venerdì 18 ottobre 2024

Deliria

di Michele Soavi.

con: Barbara Cupisti, David Brandon, Giovanni Lombardo Radice, Richard Barkeley, Robert Gligorov, Mary Sellers, Piero Vida, Jo Anne Smith, James E.R. Sampson.

Horror/Slasher/Splatter

Italia 1987


















L'avventura produttiva della Filmirage, fondata da Aristide Massaccesi nel 1980, rappresenta il perfetto paradigma dell'apoteosi e della caduta dell'industria del cinema di genere italiana. Costituita al fine di produrre e ottenere gli accordi distributivi per pellicole a basso budget e tutte rigorosamente exploitation, entra in crisi verso la fine degli anni '80 e chiude i battenti nel fatidico 1994. I motivi del tracollo non sono chiari, c'è chi lo attribuisce anche ad una serie di pessimi investimenti fatti dai soci di Massaccesi che hanno finito per mettere in crisi l'intera società; ma uno dei motivi fondamentali è forse di natura strettamente produttiva: il cinema, in quegli anni, stava cambiando e per trovare spazio in un mercato giù saturo di prodotti simili la Filmirage (così come tutte le altre casi produttrici nostrane) avrebbero dovuto alzare il tiro, cercando budget più elevati e magari non limitarsi a creare prodotti derivativi, sciatti o anche di puro exploitation privo di pretese. Non per nulla, sempre nello stesso periodo la crisi produttiva avrebbe colpito anche altre storiche piccole case di produzione, come la New World Pictures di Corman e la Empire Pictures di Charles Band (poi divenuta Full Moon Features per sopravvivere giusto una manciata di anni).
A dare una scorsa al curriculum della Filmirage si resta basiti per la scarsa qualità delle sue produzioni, tanto che se c'è un film che alla fine andrebbe davvero visto, questo è Troll 2 e per tutti i peggiori motivi. Eppure, anche nel mare di pattume, esiste un'eccezione, un film che ancora oggi riesce a dare lustro al nome della società, ossia quel Deliria che rappresenta anche l'esordio da regista di Michele Soavi.



















Parliamoci chiaro: Deliria non è un capolavoro che scompagina un filone dato, ossia quello dello slasher, per ricrearlo a nuova forma; è semplicemente un onestissimo prodotto di genere che vuole solo portare in scena al meglio tutti i topoi dello stesso, riuscendoci perfettamente.
La storia della produzione del film è poi presto detta: George Eastman scrive una ennesima sceneggiatura per l'amico e collega D'Amato, una che possa essere girata in economia anche di location, come già fatto per Rosso Sangue. E proprio da Rosso Sangue arriva Soavi, che a partire da quel film iniziava la collaborazione con D'Amato, assieme a quella con Argento che lo porterà a lavorare in Tenebre, Dèmoni e Opera tra gli altri. Ma il suo desiderio di dirigere un film tutto suo è grande e l'occasione gli si presenta, a quanto pare dopo sue forti insistenze, proprio grazie a questa piccola produzione. Che lui trasforma da semplice prodotto d'accatto in un piccolo gioiello.



A proposito di teorica mancanza di ambizione, la trama è quanto di più blando si possa immaginare: gruppo di attori che stanno portando in scena un musical su di un serial killer vengono braccati e uccisi uno alla volta da un vero serial killer che, fuggito da un ospedale psichiatrico per inseguire la final girl, ha trovato rifugio nel teatro.
Un pretesto vero e proprio per presentare i personaggi e dare inizio alla danza di sangue. Questo non vuol dire che la scrittura manchi di punti di interesse, data proprio dal modo in cui tratteggia i personaggi: con tocchi veloci ma incisivi, si riesce a comprendere appieno la loro storia e la loro psicologia, riuscendo ad appassionarsi alla loro sorte. Non si sta parlando, ancora, di chissà quale originalità o profondità drammaturgica, ma tutti hanno bene o male il loro carattere. Si comincia dalla protagonista Alicia, interpretata da quella Barbara Cupisti che è stata la cosa più vicina ad una scream queen che l'horror italiano abbia avuto assieme a Daria Nicolodi (e decisamente più di Asia Argento), attrice in cerca di affermazione che subisce le angherie del volitivo e nevrotico regista Peter, interpretato da David Brandon, attore che meriterebbe più credito di quanto gli sia normalmente riconosciuto. C'è poi il ballerino Brett, interpretato dal compianto Giovanni Lombardo Radice, sorta di "checca isterica" che però risulta simpatico persino quando si diverte a perseguitare l'attricetta Laurel; o anche la coppietta di artisti Danny (interpretato da Robert Gligorov, poi divenuto noto scultore) e Sybil, prossimi a formare una famiglia.


















Una scrittura basilare ma ben congegnata, quindi, che però evita ogni rimando metatestuale che l'ambientazione gli consentirebbe per concentrarsi sulla pura narrazione di intrattenimento. La quale riesce grazie all'occhio di Soavi per la messa in scena.
A fare la differenza con le altre produzioni Filmirage è innanzitutto la bella fotografia di Renato Tafuri, che riesce davvero a restituire un'atmosfera surreale grazie alle luci, ma anche a imprimere la giusta profondità alle immagini; Soavi costruisce così con gusto ogni sequenza, dando loro il giusto ritmo e iniettando la giusta carica di tensione, che sfocia poi in effettoni splatter ben curati, i quali risultano credibili anche perché la regia non vi ci insiste mai troppo, come nella scena del corpo tagliato in due, la quale funziona proprio perché vi si alterna l'uso di un manichino con quello dell'attrice in un sapiente gioco di montaggio e di giustapposizione tra un'inquadratura più larga ed una più stretta.


















Il tutto funziona anche grazie all'atmosfera sospesa tra realtà e incubo, dove nessuno dei due piani prevale sull'altro creando una sorta di incertezza su quanto possa accadere; sebbene anche qui non ci si spinga mai verso la direzione del surreale vero e proprio, Soavi inietta in ogni scena una carica che rende la visione ammaliante e che esplode nel finale, quasi gotico nelle sue suggestioni oniriche.
A rendere memorabile il tutto è poi anche l'iconica maschera del killer, un barbagianni bianco dalle proporzioni enormi, inquietante nella sua sottile carica grottesca, che rende il personaggio riconoscibile e interessante anche in assenza di una caratterizzazione e persino di una backstory.



















Deliria rappresenta così non solo e non tanto il classico ottimo esordio di un cineasta di buon talento, quanto soprattutto uno dei migliori lasciti di Joe D'Amato, sebbene non abbia messo mani alla regia (e forse proprio per questo); Soavi resta certo più vicino ai territori di Dario Argento nella messa in scena (non per niente Tufari veniva proprio dal set di Opera), ma è grazie a D'Amato se è riuscito a portare in scena questo piccolo horror slasher in modo così efficace.

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