sabato 3 agosto 2013

Bullet Ballet

 di Shinya Tsukamoto

con: Shinya Tsukamoto, Kirina Mano, Takahiro Musare, Tatsuya Nakamura, Kyoka Suzuki.

Giappone (1998)




















Un anno prima della deriva umanista di "Gemini" (1999), Tsukamoto dirigie il suo film più complesso: "Bullet Ballet", ultima incursione nel sottobosco metropolitano di Tokyo e ponte ideale tra le suo opere successive ed il precedente "Tokyo Fist" (1995).


Immerso nei bassifondi di una Tokyo fotografata con una monocromia metallica come la cromatura del piombo, "Bullet Ballet" è lo spaccato di una mente alla deriva e di una paternità sofferta; sconvolto dall'improvviso suicidio della fidanzata Kiriko ( Kyoka Suzuki), il pubblicitario Goda (Tsukamoto, nella sua performance più sentita) comincia ad essere ossessionato dall'arma usata dalla donna: un pistola calibro 38 Chief Special; avvolto in una spirale depressiva ed autodistruttiva, Goda incontra un gruppo di punk metropolitani dediti alla violenza gratuita; tra questi, la sua attenzione viene catturata del violento Goto (Takahiro Murase) e dalla bella Chisato (Kirina Mano).


Abbandonate le atmosfere opprimenti e il gore estremo di "Tokyo Fist", Tsukamoto si immerge nella psiche straniata di un personaggio al limite; Goda non è il classico bussinessman i cui sensi sono obnubilati dalla società, ma un personaggio completo, tridimensionale, che vive un'alienazione totale a causa del distacco improvviso con la persona amata; distacco che lo porta prima all'ossessione: l'arma del delitto, la pistola, viene svuotata dall'autore di ogni connotazione fallica e virile; la pistola non è qui strumento dell'affermazione individuale, ma mezzo dapprima distruttivo, poi autodistruttivo; persa ogni ragione di vita, Gota vuole semplicemente auto-distruggersi: la flagellazione che subisce da parte dei teppisti non risveglia il suo lato animalesco sopito, ma è solo l'anticamera della sua morte, che lui accetta spontaneamente e passivamente.


Perfetto controaltare della sua passività è il carattere di Chisato; personaggio affascinante e dalla bellezza efebica, la ragazza si perde nella metropoli alla ricerca di emozioni sempre più forti; l'autodistruzione per lei non è il viatico per la liberazione dal dolore, ma, come in "Tokyo Fist", mezzo per assaporare la vita: l'emozione si risveglia solo quando è ad un passo dalla fine, come ben simboleggiato nella scena della metropolitana, in cui, alzando le braccia e piegando il collo in segno di abbandono, risveglia la sua vitalità avvicinandosi ad un treno in corsa; tuttavia la morte, di fatto, la spaventa, come nella scena in cui Goda minaccia di suicidarsi o, ancora di più, nella parte finale in cui i ragazzi sono minacciati di morte dal padre di una delle loro vittime.


Altro polo speculare della personalità del protagonista è il personaggio di Goto (e l'assonanza tra i due nomi non è un caso): capo-banda dei teppisti, è una personalità violenta e spericolata che, paradossalmente, nasconde uno strambo segreto; nella migliore tradizione del cinema tsukamotiano, di giorno Goto è un comune impiegato, dalla personalità allegra e solare; solo di notte sveste il doppiopetto ed indossa la giacca di pelle per sfogare il suo istinto represso; la specularità tra Goto e Goda viene ben esplicitata nella scena in cui quest'ultimo chiede al primo di ucciderlo: per tutto il dialogo, Goto non sa rispondere a nessuna delle domande che gli sono poste e nemmeno riesce a premere il grilletto; in sostanza, Goto è un ragazzo vestito da uomo, che cerca nella violenza una forma di affermazione, ma che non è in grado di vivere una vita autonoma; è sempre il boss Idei ad indirizzarne la violenza, ad usarlo come arma.


Il simbolismo fallico dell'arma da fuoco, si diceva, viene sovvertito da Tsukamoto mediante l'eviscerazione dell'altro tema portante dell'opera: la paternità; Gota è un uomo ritrovatosi improvvisamente solo, senza punti di riferimento; il rapporto con i teppisti è inizialmente conflittuale, m, a partire dalla metà esatta del film, esso si trasforma in un rapporto affettivo vero e proprio; la pistola che si costruisce inizialmente, per perpetrare il suo misto di distruzione auto ed etero imposta, non spara proiettili, non è in grado di ferire, dunque di raggiungere il suo fine; per quasi tutta la prima parte, Gota cerca un'arma funzionante, ma invano; questa arriva solo quando una donna immigrata, che poi si scoprirà essere sosia della scomparsa Kirirko, offre lui uno scambio: una calibro 38 in cambio della sua firma sul certificato di matrimonio; l'acquisizione dell'arma porta Gota a rammentare un vecchio discorso con Kiriko: la sua avversione al matrimonio e sopratutto alla paternità, causa scatenante della depressione della donna; il rapporto con i due ragazzi, da questo momento in poi, cambia radicalmente: Goto diventa il figlio che Goda non ha mai avuto, per il quale l'uomo si preoccupa, si ferisce, che insegue per salvare dai guai; Chiriko, invece, diviene l'alter-ego di Kiriko, come ben simboleggiato nella bella scena in cui la ragazza si introduce nell'appartamento di Goda e si prova i vestiti della donna scomparsa. Goda è, dunque, il padre amorevole, perfettamente contrapposto al violento capobanda Idei, il quale sfrutta i ragazzi per i suoi affari e che induce loro a compiere atti di violenza gratuita.


Nell'ottica dell'autore, dunque, la paternità è lo scopo di vita dell'uomo: persa ogni speranza ed ogni punto di riferimento, l'essere umano può solo avvicinarsi ai suoi cuccioli e proteggerli; nel finale, Tsukamoto salva per la prima volta (e ancora prima che in "Gemini") il terzetto di protagonisti: Goto piange come un bambino deluso, ormai conscio degli errori compiuti e pronto per la crescita, Goda e Chisato corrono via in direzione opposte, ma, grazie ad uno splendido montaggio alternato, si abbracciano idealmente, allargando le braccia e chinando il capo, ossia apprezzando per la prima vera volta la vita che hanno.

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