lunedì 14 ottobre 2024

Salem's Lot

di Gary Dauberman.

con: Lewis Pullman, Mckenzie Leigh, Pilou Asbæk, Alfre Woodard, Jordan Preston Carter, Bill Camp, William Sadler, John Benjamin Hickey, Danielle Perry.

Horror

Usa 2024














---CONTIENE SPOILER---

Questa nuova incarnazione del celebre romanzo di Stephen King rischiava davvero di finire nell'oblio dei film prodotti e mai distribuiti dalla Warner, come nei famigerati casi  di Batgirl e Coyote vs. Acme; cosa strana, tra l'altro, se si tiene conto della popolarità che il nome dell'autore di solito porta e la conseguente facile vendibilità dei prodotti a lui associati. Fatto sta che se non fosse stato per King in persona, che ha fatto fortissime pressioni affinché questo nuovo Salem's Lot arrivasse almeno su HBO Max, il pubblico non avrebbe mai potuto visionare il lungometraggio diretto da Gary Dauberman (già regista di Annabelle 3 e membro della factory di James Wan, qui tra i produttori) che tenta di racchiudere in neanche due ore una delle sue opere più dense. A fine visione, però, si capisce perfettamente il perché i produttori avessero cercato di seppellire il tutto.


Vien da chiedersi per prima cosa il perché si sia proprio voluto produrre un terzo adattamento ufficiale di Le Notti di Salem quando giusto qualche anno fa Mike Flanagan ha regalato al pubblico quel Midnight Mass che, pur non essendo un adattamento ufficiale del romanzo di King, ne era una perfetta trasposizione.  Il motivo è ovviamente economico e si è rivelato fallimentare, anche perché del romanzo di base a Gary Dauberman sembra non importare proprio nulla, tanto che questa sua trasposizione è più un omaggio cinefilo al cinema horror americano anni '70 in generale, che però non ha né la grazia, né la profondità intellettuale necessaria a rendere il tutto interessante.
Su tutto vige l'alone del vintagexploitation spicciolo, con quei colori smorti a minare la pellicola d'epoca, il setting di fine anni '70 tenuto solo per dare un look più particolare al tutto e un uso della fotografia talmente tronfio nella sua costante ricerca di una soluzione esteticamente appagante da sfociare nel pacchiano in quasi ogni scena, tanto che a tratti sembra di vedere una sorta di prequel di Renfield.



Grossolonità che ben si accoppia con il senso di ridicolo involontario che spesso fa capolino, dovuto alla totale incapacità di Dauberman di costruire personaggi credibili anche come semplici esseri umani. Non si può davvero prendere sul serio quel Mike Petrie, ragazzino di undici anni, che non solo non fa una piega quando il suo vecchio amico morto gli riappare come vampiro, ma che riesce ad ammazzare uno Straker grande e grosso praticamente con due colpi di mazza, solo per diventare subito un novello Blade grazie alla forza della passione per l'horror, intraprendendo una crociata contro i vampiri con una strafottenza che neanche i fratelli Ranocchio di Ragazzi Perduti, al punto che sembra davvero il personaggio di una commedia horror anni '80 trapiantato per sbaglio in un film che si prende invece sul serio. Allo stesso modo, non si riesce a credere allo scrittore Ben Mears che di punto in bianco inizia a piantare paletti nel cuore al vampiro di turno come se fosse la cosa più semplice del mondo. E non si riesce alla performance di Alfre Woodard nei panni del dottor Cody (qui donna perché si), la quale tratteggia questo medico di provincia che si ritrova in un racconto dell'orrore come se fosse la protagonista di una sit-com sugli stereotipi razziali americani.
Ridicolo che si affaccia anche in modo più sottile nella costruzione generale della storia.



















La trama originaria viene scompaginata, ma alcuni dei suoi elementi essenziali vengono mantenuti sul piano formale, con esiti a dir poco strambi. L'intera storia di villa Marston, essenziale per l'introduzione dell'elemento sovrannaturale, viene non solo riscritta, ma anche messa subito da parte: Marston non era che un servo di Barlow, indi per cui il vampiro ha scelto proprio Jerusalem's Lot per il suo nido, dettaglio che lega piuttosto male i due fenomeni, soprattutto quando si decide di ambientare il climax non nella villa, ma in un drive-in; per di più tutto il discorso su come quella villa abbia assorbito il male che ha ospitato, motivo per il quale il vampiro si è sentito attirato dalla cittadina, viene taciuto, per questo quando il fenomeno dei vampiri comincia a manifestarsi ai personaggi, la loro reazione estremamente seriosa risulta fuori luogo, generando nuovamente risate involontarie visto che di punto in bianco si prendono assolutamente fondati i discorsi di Burke su come alcuni dei cittadini si stiano trasformando in creature della notte. Tutta la progressione narrativa non funziona, lasciando ogni forma di sospensione dell'incredulità e di coinvolgimento fuori dalla finestra assieme ai vampiri.

















L'impressione che a Dauberman e soci del libro importasse poco e nulla risalta proprio quando si guarda al look dei succhiasangue, i quali sono praticamente gli stessi della miniserie di Hooper: Barlow torna a sfoggiare il look a là conte Orlok, così come i bambini-vampiro hanno nuovamente un sorriso blasfemo e si muovono accompagnati da coltri di nebbia. Ma, lungi dal restituire l'impressione di riproposizioni affettuose, queste riprese di un lavoro altrui finiscono per denotare più che altro una mancanza di creatività.
Cosa che si avverte, tornando allo script, quando si tratta di adattare le sottotrame del romanzo originale; certo, condensare tutte le relazioni da soap-opera in neanche due ore era impossibile, più agevole sarebbe stato sfrondarne alcune in favore di altre e riadattare tutta la trama in modo da  agevolmente in una durata da lungometraggio, cosa che in parte è stata anche fatta; spesso si ha però la sensazione che molte scene siano rimaste tagliate dal montaggio definitivo, con personaggi che entrano in scena per poi essere dimenticati (Tibbits e la sua gelosia verso Ben Mears o il bullo della scuola che perseguita Mike) e l'intera sottotrama della madre di Susan che diventa l'accolita principale di Barlow perché non sopporta la relazione della figlia con Mears, talmente forzata da rasentare, anche qui, il ridicolo involontario.





















Era davvero da tempo che non si vedeva un lavoro così sciatto eppure così estremamente convinto del proprio valore, nel cinema horror americano. Questo nuovo Salem's Lot avrebbe avuto motivo di esistere solo se fosse stata una miniserie che avrebbe trasposto in modo integrale il romanzo, andando oltre quanto fatto da Flanagan e Hooper. Così com'è, non vale le sue due ore di durata. Tanto vale rispolverare il dvd della miniserie del 1979.


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