di Shinya Tsukamoto
con: Eric Bossick, Shinya Tsukamoto, Akiko Mono, Stephen Sarrazin, Yuko Nakamura.
Cyberpunk
Giappone (2009)
---SPOILERS INSIDE---
Il fantasma di Tetsuo è divenuto un vero e proprio incubo per Shinya Tsukamoto; ossessionato dal successo della sua creatura, l'autore cerca, nel corso degli anni, di togliersi di dosso il fardello che l'universale apprezzamento del film gli ha cucito addosso; ma invano: non si contano infatti i numerosi inviti ricevuti da Tsukamoto a creare un nuovo film con protagonista il cyborg mutante di ferro, magari in Usa e sotto la supervisione di Tarantino; richieste puntualmente cassate, almeno fino al 2009, quando l'autore decide definitivamente di disfarsi della sua creatura dirigendo un terzo film ad essa dedicato: "Tetsuo-The Bullet Man".
Come il precedente "Body Hammer" (1992), anche questo "The Bullet Man" riprende i temi portanti del primo film e li declina con una storia del tutto autonoma; protagonista è ora l'attore nippo-americano Erick Bossick, che sostituisce Tomorowo Taguchi nei panni del mutante; Bossick interpreta Anthony, comune impiegato di origini occidentali nella odierna Tokyo, la cui vita tranquilla viene sconvolta dall'uccisione del figlioletto da parte di un misterioso estraneo (Tsukamoto); il lutto darà il via ad una trasformazione, che lo muterà in una sorta di arma semovente e lo porterà a scoprire un abominevole segreto nel suo passato.
Più che un nuovo capitolo, "The Bullet Man" è un coagulo di tutti i topoi delle due precedenti pellicole; sin dall'introduzione, Tsukamoto ripropone le immagini tetre e spettacolari che lo resero famoso nel 1989; la storia di fondo è ripresa pari pari da "Body Hammer", sopratutto nell'incipit e nella scena della corsa in bici, mentre l'escamotage dell'incidente stradale e l'ambientazione casalinga tornano da "The Iron Man" (1989); in sostanza, l'autore rifà sé stesso: riesuma i suoi vecchi stilemi narrativi ed estetici che sembrava aver superato con il recente dittico di "Nightmare Detective"; in particolare, i suoi personaggi tornano ad essere bidimensionali, a perdere ogni valenza caratteriale che non sia strettamente necessaria alla narrazione; si può parlare, dunque, di una vera e propria involuzione del cinema dell'autore, il quale si limita ad introdurre pochissime novità a livello narrativo; novità che finiscono tra l'altro per appiattire ancora di più il film.
A differenza delle sue precedenti incarnazioni, il cyborg di "The Bullet Man" non è un simbolo metaforico delle ossessioni dell'autore; Anthony, di fatto, non è l'emblema dell'uomo moderno schiacciato dal delirio post-industriale, ma un semplice uomo mite e posato, di cui il cyborg rappresenta il "lato oscuro", una sorta di Mr.Hyde pronto a prendere il sopravvento ogni qual volta egli perda la calma; il personaggio perde così ogni sua valenza iconoclasta e provocatoria, adagiandosi su di uno stereotipo vecchio di secoli che edulcora pesantemente la metafora portante del cinema di Tsukamoto: il risveglio della carne mediante la sua totale distruzione e ricomposizione; appiattimento contenutistico che trova la giustificazione se si tiene conto del fatto che l'intero film è recitato in inglese e con un protagonista occidentale: Tsukamoto ha praticamente creato il Tetsuo per americani, o per meglio dire, per il pubblico medio americano, il quale mal digerisce storie forti e provocatorie; "The Bullet Man" è la personificazione dell'incubo di Tsukamoto: una pellicola che riprende stile e stilemi del suo cinema degli esordi e li appiattisce per renderli appetibili al grande pubblico.
Opera di appiattimento "pro-Yankee" che si sostanzia anche nello stile visivo: i virtuosismi di montaggio dell'autore sono ora più serrati che mai, in ossequio allo stile videoclipparo della Hollywood post-'90s; le sue inquadrature, sempre spettacolari, perdono magistralmente di profondità di campo, proprio come in un qualsiasi film di Michael Bay o di Simon West; e persino la narrazione si adegua agli standard del cinema americano: didascalica come non mai, sopratutto nei dialoghi, si sostanzia di un secondo atto in cui la sceneggiatura spiega per filo e per segno l'antefatto e le origini dei poteri di Anthony; senza contare il finale, nel quale l'apocalisse di metallo dei precedenti film viene sostituita con un lieto fine tutto rosa e fiori.
Si può in definitiva etichettare questo terzo Tetsuo come una pellicola inutile? Qui sta il bello: assolutamente no; "The Bullet Man" rappresenta un rito di passaggio, una sorta di cerimonia di purificazione con cui Tsukamoto abbandona definitivamente il tema della mutazione della carne e della sua distruzione; l'intero film è una gigantesca catarsi con cui il regista decide di affrontare il lascito della sua stessa opera; non per nulla, nel film il suo personaggio non ha né nome né caratterizzazione: è un tutt'uno con l'autore, un uomo che provoca la mutazione nel protagonista e poi chiede di essere ucciso, sapendo che così facendo il mostro avrà vita eterna; e infatti, nel climax, la catastrofe viene evitata: Tsukamoto viene risucchiato dalla sua creatura, diviene tutt'uno con il suo corpo, che ora può distruggere e ricreare a suo piacimento, liberandosi definitivamente della sua ombra.
"The Bullet Man" trova la sua dignità anche nella genuina spettacolarità delle immagini, che sebbene lontane dai fasti di "Body Hammer", colpiscono l'occhio ed il cervello per la loro composizione, per il ritmo indiavolato e per lo spettacolare design del mostro, tra le creature più inquietanti e visionarie del cinema moderno.
Vera e propria "ossessione d'autore", questa terza pellicola dedicata all'uomo di ferro nipponico è un'operazione intellettuale e un pò velleitaria, che però convince grazie allo spirito del suo autore, il quale riesce davvero a dare un corpo credibile al suo incubo più oscuro: rimanere preda della sua stessa creazione.
Nessun commento:
Posta un commento