipolazione dell'opinione pubblica mediante la disinformazione pilotata ad arte e l'ossessione per il controllo elettronico della massa sono sempre interessanti ed attuali; la violenza intrinseca al protagonista, inoltre, non viene mai celata, né edulcorata: nonostante la forte enfasi posta sulla storia d'amore con Evey (qui interpretata dalla bellissima e bravissima Natalie Portmna), V resta un vigilante dai modi violenti, un terrorista scaltro e manipolatore, nonché un rivoluzionario dai metodi ben poco concilianti; e la performance di Hugo Weaving permette, in defitiva, al personaggio di bucare lo schermo: perennemente celato sotto l'iconica maschera, Weaving recita usando solo il corpo e la voce (tra l'altro magnificamente doppiata nella versione italiana da un Gabriele Lavia redivivo e in stato di grazia), spargendo carisma e fisicità in ogni singola inquadratura. Spiazzante e anche, in proposito, la scelta del resto del cast; a partire da Natalie Portman, in apparenza improbabibe nel ruolo della ribelle, riesce invece a donare al personaggio di Evey una forza ed una determinazione inedita; risulta ancora più stupefacente, però, trovare nel ruolo del Cancelliere John Hurt, che nell'ultimo adattamento di "1984" (il misconosciuto e poco riuscito "Orwell 1984") interpretava il protagonista, il ribelle Winston Smith; trovarlo nei panni del Grande Fratello porta ad una simpatica riflessione sul finale del capolavoro di Orwell: il sistema ha schiacciato Smith e lo ha inglobato fino a renderlo l'emblema stesso dell'oppressione.
E se la regia di McTeigue riesce nel non facile intento di non far risultare noiosa una storia ambienta quasi esclusivamente in interni e basata unicamente sui dialoghi tra V ed Evey e tra il detective Finch ed i suo assistente, davvero miracoloso è il lavoro dei Wachowski sullo script; la tematica della lotta per l'affermazione delle idee è trattata in modo spicciolo, ma efficace: V diviene, in questa visione, l'archetipo del leader rivoluzionario, agguerrito ma conscio dei propri limiti in quanto espressione del sistema che vuole abbattere; d'altro canto è Evey a rappresentare la coscienza dormiente del cittadino, la quale, assopita nella quotidianità ordinaria del lavoro, viene risvegliata solo quando il sistema tenta di soffocarla, fino a realizzare l'effettiva malignità dello stesso una volta (ri)scoperto il passato che ne ha permesso la creazione; se V è l'ideale rivoluzionario, senza volto perchè comune ad ogni individuo, Evey è l'individuo stesso, o meglio, la coscienza individuale risvegliata dall'idea; e davvero non si può restare che estasiati di fronte al finale, semplicistico quanto si vuole, ma estremamente efficace.
"V per Vendetta" è un adattamento semplificato, ma riuscito, una pellicola coinvolgente e a tratti complessa,; talmente efficace da essere divenuto, malgrado l'ignavia dei suoi realizzatori, l'emblema stesso del concetto di rivolta nell'Europa del XXI secolo... quando si dice che un'opera sopravvive ai suoi realizzatori.
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