Koroshiya 1
di Talashi Miike
con: Shinya Tsukamoto, Tadanobu Asano, Nao Omori, Alien Sun, Susumo Terajima, Hiroyuki Tanaka, Shun Sugata.
Giappone (2001)
Oggi come oggi appare scontato da sottolineare, ma chiunque si sia mai approcciato al mondo del fumetto nipponico, ha avuto modo di constatare, con immenso stupore, l'abissale differenza tra questo e il più blando fumetto occidentale; "blando" poichè nelle sue incarnazioni mainstream, il fumetto occidentale è formato da opere destinate più che altro ad un pubblico di bambini/adolescenti, incrostato da tendenze e mode vecchie di quasi un secolo (si, i supereroi), stili superati (l'episodico), storie superficiali e tutta una serie di tabù a livello tematico che ne castrano ogni aspirazione "alta"; tant'è che i migliori esiti si sono avuti nelle correnti underground o grazie a singoli autori dal talento immane.
Situazione totalmente diversa si ha in Giappone, dove la differenza tra fumetto commerciale ed opera d'autore è pressocchè inesistente: ogni autore scrive le storie e le disegna in completa libertà, non vi sono restrizioni tematiche (salvo per quel che riguarda i singoli editori), il che porta il media fumettistico ad abbracciare un bacino d'utenza più vasto ed eterogeneo; la narrazione seriale, inoltre, permette agli autori di creare opere complete ed articolate, che non si limitano a semplici "avventure", ma che abbracciano intere saghe, complete di inizio, svolgimento ed epilogo.
Il grande vantaggio del fumetto nipponico sta nella varietà di storie, dovuto appunto alla mancanza di tabù: esistono fumetti per adolescenti così come per adulti, opere che fanno dell'impegno civile e intellettuale il loro punto di forza, così come manga totalmente basati sull'exploitation di sesso e violenza; in un'ideale via di mezzo tra queste due tendenze si situa "Ichi the Killer", manga di Hideo Yamamoto serializzato in patria nel 1998, la cui pubblicazione scioccò l'opinione pubblica al punto di vietarne la diffusione in alcune zone del paese; "Ichi" è un fumetto che può essere etichettato solo con l'abusato termine "pulp", una storia di violenza e sulla violenza, crudo oltre i limiti dello splatter, caustico e totalmente cinico.
Il mondo di "Ichi" è quello del sottobosco della yakuza di Shinjuku, il quartiere più malfamato di Tokyo, nel quale si muovono una serie di figuri loschi e pericolosi; un gruppo di ex yakuza ora reietti, guidati dall'anziano Jiji (letteralmente "il vecchio"), intraprende una lotta serrata con il clan del boss Anjo; la loro arma segreta è un ragazzo di nome Ichi: all'apparenza sereno e gioviale, Ichi è in realtà un killer psicotico, la cui frustrazione psichica e sessuale (dovuta agli atti di bullismo subiti durante l'infanzia), esplode ferocemente su chiunque gli si pari innanzi; eliminato il boss Anjo, è il suo secondo, il giovane criminale masochista Mabo Kakihara a dover fronteggiare Jiji e i suoi, in particolare Ichi, del quale ammira la carica distruttiva.
Opera controversa, quella di Yamamoto, che cerca di dare uno spaccato credibile della devianza sessuale che genera nel sadomasochismo, ma che si perde nella contemplazione compiaciuta delle sue stesse immagini scioccanti; la violenza, mischiata alla componente sessuale, fa spesso capolino nelle tavole iperrealiste ed incredibilmente espressive, ma è quasi sempre fine a sé stessa, usata con il mero scopo di dare al lettore quanto più sangue possibile, rendendo la lettura spesso piatta, oltre che inutilmente fastidiosa.
