giovedì 10 ottobre 2024

Nel Nome del Padre

di Marco Bellocchio.

con: Renato Scarpa, Yves Beneyton, Lou Castel, Piero Vida, Aldo Sassi, Laura Betti, Marco Romizi, Amerigo Alberani, Gérard Boucaron, Edoardo Torricella, Tino Maestroni.

Italia 1972















Nella disanima delle istituzioni nazionali che Marco Bellocchio ha portato avanti sin da inizio carriera non poteva di certo mancare quella contro la Chiesa cattolica, la quale arriva nel 1972, dopo che a cadere sotto i colpi del suo sguardo accusatorio sono stati la famiglia e il partito politico.
Pur tuttavia, Nel Nome del Padre non è semplicemente un ritratto al vetriolo di vizi e difetti dell'istituzione ecclesiastica e dei suoi rappresentanti, quanto una riflessione catastrofica su come la mancanza di valori possa finire per annichilire la società intera e non solo quell'istituto che invece dovrebbe guidarla verso la salvezza e la prosperità. Configurandosi, di conseguenza, come un'opera tanto acida e veritiera quanto profetica.


















Anno scolastico 1958/59. In un collegio ecclesiastico, gli equilibri già precari vengono scossi dall'arrivo dell'insofferente Transeunti (Yves Beneyton), le cui idee e ideali si scontrano con la realtà della gestione da parte dei preti, in particolare con quelli del vicerettore don Corazza (Renato Scarpa).
A leggere questo spunto di trama, utile solo a dare il via ad una narrazione tipicamente descrittiva, si potrebbe pensare all'opera di Bellocchio come ad una sorta di Teorema dove il collegio prende il posto della villa borghese e con il neoarrivato che scopre il marciume dietro i rapporti idilliaci dietro una realtà consolidata; un'opera dirompente rivolta a smascherare l'ipocrisia imperante, con afflato tipicamente sessantottino, insomma; e si sarebbe terribilmente in errore.
Per evitare ogni forma di inesattezza interpretativa, va specificato come Bellocchio abbia ritratto i moti sessantottini con Il Popolo Calabrese ha rialzato la Testa e Viva il primo maggio rosso e proletario, con i quali ritraeva le proteste con occhio quasi complice. Qui, tuttavia, l'elemento di disturbo non incarna quei valori progressisti che si cercava di affermare in quegli anni, anzi, esso è in tutto e per tutto un nazista, una creatura nata dalla disillusione e l'insofferenza verso una società che ritiene incapace perché inferiore e che cerca di riformare dal basso di un senso di superiorità dettato dall'ignoranza; da cui anche la scelta come interprete del francese Yves Beneyton, i cui lineamenti sono tipicamente teutonici. 
Nella struttura drammaturgica elaborata da Bellocchio (che anche qui scrive tutto di suo solo pugno), gli alunni rappresentano la futura classe dirigente, gli inservienti e camerieri (sottoproletari salvati dalla miseria e da una società che li ha lasciati a sé stessi) rappresentano il popolo, mentre gli ecclesiasti non sono che i rappresentanti dell'istituzione, sia essa religiosa che civile.

















L'inquadratura iniziale, con la macchina da presa che si muove tra i corridoi in rovina del collegio con in sottofondo un canto di penitenza, è chiara: la società è al collasso. A prenderne le redini è un pugno di imbelli incompetenti che non è in grado di fare niente e non ha rispetto per nulla, rappresentazione di una classe dirigente (gli alunni sono tutti "figli di", quindi prossimi al loro debutto in società) che non ha interesse in nulla, che non recepisce alcun insegnamento, che disdegna la cultura e vive solo per deridere tutto e tutti. In questo caos creato dall'apatia generalizzata, è facile per i superbi ergersi a guida, figura carismatica in grado di far propri i malcontenti di chi sta sotto di loro. Transuenti rappresenta questa figura, il perfetto paradigma di quei dittatori del XX secolo che si sono imposti solo grazie alla loro supponenza, grazie all'acclamazione del popolo e al silenzio delle istituzioni. L'ideale (se così si può definire) che porta avanti è semplice, ossia la ricostruzione della società tramite l'eradicazione di ogni forma di superstizione, una sorta di tecnocrazia finto-illuminata dove esistono solo il positivismo e il materialismo. A fargli da sponda non è solo quella classe dirigente che vede in lui un faro, a torto o a ragione, e che a causa della propria mancanza di idee e spina dorsale è il perfetto humus per l'affermazione della dittatura totalitaria, ma anche quel popolino ignorante che si fa manipolare da chiunque ne abbia la possibilità.


















