mercoledì 2 ottobre 2024

La Morte ha sorriso all'Assassino

di Joe D'Amato.

con: Ewa Aulin, Klaus Kinski, Angela Bo, Sergio Doria, Attilio Dottesio, Marco Mariani, Luciano Rossi, Giacomo Rossi Stuart, Fernando Cerulli, Carla Mancini.

Thriller/Gotico/Horror/Splatter

Italia 1973














---CONTIENE SPOILER---

Aristide Massaccesi, alias Joe D'Amato. Alias Joe De Amato. Alias Stephen Benson, Steven Benson, Steve Benson,  Donna Aubert (!), John Bird, Alexandre Borski, Alexandre Borsky, James Burke, Lee Castle, Lynn Clark, , O.J. Clarke, Hugo Clevers, Raf de Palma, Michael Di Caprio, Dario Donati, Robert Hall, Richard Haller, David Hills, Igor Horwess, George Hudson, Kevin Mancuso, Arizona Massachuset (!!), Andrea Massai, J. Metheus, Peter Newton, Zak Roberts, Joan Russell (!!!), Tom Salina, Jon Shadow, Dan Slonisko, Federico Slonisco, Frederick Slonisco, Fédérico Slonisco, 
Chang Lee Sun (!!!!!!), Michael Wotruba, Mikail Wotrubae, Robert Yip.
Un'infinità di pseudonimi, tutti rigorosamente campati in aria e ricercati ad hoc per far passare i propri film come "qualcosa di più alto", tanto da essere talvolta femminili o di matrice cinese per un cineasta maschio e romano doc. Un cineasta che ha diretto circa duecento film tra pellicole e direct-to-video, la maggior parte di stampo strettamente pornografico. Ha poi prodotto un'altrettanta infinità di ameni e talvolta osceni horroracci con la sua casa di produzione Filmirage, tra i quali va menzionato almeno il mitologico Troll 2.























Lo si potrebbe etichettare come un affarista, un artigiano di prodotti di genere che ha saputo sfruttare trend e mode fin quando ha potuto e non ha mai davvero creato qualcosa di realmente significativo, un po' come altri suoi colleghi tipo Ciro Ippolito e Claudio Fragasso. Il che è anche vero, visto che non può vantare di certo una carriera costellata da chissà quali capolavori; ma una statuizione del genere sarebbe del tutto ingiusta e persino irrispettosa verso il suo lascito.
Un lascito costituito da un pugno di pellicole horror per le quali ancora oggi è ricordato e apprezzato; e a ben donde, perché di certo non presentano la vena creativa e geniale di quelle di un Lucio Fulci o la verve visionaria e innovativa di quelle di Mario Bava e neanche l'eleganza di quelle del Dario Argento dei tempi d'oro, eppure i suoi exploit dell'orrore sono sempre bene o male stati memorabili, anche solo per l'estrema ferocia gore che tutt'oggi li contraddistingue.
Non siamo di certo davanti ad un maestro che ha creato piccoli gioielli del cinema gore, quanto ad un artigiano che ha sempre lavorato letteralmente con due soldi, ma i cui exploit sono a loro modo degli onesti horror per patiti dello splatter; opere per un pubblico ristretto, il quale però può davvero apprezzarli nella loro estrema onestà, oltre che per la loro incredibile bizzarria. E i termini "bizzarro" e "ameno" spesso li descrivono a dovere.
Il suo primo excursus nel cinema di genere è datato 1973 e intitolato La Morte ha sorriso all'Assassino; titolo tipicamente italiano anni '70 per un piccolo esperimento thriller e horror dove Massaccesi mischia il giallo all'italiana con il gotico, influenze di Edgar Allan Poe con una spruzzata di H.P. Lovecraft. Il risultato è incredibilmente ameno e frammentario, alla fin fine memorabile nel suo essere estremamente variegato e schizzato; ma soprattutto per l'essere una pellicola davvero ben confezionata.



















L'amenità parte da una trama bizzarra e disorganica, la quale può essere più o meno riassunta come: nel 1909, da qualche parte in Europa centrale, la giovane e bella Greta (Ewa Aulin) viene ritrovata morta dal fratello Franz (Luciano Rossi), con il quale era legata da una relazione incestuosa. Qualche tempo dopo, sempre Greta precipita letteralmente tra le braccia del ricco Walter Von Ravensbrück (Sergio Doria), con il quale intraprende una relazione sessuale appassionata; e una relazione appassionata la intraprende anche con la di lei moglie Eva (Angela Bo), a insaputa dell'uomo di casa; Greta è però afflitta da amnesia e viene sottoposta alle cure del sinistro dottor Sturgess (Klaus Kinski, qui sacrificatissimo in un ruolo che non gli consente di imporsi più di tanto), il quale presto scopre come si tratti di un corpo rianimato con la stessa tecnica che lui sta sperimentando nei sotterranei del suo laboratorio. Nel frattempo, la tenuta Von Ravensbrück è sconvolta da una serie di misteriosi omicidi. Quando poi Eva scopre la relazione che Greta aveva intrapreso con Franz, decide di ucciderla murandola viva nei sotterranei della tenuta. Entra così in scena Herbert von Ravensbrück (Giacomo Rossi Stuart), padre di Franz, il quale a sua volta, qualche tempo prima, aveva anch'egli avuto una relazione con Greta.
Questa è solo la prima parte della storia, la seconda è ancora più scatenata: pur creduta morta, Greta riappare come spettro per uccidere chiunque le capiti a tiro, spesso nelle forme di un gatto. Il killer della tenuta altri non è se non il servo Simeon (Marco Mariani), a sua volta anch'egli follemente innamorato di Greta. Compiuta una strage, si scopre come Greta fosse morta di parto da un figlio avuto forse con il fratello, a sua volta ucciso da lei sotto forma di gatto. Colpo di scena finale: la moglie dell'ispettore Dannick (Attilio Donnesio), che investiga sul mistero di Greta, altri non è che la stessa Greta... forse. O forse una sosia più anziana. O forse la madre, non è dato sapere.


















