The Punisher
di Mark Goldblatt
con: Dolph Lundgren, Lou Gossett Jr., Jeroen Krabbé, Kim Miyori, Nancy Everhard.
Azione
Australia, Usa (1989)
La Marvel è oggi la casa editrice di comics più famosa al mondo; nel corso di quasi 70 anni di attività è stata in grado di creare, assieme alla DC Comics, un duopolio pressocchè immortale ed intoccabile all'interno del panorama del fumetto mainstream supereroistico americano; divenuta anche casa di produzione cinematografica nel 2007, ha dato vita all'ondata di cinecomics che ormai ha colonizzato l'immaginario filmico collettivo; è dunque ironico il fatto che il primo vero e proprio adattamento cinematografico di un personaggio del suo roaster sia avvenuto solo nel 1986; tralasciando i serial degli anni '40 e qualche scalcinato film per la televisione prodotto tra la fine degli anni '70 ed i primi anni '80, l'onore di portare la bandiera Marvel sul Grande Schermo è spettato ad "Howard e il Destino del Mondo", con tutte le conseguenze immaginabili.
La "febbre" dei cinefumetti, d'altro canto, sarebbe esplosa solo qualche anno dopo con il "Batman" di Tim Burton; e proprio nello stesso anno in cui l'Uomo Pipistrello trionfava al botteghino, un altro personaggio Marvel si affacciava al cinema; un personaggio misconosciuto al pubblico generalista, nonchè uno tra i più cupi, oscuri e (all'epoca) meno riusciti: Frank Castle, alias The Punisher.
Creato nel 1974 da Jerry Conway, il Punisher esordisce sulle pagine de "L'Uomo Ragno" addirittura come villain, per poi essere quasi subito promosso ad eroe e a protagonista di una testata propria; caratteristiche del personaggio sono l'assenza di super-poteri, l'uso di armi da guerra di ogni tipo per massacrare i criminali, il cinismo e, sopratutto, un iconico teschio bianco, simbolo di morte, sul petto al posto del classico logo del supereroe.
Personaggio nato sulla scorta del successo de "Il Giustiziere della Notte" (1974) e di tutti i vigilantes privati che si sono visti al cinema negli anni '70; tanto che la sua origin story non si discosta di un millimetro dal canone: ex berretto verde decorato in Vietnam, Castle, figlio di immigrati italiani, ingaggia una guerra senza quartiere contro la mafia ed il resto della criminalità organizzata newyorkese dopo che la moglie ed i figli restano vittime, sotto i suoi occhi, di uno scontro a fuoco tra clan a Central Park.
Personaggio nato sulla scorta del successo de "Il Giustiziere della Notte" (1974) e di tutti i vigilantes privati che si sono visti al cinema negli anni '70; tanto che la sua origin story non si discosta di un millimetro dal canone: ex berretto verde decorato in Vietnam, Castle, figlio di immigrati italiani, ingaggia una guerra senza quartiere contro la mafia ed il resto della criminalità organizzata newyorkese dopo che la moglie ed i figli restano vittime, sotto i suoi occhi, di uno scontro a fuoco tra clan a Central Park.
L'idea di un eroe-giustiziere che massacra i criminali è, senza mezzi termini, semplicemente aberrante: il Punisher è in un certo senso la perfetta personificazione dell'idea, tipicamente americana, per cui un cittadino deluso dalla legge può tranquillamente e impunemente uccidere i "cattivi" continuando a restare dalla parte del giusto, come se si fosse in un far west di asfalto e cemento; negli anni '80 trasportare un personaggio del genere su pellicola era impresa semplice: praticamente tutti gli eroi dei film d'azione di Hollywood erano in qualche modo epigoni del giustiziere impersonato da Bronson; il Punisher sarebbe così potuto divenire tranquillamente una sorta di John Rambo metropolitano dal passato ancora più tragico; per fortuna non è andata così.
Lo sceneggiatore Boaz Yakin (in seguito autore dello script dello sfortunato "Prince of Persia- Le Sabbie del Tempo" del 2010), decide di adottare un approccio inedito al personaggio: caratterizzarlo come un vero e proprio anti-eroe, schiavo della sua sete di sangue, la cui ossessione per il castigo lo ha condotto alla deriva; Frank Castle si trasforma così da eroe duro e inflessibile ad una macchina da guerra stanca e disillusa, che continua la sua guerra al crimine per esorcizzare lo spettro del massacro alla sua famiglia, nel vano tentativo di trovare un'irraggiungibile pace interiore; il personaggio acquista così finalmente spessore e il cattivo gusto ad esso intrinseco viene cancellato; la formula è vincente, tant'è che negli anni 2000 dopo sarà ripresa anche nei fumetti da parte di Garth Ennis, che riuscirà così a dare dignità al personaggio anche su carta sulla serie pubblicata su "Marvel MAX", la migliore con protagonista il vigilante italoamericano. Tuttavia, all'epoca l'operazione di caratterizzazione sul personaggio non pagò: i fan furono scontentati dal fatto che il loro beniamino non si divertisse a distruggere tutto e tutti si imbestialirono, addirittura, per il solo fatto che non sfoggiasse il teschio sul petto (!).
