mercoledì 2 ottobre 2019

Candyman- Terrore dietro lo Specchio

Candyman

di Bernard Rose.

con: Virginia Madsen, Tony Todd, Xander Berkley, Kasi Lemmons, Vanessa Williams, DeJuan Guy, Ted Raimi.

Horror

Usa, Inghilterra 1992















E' un vero peccato il fatto che un autore del calibro di Clive Barker non riceva più di tante attenzioni dal pubblico. Nonostante lo status di autore di culto e iniziatore della (fin troppo) lunga serie di "Hellraiser", del quale vanta la doppia paternità, sia narrativa che filmica, il nome di Barker non è riuscito ad imprimersi nell'immaginario collettivo come quello del collega ed estimatore Stephen King.
Un artista, Barker, che ha toccato praticamente ogni medium: oltre alla letteratura, è stato pittore, regista, ha curato la direzione artistica di un videogame ("The Undying") e prestato il suo nome ad una serie di action figure (le "Tortured Souls"). E tra i vari adattamenti che le sue opere hanno trovato sul Grande Schermo, forse il più riuscito concerne il racconto "The Forbidden", adattato da Bernard Rose nel cult "Candyman".



Un adattamento che riprende lo spirito della controparte cartacea e lo eleva ad un livello successivo: quella che era una riuscita storia ai limiti del metanarrativo, su schermo si colora di un sottotesto sociale sottile e penetrante, che aggiunge interesse ad un racconto già di per sé stesso coinvolgente.
Protagonista e punto di vista è il personaggio di Helen Lyle (interpretato dalla sempre bellissima Virginia Madsen, in uno dei pochi ruoli da protagonista della sua carriera), laureanda dell'Università di Chicago alle prese con una tesi sul folklore metropolitano, che la porta ad indagare sulla leggenda urbana di Candyman (Tony Todd), spirito vendicativo di un afroamericano linciato a morte, il quale emerge dalle ombre qualora il suo nome venga pronunciato per cinque volte davanti ad uno specchio.



Una storia che si rifà al tessuto stesso del folklore urbano: infinite sono le leggende e i miti orrorifici, anche cinematografici, basati sull'evocazione di un fantasma rabbioso pronunciando un nome davanti ad uno specchio. "Candyman", però, fa di più e si insinua in quella linea di confine tra leggenda e realtà. Il mito dell'assassino che emerge dallo specchio è infatti basato su una serie di reali omicidi effettuati da killer che riuscivano ad entrare nelle abitazioni delle vittime smontando l'armadietto a specchio del bagno. Mentre l'idea di un assassino con un uncino al posto della mano è un vero e proprio racconto folkoristico che gira nel mid-west americano da quasi cento anni.



Bernard Rose è attento ad evitare le trappole più ovvie nello sviluppo di una storia del genere. Lo schematismo proprio degli slasher viene per prima cosa gettato via, preferendo una progressione più in linea con l'horror gotico; il mistero della "casa infestata" viene spostato dalle magioni ottocentesche ai condomini popolari del XX Secolo (il Cabrini-Green di Chicago, vero palazzone di case popolari infestato da bande di microcriminali). Il condominio e lo squallore urbano nel quale è immerso vengono immersi così in un'atmosfera ultraterrena, che trova la sua nota di originalità proprio nell'estrema mondanità delle scenografie, che riescono a trasmettere un senso di inquietitudine e abbandono anche grazie alla bellissima fotografia, la quale taglia con la luce ogni angolo per ricercare inquadrature evocative.
L'atmosfera si fa così incredibilmente terrena e al contempo squisitamente onirica, anche grazie al montaggio visionario, che alterna la realtà alle allucinazioni della protagonista.



Sempre sul doppio binario della dicotomia tra realtà e fantasia, gioca la caratterizzazione del villain, Candyman, impersonato dal possente e carismatico Tony Todd, praticamente l'unica maschera, assieme al Ghostface di "Scream", del cinema horror americano degli anni '90. Un essere che ha un background storico che affonda le radici nel lato oscuro della storia degli Stati Uniti: figlio di un ex schiavo e artista rinomato, venne linciato da un gruppo di balordi per il solo fatto di aver avuto una relazione con una donna bianca. Si affaccia così nella storia il duplice spettro dell'intolleranza e della vergogna per un passato di sangue: da un lato lo spauracchio dell' "uomo nero" pronto ad insidiare la figura femminile non emancipata e per questo perennemente subordinata al maschio bianco, di conseguenza intollerante; dall'altro il peso per quella violenza atavica che nella società odierna (oggi più che nel 1992) non deve trovare rappresentazione, divenendo ricordo e identità rimossa dalla società stessa. Candyman, su di un primo piano narrativo, è quindi lo spettro del passato che ritorna per mietere nuove vittime, in cerca di vendetta per il torto subito. E come avvenuto per "La Casa Nera" di Craven, anche "Candyman" ha anticipato in parte le rivolte dei ghetti, la ribellione di quegli "ultimi" non solo dimenticati dalla società, ma persino beffati da un sistema giudiziario iniquo.



Allo stesso modo, Candyman rappresenta la forza innata del folklore, di quella fantasia interconnessa al tessuto sociale che dà vera e propria vita ai miti; la sua vera natura, di fatto, non viene mai rivelata, facendo capire allo spettatore come esso possa sia essere uno spettro tornato dal mondo dei morti, così come una manifestazione di una coscienza collettiva che, dando credito alle leggende urbane, concede loro una forma di vita e di immortalità. Candyman, per suo stesso dire, può "esistere senza esistere davvero", essendo una manifestazione di quella paura che la sua storia suscita e di quei riti (il falò finale) ad essa collegati.



La tensione, durante la visione, è sempre ben condotta, l'atmosfera viene preferita ai jump-scare, rendendo questo piccolo-grande film un perfetto esempio di macchina di intrattenimento, anche oltre le riflessioni che suscita. Una pellicola che a distanza di quasi trent'anni dalla sua uscita in sala, risulta essere ancora divertente, oltre che estremamente interessante e riuscita.

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