di Zack Snyder
con: Gerald Butler, Lena Heady, Rodrigo Santoro, Michael Fassbender, David Wenham, Dominic West.
Cinecomic/Epico
Usa (2006)
Alla fine della visione di questo "300", è solo uno il termine che viene alla mente per definirlo: tamarro. Nel trasporre su pellicola l'omonimo fumetto di Frank Miller, Zack Snyder, già regista dell'orrendo "L'Alba dei Morti Viventi" (2004) e qui al suo secondo lungometraggio, esagera in enfasi e crea un'epica pacchiana e ridondante di dubbio gusto.
Leggendo qualsiasi opera di Frank Miller si può notare la sua (letterale) ossessione per le Termopili; già in "Sin City: The Big Fat Kill" riprende le gesta degli eroi spartiati per il finale, e nel suo "Robocop" cita la strategia usata dai Persiani per stanare i guerrieri lacedemoni; nel 1999 l'autore riesce finalmente a creare una miniserie in 5 albi, poi raccolta in un'unica graphic novel, nella quale rievoca le gesta dei 300 guerrieri asserragliati contro le orde persiane nel 480 a.C.; l'approccio di Miller ai fatti storici è quantomeno particolare: lontano dalla ricostruzione storica o storiografica, l'autore, come un novello Omero del XX secolo, dipinge re Leonida come un condottiero senza macchia e senza paura, enfatizza lo scontro tra culture alla base della battaglia e pone l'enfasi sul coraggio e sul sacrificio dei giovani eroi, creando, di fatto, un poemetto epico in immagini; il particolare stile grafico di Miller, poi, si fa ancora più radicale grazie all'uso particolare della prospettiva, saggiamente giustapposto a tavole più smaccatamente bidimensionali, e all'uso di vignette "panoramiche", più lunghe e strette dei canonici albi a fumetti; il risultato, pur nella sua linearità e brevità estreme, convince grazie all'originalità insita nel lavoro dell'autore.
Con Snyder alla regia, l'adattamento della graphic novel si trasforma, fin da subito, in una pellicola dai toni epici frustrata da un enfasi roboante e da uno stile filmico barocco ed asfissiante; Snyder azzecca il look grafico del film, davvero eccellente: i cromatismi della fotografia digitale, per quanto merito della post-produzione, incantano l'occhio, con lo scontro tra il giallo della luce e il rosso acceso dei mantelli; la fisicità dei protagonisti, inoltre, viene esaltata dalle inquadrature, riprese talvolta di peso dalle tavole del fumetto come visto in "Sin City" (2005), e su schermo sembra davvero di vedere un quadro di David prendere vita; tuttavia, la troppa enfasi posta sulle singole frasi porta presto alla saturazione dell'attenzione e al fastidio: Snyder non controlla la messa in scena, dilata fin troppo i tempi e sbaglia clamorosamente il ritmo dei dialoghi, creando sequenze prive di tensione, ma abbondanti nella ridondanza (come nello scontro tra Stelio e il generale persiano).Alcune trovate visive, poi, sono davvero di cattivo gusto, in particolare l'abuso di ralenty e lo splatter insistito, che porta teste mozzate e arti troncati a fluttuare al centro dello schermo come se la violenza gratuita fosse un valore aggiunto.
Nell'osservare il lavoro del regista, come detto eseguito per lo più in post-produzione, viene spontaneo porsi un quesito inquietante: il lavoro su immagini già registrate e non direttamente sul set può essere ancora definito "cinema"? Esiste, inoltre, un valore, non strettamente estetico, insito in questo "cinema della post-produzione", dove tutto, dalla scenografia alla fotografia, è digitale? La risposta pare essere negativa: nel decennio di "Speed Racer (2008) e dei sequel di "Matrix", molti autori si sono cimentati nella creazione di opere totalmente digitali, ibride tra il live-action e l'animazione 3d, con risultati scarsi; e "300" è totalmente ascrivibile a questa categoria, non tanto, come detto, per i risultati strettamente estetici, quanto nella scarsa cura riservata alla narrazione e allo stile.
L'incompetenza di Snyder è da ricercare, anzitutto, nel ridicolo involontario, che talvolta si palesa prepotentemente, ammazzando la sospensione dell'incredulità; non si può certo rimanere seri nella scena del "corteggiamento" tra Serse e Leonida, o negli atteggiamenti camerateschi tra Stelio e il figlio del generale, al limite dell'omosessualità repressa. La storia di base, inoltre, sebbene arricchita di particolari e sequenze inedite nel comic originale, è troppo scontata e lineare per reggere le quasi due ore di durata; anche a causa, si diceva, del cattivo uso che Snyder fa dell'enfasi: davvero soporifera la prima parte con i preparativi e la scoperta delle razzie, ad esempio.
Su tutto aleggia un aura di "grezzagine", di volontà di esaltare la mascolinità di personaggi e situazioni, con esiti roboanti e di cattivo gusto; alcune sequenze entrano di diritto nella storia del cinema macho, come il mitico "This is Sparta!" o la battaglia tra Leonida e l'ogre; ma c'è davvero poco di cui vantarsi: il luogo comune dell'eroe invincibile e maschio attaccato addosso a personaggi reali non rende, ed anzi porta ad inquadrarli come macchiette piuttosto che come eroi epici; tant'è che alla sua uscita il film generò parecchie polemiche sui contenuti xenofobi e fascisti; polemiche, al solito, dovute alla miopia: come si può tacciare di razzismo una storia, per di più vera, ambientata quasi 2.500 anni fa? Ogni rilettura politica è, di fatto, forzata, poichè il racconto si poggia sulla storiografia della tradizione, ed ogni riferimento all'Afghanistan pare forzato, ridicolo (è il caso di dirlo) quanto il film in sé; quanto poi alla polemica sui temi "di destra", essa appare ancora più fuori luogo, visto il fatto che la cattiveria dei personaggi è dovuta al contesto "ancestrale" in cui la storia si svolge e alla cultura e alle tradizioni proprie della città di Sparta.
Come cinecomic, "300" è sicuramente un pellicola riuscita: traspone la storia di base su pellicola mantenendone l'appeal visivo ed arricchendola di particolari inediti; ma il valore del film in quanto opera cinematografica è quanto mai dubbio: legnoso e pacchiano nel racconto, troppo sopra le righe per lo stile; gli amanti del cinema tutto muscoli e frasi fatte lo adoreranno, ma, inutile dirlo, gli spettatori dal palato più fine non potranno che detestarlo.
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