con: George Eastman, Tisa Farrow, Serena Grandi, Saverio Vallone, Margaret Mazzantini, Mark Bodin, Bob Larson, Rubina Rei, Zora Kerova.
Slasher/Gore
Italia 1980
Nel corpo della filmografia di Aristide Massaccesi, in arte Joe D'Amato, le pellicole che hanno finito per imporsi come cult effettivi sono davvero poche e non coincidono per forza con i suoi migliori exploit. Il titolo di cult, ad esempio, non può di certo essere dato al pur buon La Morte ha sorriso all'Assassino, mentre di certo può essere dato a Buio Omega, forse il miglior esito del suo cinema di genere, così come al pessimo Porno Holocaust.
Poi c'è Antropophahus, sua prima incursione nello slasher effettuata assieme a George Eastman, al secolo Luigi Montefiori, datata 1980, la quale di certo non ha l'originalità di Buio Omega o l'indole folle e ricercata di La Morte ha sorriso all'Assassino, ma che risulta alla fine un prodotto estremamente dignitoso, al contrario di quel Rosso Sangue concepito inizialmente come suo seguito.
Uno slasher che, come da tradizione per il cinema di D'Amato, non vuole di certo riscrivere le regole del filone, con una trama che presenta, come al solito, tutti i topoi del caso: un gruppo di amici in vacanza in Grecia, al quale si unisce anche la giovane Julie (Tisa Farrow), si ritrova suo malgrado bloccato su di un'isoletta apparentemente disabitata, sulla quale vengono braccati da un mostruoso cannibale sfregiato (George Eastman).
L'ambientazione esotica è praticamente l'unico elemento originale e si deve più che altro all'intuizione di Eastman. Pare che tutto il progetto sia nato da un appunto di Massaccesi al quale gli abbia chiesto di mettere su le mani e che si limitava a descrivere un naufragio con una famigliola a bordo di un gommone. Eastman trasforma questa immagine nella storia di un uomo che per sopravvivere ha dovuto divorare il figlioletto e che il conseguente trauma ha reso folle; decide di ambientare la storia vera e propria in Grecia praticamente per avere una scusa per trascorrere del tempo sulle sue assolate spiagge; sfortuna poi ha voluto che poi tutte le sue pose siano state girate nei dintorni di Roma, sabotandone i piani di relax. Poco male, perché il risultato finito è uno slasher tutto sommato riuscito e a tratti davvero interessante.
La fama del film e il suo conseguente status di cult movie sono dovuti ovviamente alla sua carica gore, che all'epoca sembrava guardare con aria di sfida gli exploit di Fulci e che oggi ha praticamente come unico rivale il Terrifier di Damien Leone, per lo meno nel cinema non relegato ai circuiti squisitamente underground. Cosa in realtà alquanta strana quando si guarda il film, visto che tutto il sangue e le eviscerazioni vengono limitate all'ultima mezz'ora e le "portate principali" agli ultimi quindici minuti, se non meno.
Da questo punto di vista, il duo Massaccesi/Montefiori non delude certo le aspettative. Le due sequenze più famose ben hanno guadagnato la loro fama: la scena nella quale Eastman strappa dal ventre di Serena Grandi un feto e lo divora a favore di macchina è davvero agghiacciante, così come quel finale nel quale divora le sue stesse viscere. Due immagini davvero peculiari, figlie della volontà di stupire e far rivoltare lo stomaco, portate in scena senza alcun ritegno o buon gusto, per questo magnificamente capaci di colpire; anche grazie ad effetti di buona caratura, cosa che certo non si può dire per quanto mostrato in altre scene, come la decapitazione del mozzo, ottenuta con la solita testa di manichino platealmente finta.
A rivederle oggi, quelle due scene di puro sadismo trasformato in pop-corn per gli appassionati del gore colpiscono anche per un motivo alquanto peculiare, ossia la loro breve durata. D'Amato, stranamente, non insiste sui particolari splatter come faceva in Buio Omega, né come avrebbe fatto il suo punto di riferimento Lucio Fulci. Non c'è volontà scopofila nel far perdurare l'atto violento oltre il voluto, non si vuole mettere a disagio per davvero lo spettatore, solo scioccarlo in modo estemporaneo. Proprio per questo, quelle due immagini finiscono per funzionare.
Di converso, il vero limite di Antopophagus è forse proprio quello di limitare gli eccessi, cosa strana per un film di D'Amato. Per tutta la prima parte si assiste ad una serie di scenette ovvie nelle quali i malcapitati tentano di capire la situazione, in pratica nulla più di quanto le decine se non centinaia di slasher dell'epoca mostravano. Parte che se finisce per funzionare, lo deve soprattutto grazie al cast, con la compianta Tisa Farrow che si dimostra un'ottima final girl e persino Serena Grandi (che si firma con uno pseudonimo) che riesce ad essere credibile, oltre che ad una giovane Margaret Mazzantini. Tutti gli attori interpretano dei personaggi certamente non memorabili, ma la cui caratterizzazione permette di affezionarvisi, garantendo quel coinvolgimento necessario affinché le loro uccisioni risultino davvero emozionanti.
Peccato però che alla lunga finisca per fare capolino anche la noia, con una narrazione che per funzionare davvero avrebbe dovuto essere più stringata o presentare scene di vera tensione. Questo perché D'Amato si limita ad inserire giusto un omicidio nella prima parte, la cui esecuzione manda anche in parte in frantumi la sospensione dell'incredulità, con il gruppo di personaggi che non si accorge di passare acconto ad un omaccione dal volto marcescente che trascina un cadavere decapitato. Per il resto, ricerca la tensione con jump-scare anche falsi o con la sola atmosfera desolata, senza però riuscire a trovarla sempre.
Antropophagus funziona così come horror gore nel senso proprio e genuino del termine e come slasher finisce per funzionare unicamente per il buon lavoro del cast, assistito dalla scrittura di Eastman. La sua fama è certamente meritata, così come l'amore che i fan vi riversano, rappresentato un ottimo esempio di splatter nostrano.
Quanto al lascito di Massaccesi al cinema horror e in generale di genere, va detto come il suo nome sia diventato conosciutissimo dai cultori e c'è persino che afferma come il suo cinema vada riscoperto.
Forse è un'esagerazione, visto che, anche ad essere buoni prima ancora che onesti, c'è davvero poco da riscoprire, non per altro per il fatto che le sue opere migliori sono già state oggetto di riscoperta da almeno venticinque anni a questa parte.
Semmai bisognerebbe celebrarle maggiormente, visto anche il forte riscontro che hanno conosciuto nel corso degli anni. Antropophagus, per esempio, ha avuto ben tre sequel "ufficiosi", ossia Antropophagus II del 2022, Antropophagus Legacy di quest'anno, entrambi ad opera di Dario Germani, oltre che Antropophagus 2000 del mitico Andreas Schnaas. Prova di come l'opera di D'Amato valga più di quanto si possa pensare.
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