Le polemiche dovute ai temi trattati e all'estrema violenza grafica garantirono il successo del manga, tant'è che nel 2001 questo viene trasposto su schermo nientemeno che da Takashi Miike: "Ichi the Killer", nelle mani del geniale regista, da semplice racconto pulp diviene un saggio sulla violenza insita nella mente dell'uomo, potente ed efferato, ma, a differenza della sua fonte, mai davvero compiaciuto.
Adattando i personaggi di Yamamoto su schermo, Miike ne cambia la caratterizzazione; Ichi non è più un semplice adolescente frustrato, ma un sociopatico totalmente represso e sottomesso; la frustrazione sessuale si salda totalmente alla vena sadica ed ogni lato positivo della sua personalità viene cancellato; Ichi diviene così l'emblema del lato più distruttivo della psiche, che gioisce nell'infliggere dolore al punto di provare piacere fisico; Kakihara, d'altro canto, incarna il lato masochistico, che prova piacere dall'estremo dolore autoinflitto; il confronto tra i due è totale: come esplicitato dallo stesso Kakihara, ogni uomo ha un lato sadico ed uno masochista, il cui scontro porta alla distruzione totale della mente e del corpo. Due lati, due facce della stessa medaglia che Miike fonde nel personaggio di Kaneko, poliziotto reietto dapprima schifato dalla violenza, ma che più avanti non si fa scrupoli a torturare ed uccidere innocenti pur di ritrovare il boss scomparso.
La violenza è la vera protagonista del film; una violenza estrema, ai limiti del parossistico, fatta di corpi sventrati, braccia staccate di netto, persone divise in due come puzzle di carne, occhi tumefatti e lingue amputate; Miike non nasconde nulla: mostra ogni eviscerazione in modo crudo e diretto.
Tuttavia, la violenza non è usata per scopi spettacolari: ogni efferatezza mostrata altro non è che l'espressione della devianza dei personaggi, della loro intrinseca cattiveria e per questo della perversione insita nell'uomo; non c'è divertimento vero nel mostrarla nemmeno nei passaggi più grotteschi: la violenza è sempre sgradevole, ai limiti del rivoltante, mai ludica; ogni arto mozzato è accompagnato da grida di dolore, ogni colpo immerso nelle lacrime dell'assassino e della vittima; Miike non celebra la violenza, si limita a mostrare l'abisso più nero dell'animo umano, a guardarlo in faccia con un tono farsesco solo in apparenza; sotto la coltre di cattiveria gratuita, vi è la volontà di un autore di mostrare quanto di più cattivo vi sia nell'uomo, senza giudicarlo, ma eviscerandolo (è proprio il caso di dirlo) come un chirurgo.
E nel ritrarre le devianze dei personaggi, Miike adotta uno stile virtuosistico e spettacolare, fatto di accellerazioni, distorsioni, sequenze oniriche e dettagli disgustosi; la messa in scena diviene manifesto dei temi trattati: folle e disgustosa, ma al contempo perfettamente orchestrata ed affascinante.
Il personaggio di Ichi viene letteralmente cucito addosso a Nao Omori, attore dall'espressività sbalorditiva, il cui volto da bambino rende il killer sadico ancora più disturbante; il folle Kakihara ha invece il volto del mitico Tadanobu Asano, che gli conferisce un carisma inedito in quella che è la sua interpretazione più celebre; per il ruolo di Jiji, Miike chiama l'amico Shinya Tsukamoto, scelta a dir poco azzeccata: il cantore della distruzione della carne è semplicemente perfetto nel ruolo del mentore, il cui volto inflessibile nasconde un lato violento e manipolatore che Tsukamoto incarna senza strafare, rimando sempre tra le righe.
Sadico come i suoi personaggi, cattivo fin nel midollo, "Ichi the Killer" è un capolavoro di psicoanalisi e splatter, un coacervo delle ossessioni più inconsce ed oscene dell'essere umano frullato e servito in una veste affascinante; disgustoso e per questo perfettamente riuscito.
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