martedì 20 agosto 2013

Vite Vendute

Le Salair de la Peur

di Henri-George Clouzot

con: Yves Montad, Charles Vanel, Folco Lulli, Peter Van Eyck, Vera Clouzot, William Tubbs.

Drammatico/Noir

Francia, Italia (1953)









---CONTIENE SPOILER---

A guerra finita, cessate (in parte) le polemiche sul collaborazionismo dovute alla produzione de "Il Corvo" (1943), Clouzot ottiene finalmente il riconoscimento della critica e dei produttori; al pari di Melville, Clouzot comincia così a sperimentare nuove vie estetico-narrative, anticipando la Novelle Vague ancora di là da venire; "Vite Vendute" è il perfetto esempio della nuova cifra stilistica dell'autore, a metà strada tra innovazione e tradizione; oltre a rappresentare la sua ennesima incursione  nel buio dell'anima umana.


L'intera narrazione ruota attorno ad un tema preciso: il lavoro, o, per meglio dire, il massacro che si cela dietro la bieca logica produttiva capitalista; il racconto, poi, viene spezzato in due parti distinte: la prima è puramente descrittiva, la seconda, con il viaggio, totalmente narrativa; teatro della prima parte della vicenda è un imprecisato paesino dell'America centrale, Las Piedras, ideale luogo di incontro di tutte le culture ed etnie.
Las Piedras è un inferno in Terra: battuto da un sole impietoso, immerso nella polvere del deserto, è un limbo in cui il poco lavoro concesso agli abitanti è dato dalla Southern Oil Company, multinazionale petrolifera americana che sfrutta i reietti del villaggio per pochi soldi fino a consumarli; il villaggio è, nelle parole degli stessi protagonisti, un carcere senza sbarre: entrare è facile, andarsene impossibile visti i prezzi esorbitanti per i biglietti aerei, unici mezzi di trasporto disponibili; agli abitanti, immigrati ed indigeni, non resta quindi che arrabattarsi alla meglio, tra lavoretti sottopagati ed espedienti vari.


Proprio in una giornata di magra come mille altre, comincia la narrazione: Mario (Yves Montad), immigrato corso, ammazza il tempo alla locanda, assieme alla bella serva Linda (Vera Clouzot, moglie del regista); il suo amico Luigi (Folco Lulli) continua a lavorare come muratore, nonostante la sua salute risenta delle pessime condizioni di lavoro; e lo scanzonato norvegese Bimba (Peter Van Eyck) tira avanti come autista per il locandiere. Il limbo di Las Piedras viene in parte scosso dall'arrivo di uno straniero, il francese Jo (Charles Vaniel), gangster in fuga che attira subito l'attenzione di Mario, il quale vede nell'uomo una possibilità di riscatto; Jo si scopre ben presto amico di O'Brien (William Tubbs), amministratore della S.O.C. con il quale condivide un passato da contrabbandiere, e spinge Mario a litigare con Luigi e Linda. Il riscatto vero e proprio, però, avrà una forma ben più sinistra di quella del piccolo criminale in fuga: a seguito di un esplosione in un pozzo petrolifero, viene offerto un lavoro di 2.000 dollari per un ingaggio suicida, ossia trasportare due camion pieni di nitroglicerina per un percorso impervio di oltre 500 Km; Mario, Luigi, Bimba e Jo accettano nella speranza di poter fuggire dal limbo, ma ad attenderli vi sarà un inferno ben peggiore.


Ed è con l'inizio del viaggio che lo sguardo imperterrito di Clouzot si fa più acuto e tagliente; la descrizione dei personaggi si fa tridimensionale e vengono palesati tutti i loro difetti; Mario, in apparenza uomo tutto d'un pezzo, altro non è che un disperato in cerca di una via di fuga, cinico al punto da sacrificare la vita dei compagni pur di raggiungere il salario promesso; Jo, che nella prima parte castigava Luigi con la sua rivoltella, si rivela ben presto come un vecchio codardo, i cui nervi saltano subito dopo la partenza, tanto che il suo rapporto con Mario si ribalta: ora è quest'ultimo ad essere sempre più cinico e coraggioso; Bimba è invece insensibile: non sente la paura a causa dei traumi subiti nel suo nebuloso passato; Luigi, infine, è l'archetipo dello schiavo, buono solo con il lavoro manuale. 
Tutti e quattro i personaggi, privi di un passato preciso, si confrontano con un'impresa suicida, ossia un presente ostile, su cui aleggia un fatalismo imponente fin dalle prime battute; ma a farla da padrone, e non è un gioco di parole, è il meccanismo perverso dello sfruttamento: tutti e quattro non sono che strumenti pagati a poco prezzo dal padrone per compiere un lavoro folle, la cui vita o morte non fa differenza purché il lavoro sia concluso; non a caso, alla fine nessuno piangerà i caduti: quel che conta è finire l'impiego, incassare e tornare a casa come se nulla fosse; chi non trova lavoro è destinato a morire, come il giovane Bernardo verso la fine della prima parte; chi lo trova è destinato a consumarsi per il danaro, nella vana speranza di un futuro migliore


Oltre ad un cinismo crudo, Clouzot riesce anche a costruire una tensione unica ed avvolgente; il viaggio viene spezzettato in una serie di episodi nei quali i quattro autisti devono confrontarsi con il più crudele dei nemici: il caso; ogni episodio sprizza paura e fatalismo da ogni fotogramma, tra i quali è magistrale, in particolare, quello della roccia: una lunga descrizione del metodo per disfarsene, perfettamente saldata alla tensione dovuta all'uso dell'esplosivo, cui viene giustapposto, nel capitolo successivo, la morte improvvisa di due dei protagonisti, descritta senza enfasi né tragicità, solo con un'esplosione vista da lontano. Magnifica anche la scena del climax, nel quale il protagonisti affondano in un mare di greggio e finiscono per farsi del male a vicenda, perfetto emblema della logica dello sfruttamento e della cattiveria intrinseca all'arrivismo.


La tensione dilaga fin dall'inizio del viaggio: ogni episodio presenta una serie di pericoli crescenti, abilmente sottolineati dalle splendide inquadrature, tutte giocate sui dettagli; per la prima volta, inoltre, le scene di pericolo vengono girate con un mix di riprese in studio e stunt in esterni, con risultati straordinari per l'epoca e spettacolari tutt'oggi; nel costruire la tensione di ogni scena, Clouzot fa un uso magistrale del montaggio, come nella sequenza del mancato tamponamento o, meglio ancora, in quella della sfida tra Jo e Luigi, dove lo scontro tra i due viene costruito sui dettagli dei passi e degli oggetti rovesciati. L'unico momento leggero viene relegato dall'autore alle primissime sequenze, nelle quali introduce i personaggi di Mario e Linda, insistendo sulle forme di sua moglie Vera con una serie di inquadrature davvero piccanti per l'epoca.


Nell'elogiare quello che è l'ennesimo capolavoro di un maestro del cinema, non ci si può certo dimenticare del finale: sardonico oltre i limiti dell'umorismo nero, vede la morte dell'unico superstite avvenire per caso, mentre festeggia la riuscita dell'impresa, perfetto simbolo della fatalità imprescindibile, dalla quale non si può sfuggire nemmeno quando il pericolo più grande è ormai cessato.

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