di Rainer Werner Fassbinder
con: Lou Castel, Rainer Werner Fassbinder, Eddie Constantine, Marquand Bohm, Hanna Schygulla, Margarete Von Trotta, Ingrid Caven, Uli Lommell, Gianni di Luigi, Werner Schroeter, Harry Baer.
Germania, Italia (1971)
Molti grandi autori hanno ritratto il caos del set nelle loro opere; basti pensare al capolavoro di Fellini "8 e 1/2" (1963), vero e proprio dietro le quinte della mente di un regista privo di ispirazione, o a "Il Disprezzo" (1963), in cui Godard riflette sulla magnifica Babilonia che è il cinema; nel 1971, reduce dal set del coevo "Whity", Fassbinder scrive e dirige "Attenzione alla Puttana Santa", sua personale disanima del mondo del cinema.
Sul set del film "Patria e Libertad" ne succedono di tutti i colori: il materiale tecnico è introvabile, le scenografie non soddisfano, le relazioni amorose tra i membri del cast e della troupe nascono, mutano e decadono nel corso di pochi istanti; in tutto questo, il regista Jeff (Lou Castel) rischia un esaurimento, intreccia una futile storia amorosa con la segretaria di produzione Baps (Margarete Von Trotta), compagna dell'aiuto regista Sascha (Fassbinder), solo per far ingelosire il suo ex, l'attore Ricky (Marquand Bohm); la produzione si trascina avanti a stento, in un'atmosfera in cui tutti sembrano ipnotizzati e schiavi di una forza che li porta alla passività più totale.
La "puttana santa" del titolo altro non è che una metafora della figura del regista, inteso nel senso di "autore"; un uomo che deve, letteralmente, "votarsi a Dio e vendere il culo" pur di poter realizzare la sua visione, schiavo di ogni difficoltà; Jeff è l'incarnazione di tale tipo di professionista: rischia la bancarotta producendo il film in prima persona e si ritrova, di volta in volta, a dover fronteggiare difficoltà economiche (gli assegni per il noleggio dell'attrezzatura non vengono accettati) ed umane (le sue storie con Ricky, con la sua ex Irma, che minaccia di denunciarlo, e con Baps, che presto finisce in un litigio); Jeff è un personaggio egoista, nevrotico, che si aggira sul set come un pazzo perennemente insoddisfatto, ma è l'unico ad avere una visione coerente e concreta del lavoro.
Per tutto il film aleggia un'atmosfera di disfacimento, un vuoto pneumatico che avvolge tutti i personaggi; Fassbinder descrive un mondo sfatto, privo di volontà o voglie, in cui non ci sono ideali (il tema politico alla base del film che Jeff e soci girano è solo un pretesto); tutti i personaggi si muovono come al rallentatore, persi nelle loro manie e nelle piccole voglie; tutti sono schiavi dell'attrazione reciproca, che li porta a soffrire e a piangere, a desiderare più partner come se niente fosse (Jeff, ma anche il divo Eddie Constantine, che interpreta sé stesso), come a colmare il vuoto esistenziale che si portano dietro; e l'omosessualità, all'epoca ancora un tabù nel cinema, viene ritratta dall'autore in modo spontaneo, senza sensazionalismi: l'attrazione tra Jeff e Ricky e tra gli altri membri della troupe viene messa in scena in modo diretto, candido, senza cattiveria né voglia di stupire, atteggiamento che, in futuro, farà la fortuna dell'autore.
Fassbinder deride le dinamiche del lavoro: il regista-capo manda alla malora tutto, rifacendosi con cattiveria sul suo aiuto Sascha, vera e propria vittima sacrificale del suo umore; Sascha a sua volta si sfoga sull'assistente Korbinian (Uli Lommel), in uno scaricabarile continuo; il cameraman (Di Luigi) non è in grado di eseguire gli ordini del regista, mentre la diva Hanna (Hanna Schygulla), conciata come Marilyn, non fa altro che attraversare il set facendo ribollire gli spiriti degli uomini. Il vuoto che descrive altro non è che il simbolo del caos che si crea sul set ogni volta che una mancanza qualsiasi funesta la lavorazione; una volta venuta meno la figura centrale, ossia quella del regista, tutto il meccanismo produttivo crolla: lasciati a sé stessi i membri della troupe non sono in grado di produrre nulla; la centralità dell'autore è essenziale, perfetto manifesto della "politica degli autori" che a seguito della Nouvelle Vague si instaurò nel cinema di tutto il mondo.
Il vuoto "cosmico" che pervade i personaggi si palesa nelle loro relazioni burrascose: il divo Eddie Constantine viene sempre lasciato in disparte, a bere whisky ed amoreggiare con Hanna; quest'ultima diviene, negli abiti e negli atteggiamenti, l'eco di un cinema fatto di star e divi lontano anni luce (Marilyn, ma anche Marlene Dietricth, diva primigenea del cinema tedesco); Sascha vaga alla deriva a causa dell'abbandono di Baps e Ricky protesta contro l'amore di Jeff, affermando che la sua è un'omosessualità puramente mercenaria; Fassbinder sfiora i personaggi, ne segue le elucubrazioni folli e i gesti fini a sé stessi; e per la prima volta scandaglia la bellezza della femminilità, incarnata nei corpi nudi e splendidi di Hanna Schygulla e Margarete Von Trotta, promosse a muse vere e proprie.
Per meglio enfatizzare l'atmosfera quasi irreale del set, Fassbinder opta per una narrazione totalmente descrittiva; ogni traccia narrativa è puramente pretestuosa e subordinata alla descrizione dei personaggi; e finisce per spezzare in due il racconto: la prima parte viene costruita mediante una serie di lunghissime scene e piani sequenza, nelle quali i personaggi si abbandonano a scherzi, screzi reciproci e giochetti pur di ingannare il tempo; nella seconda la narrazione si focalizza su micro-sequenze, tutte girate in un unica inquadratura fissa, senza controcampi, nella quale si assiste al declino del regista, al suo odio crescente verso il film e la troupe e alla rassegnazione finale; il tutto incorniciato da un prologo ironicamente spiazzante: descrivendo il grado-zero della messa in scena, Fassbinder fa recitare all'amico Werner Schroeter una strana storia su di un nano omosessuale, inquadrandolo dal basso verso l'alto, ad enfatizzare la facilità della narrazione classica contrapposta all'estrema difficoltà della produzione filmica.
"Attenzione alla Puttana Santa" non ha di certo la carica visionaria del capolavoro di Fellini, né la forza iconoclastica ed innovativa di quello di Godard; anzi, a tratti la visione di Fassbinder si fa decisamente pretenziosa e criptica, quasi compiaciuta e fredda; ma la sua descrizione acida ed irriverente del mondo del cinema resta comunque interessante e a tratti divertente.
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