venerdì 13 settembre 2013

Il Diritto del più Forte

Faustrecht der Freiheit

di Rainer Werner Fassbinder

con: Rainer Werner Fassbinder, Peter Chatel, Karlheinz Bohm, Adrian Hoven, Christiane Maybach, Harry Baer, Karl Scheydt, Kurt Raab, Ingrid Caven.

Drammatico

Germania (1975)










"Faustrecht der Freiheit", ossia "il pugno della libertà" (distribuito in Italia con il titolo "Il Diritto del più forte", tutto sommato più calzante dell'originale) rappresenta l'apice del melodramma sirkiano nella rielaborazione fassbinderiana; il grande regista costruisce di nuovo una vicenda di amore e soprusi, strutturandola come un crescendo nella tradizione dell'autore americano tanto amato, e riesce a creare un'opera incisiva e disperata, nonchè a raggiungere la maturità come interprete.


Nella Monaco della metà degli anni'70, Franz Bieberkopf (Fassbinder, che con il personaggio omaggia nuovamente Doblin e il suo "Berlin Alexanderplatz"), detto "Fox", è un giovane omosessuale sotto-proletario, spiantato e alla disperata ricerca di fortuna; perso l'ingaggio come fenomeno da baraccone nel teatro dell'amante Klaus (Karl Scheydt), Fox si imbatte in Max (Karlheinz Bohm), ricco mercante di antiquariato, al quale chiede un prestito di 10 marchi per giocare al lotto; giocata che si rivelerà fruttuosa: Fox vince infatti mezzo milione di marchi; la piccola fortuna trovata dal giovane gli permette di inserirsi nell'ambiente della borghesia tedesca, nel quale conosce Eugen Thiess (Peter Chatel), amico di Max e rampollo di una famiglia di grossi imprenditori; Fox e Eugen intraprendono una tormentata storia d'amore, che porterà il parveneu ad una progressiva ed implacabile disfatta emotiva e fisica.


"L'amore è un rapporto di forza: in una coppia c'è sempre un elemento dominante, che schiaccia e possiede, ed uno dominato, destinato ad essere schiacciato"; parole dello stesso Fassbinder, che concepisce l'amore e il rapporto di coppia non come un reciproco scambio di sentimenti, ma appunto come una forma di possessione del più forte sul più debole; teoria mutuata da Doblin e dal suo "Berlin Alexanderplatz", lettura che ossessiona Fassibinder fin dai suoi esordi e che qui unisce con una violenta e radicale riflessione sociale. il rapporto omosessuale tra Fox e Eugen (purgato anche qui da ogni possibile velleità sensazionalistica e ritratto come una qualsiasi storia di coppia) è la metafora dello sfruttamento, barbaro e totale, della borghesia sul proletariato; Fox è un proletario, senza un lavoro fisso, che per mangiare è costretto ai lavori più umilianti; Fassbinder lo introduce come fenomeno da baraccone in un circo da quattro soldi, attività che il ragazzo svolge per conto del suo amante, prova di come il rapporto di sfruttamento non sia da collocare in un'ambito del tutto eccezionale, ma ordinario: l'oppressione è propria del rapporto umano in sé stesso, non è da ricondurre meramente alla classe d'appartenenza o ai singoli caratteri (tema, quest'ultimo, già affrontato dall'autore nel precedente "Martha"); i soldi vinti da Fox sono una "manna dal cielo", un viatico di salvezza che però il ragazzo non sa sfruttare e che finisce per sperperare inutilmente.


Eugen, d'altro canto, è il prototipo della borghesia medio-alta dell'epoca: ricco e affabile, acculturato e dai modi gentili, nasconde una pochezza d'animo sconcertante, prima avvisaglia di un carattere privo di scrupoli e rimorsi; in quanto borghese si preoccupa unicamente del suo compiacimento e della stabilità della sua azienda; nel rapporto con Fox, egli pare inizialmente il lato debole della coppia: l'arrogante Fox si diverte ad insidiarlo e a deriderlo, ma il gioco ben presto si ribalta, Eugen prende in mano il coltello e Fox è costretto a strepitare pur di farsi notare, in una scena memorabile per concezione e per la forza espressiva dell'interpretazione di Fassbnider; Fox viene quindi sottomesso e sfruttato, mediante due diversi modi; da un lato si ha lo sfruttamento economico: la famiglia Thiess (no, l'assonanza con la "Thiessenkrup" non è casuale) gli estorce fino all'ultimo centesimo, ne sfrutta le doti fisiche con un lavoro inutile e lo incastra mediante un contratto inintelligibile; il latrocinio è però solo parte del processo di sottomissione; durante il loro rapporto, Eugen rinfaccia costantemente all'amante la sua superiorità culturale e ridicolizza l'ignoranza di Fox, che viene così emarginato anche all'interno del nucleo familiare; l'umiliazione delle origini sottoproletarie fa il passo con il tentativo, vano, di omologare il diverso agli standard borghesi; tentativo vano giacchè, nella logica pessimistica dell'autore, la natura di una persona non può essere cambiata, ma solo sottomessa.


La natura come elemento deterministico ed insopprimibile porta Fassbinder a narrare il tutto in modo crudo, semplice e diretto; l'autore non nasconde la sua omosessualità, ed anzi sfoga la sua passione per il corpo maschile mostrandolo (e mostrandosi) senza filtri nè censure; non c'è malizia nel mostrare i corpi nudi di giovani uomini, nè nel ritrarre una storia di omosessualità all'interno di un contesto borghese, da sempre ostile alla diversità; tanto meno ve ne è nel mostrare gli scambi affettivi dei personaggi e le loro inclinazioni; Fassbinder non cerca lo scandalo, mostra l'omosessualità come un elemento naturale all'interno dei rapporti umani; visione "interna" che svuota l'argomento di ogni tabù, rendendolo ancora più vivo ed accettabile persino per gli spettatori più ottusi.


Nel ritrarre una storia dalle tinte forti, Fassbinder riprende gli estetismi "fiammeggianti" di Sirk e li rielabora, accentua ulteriormente la profondità delle singole inquadrature, usa la scenografia come elemento chiave nella costruzione delle scene e crea una messa in scena spettacolare, ma non barocca, quasi minimale nella sua costante voglia di frustrare gli elementi più estetizzanti; focalizza l'intera narrazione sui piccoli gesti, le sconfitte piccole e grandi di Fox, personaggio nel quale l'autore si immedesima totalmente, e, come ne "Il Mercante delle Quattro Stagioni", crea un crescendo di sventure e cattiverie che finiscono davvero per commuovere; commozione che, trattenuta per tutto il film, scoppia irrimediabilmente nell'ultima, scioccante sequenza: il cadavere di Fox, gettato nel mezzo di una stazione deserta, viene derubato da due ragazzini ricchi, mentre Klaus e Max, due figure che per parte del film sembravano rappresentare la salvezza e la comprensione, assistono con distacco glaciale, simbolo di un abbandono totale del personaggio agli eventi, di una distruzione impostagli dagli altri, ma accettata spontaneamente, nell'illusione di un riscatto impossibile.


Graffiante, estremo e radicale fino al caustico, "Il Diritto del più Forte" è uno degli esiti migliori del grande autore bavarese, un coacervo di ossessioni personali, riflessioni sociali ed esistenzialiste che sciocca per la cattiveria cinica e convince per la totale mancanza di autocompiacimento.

Nessun commento:

Posta un commento