Poco male: il Punisher (malamente tradotto come "Vendicatore" nella versione italiana) su pellicola è un personaggio cupo e sfaccettato ed è protagonista non di una semplice storia di origini e vendetta, ma di un intreccio gangster che, assieme alla caratterizzazione dei personaggi e all'atmosfera, avvicina la pellicola ai territori del noir, piuttosto che al semplice action movie.
Poco male: il Punisher (malamente tradotto come "Vendicatore" nella versione italiana) su pellicola è un personaggio cupo e sfaccettato ed è protagonista non di una semplice storia di origini e vendetta, ma di un intreccio gangster che, assieme alla caratterizzazione dei personaggi e all'atmosfera, avvicina la pellicola ai territori del noir, piuttosto che al semplice action movie.
La metropoli in cui il protagonista si muove è sudicia e buia, sembra uscita dai migliori romanzi hard-boiled piuttosto che dalle pagine di un fumetto; i personaggi sono tutti disillusi e disperati: oltre al protagonista, anche il suo ex compagno, il detective Berkowitz (Lou Gossett Jr.) è follemente ossessionato dall'idea di fare giustizia catturando il Punisher; la sua aiutante (Nancy Everhard), inizialmente inesperta, sarà ben presto contaminata dalle ossessioni del partner; il villain Gianni Franco, piuttosto che essere un semplice cattivo spaccatutto, è un gangster opportunista in grado di dare via tutto per la salvezza del figlio; solo il cattivo principale, la lady della yakuza Tanaka (Kim Miyori) è monodimensionale, ma già il fatto che sia una villain donna in un film d'azione degli '80 le dà un minimo di spessore in più.
Incredibile a dirsi, la riuscita del protagonista dipende anche dal casting: il golem semovente Dolph Lundgren non solo ha il perfetto fisico da macchina da guerra fuori controllo, ma grazie alla sua proverbiale inespressività riesce ad essere credibile come ex sbirro stanco e disilluso.
Incredibile a dirsi, la riuscita del protagonista dipende anche dal casting: il golem semovente Dolph Lundgren non solo ha il perfetto fisico da macchina da guerra fuori controllo, ma grazie alla sua proverbiale inespressività riesce ad essere credibile come ex sbirro stanco e disilluso.
Alla regia troviamo Mark Goldblatt, grande montatore veterano dell'action (ha montato anche "Terminator" nel 1984, il relativo seguito nel '91 e "True Lies" nel '94, oltre ad aver collaborato al montaggio di "Heat" di Michael Mann) che dimostra ottime doti da regista d'azione; Goldblatt predilige un approccio più fisico e brutale rispetto a quello visto nelle pellicole dell'epoca: le esplosioni sono pochissime e gli scontri si concentrano sulle sparatorie, che qui, però, sono crude e violente e non assumono mai la parvenza ludica propria del decennio di "Commando"; l'atmosfera cupa e nichilista viene sottolineata dalle luci e dalle inquadrature; sono almeno le due sequenze che meritano di essere ricordate: il prologo/epilogo con il carrello in avanti e la voce off del protagonista che recita un soliloquio sulla punizione, e la fine del terzo atto, con Lou Gossett Jr. lasciato solo, in una solitudine disperata ben sottolineata dalle inquadrature e dal montaggio basato sugli stacchi sull'asse.
Sfortunatamente il budget non esorbitante a volte si fa sentire: le scenografie sono talvolta scarnissime e palesemente false, come quelle della scena dell'indagine nelle fogne o di quella dell'assalto alla casa da gioco; inoltre l'umorismo non sempre è messo al posto giusto, rovinando in parte l'atmosfera (ma va detto che c'è ne è davvero poco per una pellicola d'azione del 1989); gli spettatori meno esperti, infine, difficilmente distingueranno questo "The Punisher" da qualsiasi altra pellicola action, data la mancanza di elementi fortemente caratterizzanti per i non appassionati del noir o dell'hard-boiled o per chi non ha letto la serie di Ennis; difetti, questi, che contribuiscono ad abbassare il grado di riuscita della pellicola, ma che fortunatamente non lo azzerano.
"The Punisher" è un film crudo, un noir metropolitano che riesce a colpire e a coinvolgere pur avendo bassissime ambizioni; i fan del fumetto dovrebbero recuperarlo e capire come questo sia il modo giusto di rendere il personaggio su pellicola, non come è stato fatto negli orrendi "reboot" degli anni 2000, ossia "The Punisher" del 2004 e "Punisher: War Zone", due pellicole davvero una più brutta dell'altra.
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