Confusi? E' normale. D'Amato qui gioca volutamente al rialzo in ogni singola scena, introducendo una serie di infinita elementi di disturbo in una trama che ben avrebbe potuto essere lineare, quasi come il Mario Bava di Reazione a Catena. Ma laddove Bava sapeva condurre a dovere la narrazione, è chiaro come per il buon Aristide tutto altro non sia che un giochino volto a spiazzare, una storiella nella quale ogni singolo elemento è subordinato alla creazione di una forma di shock a buon mercato, dove logica e coerenza cedono il passo al puro spettacolo. Con la conseguenza che ad un certo punto non si riesce davvero a credere all'estrema pazzia di una storia che prende elementi eterogenei e li mischia praticamente a caso.


















I riferimenti sono più che ovvi, ossia la tradizione gotica e thriller nostrana che all'epoca ancora impazzava, oltre che le sue dirette influenze letterarie. Da Poe viene ripresa ovviamente la tradizione vittoriana, i riferimenti alla sepoltura quando Greta viene murata viva e il gatto assassino, qui non nero, senza contare come la festa del ballo in maschera sembra uscita direttamente da un suo scritto. L'idea di un fluido che resuscita i morti è sicuramente ripresa da Mary Shelley, ma ricorda ovviamente anche Lovecraft (tanto che anche anche qui è di colore verde, in un'anticipazione di quanto fatto da Stuart Gordon nel decennio successivo). Da tutta la tradizione del cinema di genere nostrano viene poi il gusto per la visceralità e per l'erotismo, anche saffico.



Il risultato è una vera e propria "satura lanx", un piatto stracolmo di cibo disparato i cui gusti si mischiano tutto sommato bene, ma che sono talmente diversi tra di loro e giustapposti in modo talmente insistito e casuale da ingenerare talvolta un effetto parodistico, con colpi di scena su colpi di scena, deviazioni su deviazioni di deviazioni, assassini da whodunit che si accostano a spiriti vendicativi, incesto e lesbismo messi insieme e animali assassini come accompagnamento. Il tutto con una carica splatter esagerata, per l'epoca, con cui Massccesi si diverte a insistere in modo sadico, come nella celebre scena della morte di Franz, che dura davvero troppo.



















Laddove lo script risulta sin troppo compiaciuto della sua frammentarietà, è nella messa in scena che La Morte ha sorriso all'Assassino trova un vero punto di forza, che lo rende memorabile nel senso migliore del termine. Come artigiano di immagini, D'Amato dimostra una mano fermissima e una voglia di sperimentare non troppo comune a tanti artigiani del genere italiani. Il suo uso dei grandangoli è a dir poco spettacolare, con l'ottica che distorce immagini realistiche per trasformarle senza sforzo in vere e proprie visioni febbrili. Il montaggio serrato riesce a rendere interessante anche quelle lunghe sequenze di inseguimento che purtroppo non trovano la tensione ricercata, tenendo lo stesso alta l'attenzione. E quando deve dare forma alle influenze gotiche, riesce senza sforzo a creare immagini evocative usando i giusti tagli luce e i colori accesi della tradizione della Hammer.
Il suo gusto per l'esagerazione, oltre che nello splatter, si avverte nelle scene di erotismo, le quali risultano davvero calde, talmente esplicite da risaltare persino all'interno di una filmografia nazionale che in quel decennio si divertiva a insistere sempre sulle forme delle attrici. Qui Massaccesi trova sponda con la bellissima Ewa Aulin, che tanta fortuna ha trova nel cinema pruriginoso italiano, la cui bellezza fanciullesca riesce davvero a colpire.



















La Morte ha sorriso all'Assassino è così un thriller horror bizzarro che colpisce per la sua estrema follia, la quale altro non è che il sinonimo di una vena creativa che pur non potendo rivaleggiare con quella di altri suoi contemporanei, garantisce lo stesso a Massaccesi la capacità di creare film interessanti. I patiti del genere lo apprezzeranno per la vis estrema e persino i patiti del trash gioiranno dell'estrema amenità del tutto. Ma questo esordio nel cinema di genere nazional-popolare ha meriti anche strettamente filmici che gli vanno, a buon merito, sempre riconosciuti.

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