Su quest'ultimo piano sono due le figure cardine, ossia il Salvatore interpretato da Lou Castel e Tino, servo mentalmente instabile. Il primo rappresenta la parte più lucida del proletariato, quei lavoratori tanto oppressi quanto disillusi che trovano nella protesta l'unica forma di affermazione; il secondo rappresenta invece quella pasta che i leader assoluti sono in grado di riplasmare: laddove Transeunti incarna un razionalismo nazista, Tino incarna la totale assenza di ragione, una pazzia che fa rima con ignoranza colpevole, persa com'è nella venerazione di un delirio tutto proprio (lo troviamo spesso recitare come una preghiera le parole magiche di Ultimatum alla Terra, metafora di una fede in qualcosa di totalmente fantastico, persino rispetto alla religione vera e propria). E' su questa diade che si poggia l'apocalittico finale, nel quale il leader assieme alla sostanza che gli permette di affermarsi riesce a ricreare un mondo a loro immagine. Ed è qui che la visione di Bellocchio si fa profetica, visto che quella generazione che ritrae è la stessa che tempo dieci anni avrebbe cominciato a portare l'Italia tutta verso la rovina.
In tutto questo, il grande autore punta il dito forse soprattutto contro l'istituzione, appunto rea di essere ferma su posizioni del tutto inermi.


















La Chiesa, sia intesa come sfera di potere religioso quindi ideologico, sia come istituzione strettamente terrena, è ferma su posizioni vetuste e arroccata in un idealismo del tutto avulso da ogni realtà, intesa come necessità sia spirituale che ideologica delle persone. Il rapporto che questa intesse con i seguaci è perfettamente incapsulato nella scena in cui lo studente Franco cerca risposte da padre Matematicus; Franco è afflitto da dubbi anche materiali, Matematicus risponde con una vera e propria litania su come la morte è l'unica certezza nella vita, di come non bisogna curarsi di nulla, tanto alla fine si muore. La funzione di guida anche solo spirituale viene messa alla berlina in modo graffiante sul piano della scrittura usando un personaggio che idealizza il trapasso sino ai limiti della necrofilia, su quello della messa in scena facendolo sedere all'interno di una bara, ossia richiudendolo in uno spazio angusto e del tutto distaccato dal resto del mondo.
Franco, a sua volta, incarna la posizione di un aspirante intellettuale, agghindato con quegli occhiali a là Goebbels, un ragazzo che ricerca una forma di ideale, ma che trova un appiglio solo nella cattiveria di Transuenti, che lo usa per portare in scena uno stralunato teatrino provocatorio. La metafora è chiara, con il nazismo che ha fatto propri gli ideali spirituali della religione cattolica solo per usarli al fine di abbindolare le masse; tanto che proprio Transuenti indosserà quel costume da mastino infernale per accanirsi sul cadavere di Matematicus.



















La funzione di educatore viene data a padre Corazza, di nome e di fatto ultimo baluardo contro lo sfacelo; ma il suo sguardo è rabbioso e disilluso, al pari di quello di Bellocchio, un personaggio che vive grazie all'interpretazione misurata eppure penetrante di un impagabile Renato Scarpa in quello che forse è il suo ruolo più sottovalutato; Corazza è perfettamente cosciente del fallimento educativo e religioso della Chiesa e al contempo è perfettamente cosciente dell'impossibilità di inculcare qualcosa di positive in menti che si rifiutano di guardare il mondo con sguardo curioso, preferendo sbeffeggiare tutto e tutti. Ed è cosciente di come tutto questo sia il viatico per la distruzione.
Un personaggio che forse coincide con la visione di Bellocchio; qui la sua indole è iconoclasta come sempre, non lesina in immagini forti che vanno dagli sputi verso le statue sacre alla Madonna che si anima per abbracciare un adolescente che si masturba; ma la sensazione predominante è quella di impellente disfatta, non di sfida, tantomeno di goduria nel vedere i simboli associati alla DC venire demoliti ad uno ad uno.
Nelle sue stesse parole, Nel Nome del Padre è un atto di pietà universale, una visione non tanto di compromesso, quanto di commozione verso la fine di ideali e istituzioni; con annessa una rappresentazione lucida di un'apocalisse che di lì a poco prenderà forma e che ancora oggi produce i suoi aberranti frutti.

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